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Sanzioni USA su Lukoil e Rosneft: Bulgaria, Ungheria e Germania cercano la “via d’uscita”
Gli USA sanzionano Lukoil, ma l’Est Europa non ci sta. Bulgaria , Germania e Ungheria (dipendenti dal petrolio russo) cercano disperatamente soluzioni per salvare le loro raffinerie chiave.

Le nuove sanzioni imposte dall’amministrazione Trump (nel suo secondo mandato, come riportato) contro i colossi petroliferi russi Rosneft e Lukoil stanno creando più di un grattacapo, non solo a Mosca, ma soprattutto all’interno dell’Unione Europea.
Se l’obiettivo dichiarato del Dipartimento del Tesoro USA è colpire le finanze del Cremlino per la guerra in Ucraina, l’effetto collaterale immediato è un forte mal di testa per quei paesi dell’Est Europa la cui infrastruttura energetica dipende quasi totalmente dalle forniture (e dalle raffinerie) russe.
La mossa, che ha già spinto al rialzo i prezzi del petrolio, colpisce non solo le case madri, ma (tecnicamente) qualsiasi entità controllata al 50% o più, anche se non esplicitamente nominata dall’OFAC. Questo viene a creare problemi a diversi impianti energetici europei in contatto o con partecipazione dei colossi russi.
La “soluzione europea” della Bulgaria
In Bulgaria, la situazione è tecnicamente complessa. L’unica raffineria del paese, la Lukoil Neftochim Burgas, e il rivenditore Lukoil Bulgaria, ricadono direttamente sotto il tiro delle sanzioni.
Il ministro dell’Energia, Zhecho Stankov, ha cercato di rassicurare il mercato interno: le forniture di carburante sono garantite fino a fine anno. Tuttavia, la Banca Centrale bulgara, pur non vedendo un rischio sistemico diretto per le banche, ha ammesso che le entità colpite sono “significativi attori economici” i cui flussi finanziari passano dal sistema locale.
Cosa farà Sofia? La linea ufficiale, come dichiarato da Stankov, è quella di “agire in coordinamento con i partner europei” attraverso il gruppo di coordinamento per il petrolio presso la Commissione Europea, per sviluppare un “piano d’azione comune”. Un classico approccio brussellese che, come spesso accade, dovrà scontrarsi con le urgenze delle singole economie nazionali. Dopo qualche settimana di discussioni Sofia si troverà a dover predere una decisione d’emergenza.
L’approccio “sovranista” di Orban
Molto più diretta la reazione di Budapest. L’Ungheria, insieme alla Slovacchia, dipende pesantemente dal greggio russo trasportato attraverso l’oleodotto Druzhba, che alimenta le raffinerie della compagnia nazionale MOL (presente anche in Slovacchia con Slovnaft).
Il primo ministro Viktor Orban, alleato storico di Trump, non ha usato mezzi termini. Dopo aver discusso la situazione con MOL, ha dichiarato alla radio di stato Kossuth: “Stiamo lavorando su come aggirare questa sanzione“.
Nessuna menzione di “piani comuni” o “coordinamento UE”. L’Ungheria punta dritta all’interesse nazionale, cercando una via tecnica per evitare che le sue raffinerie, con una capacità di 14,2 milioni di tonnellate annue, si fermino. Probabilmente Orban cercherà dei colloqui diretti con Trump per ottenere un’esenzione per il petrolio comprato
La situazione evidenzia la classica frattura tra gli obiettivi geopolitici di Washington (e Bruxelles) e la realtà industriale di nazioni che, per decenni, hanno costruito la loro sicurezza energetica su infrastrutture ora considerate “ostili”.
Germania: la proprietà fittizia
L’attività tedesca di Rosneft è controllata dalle autorità tedesche, ma è di proprietà russa. Si tratta di un fornitore chiave, che distribuisce e raffina petrolio alle pompe di benzina e ad alcuni aeroporti della più grande economia europea.
La filiale tedesca di Rosneft, che detiene partecipazioni nelle raffinerie di Schwedt, MiRo e Bayernoil, è stata posta sotto amministrazione controllata dal governo nel 2022 dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, che ha sconvolto i rapporti energetici decennali con Mosca.
Un portavoce del ministero dell’Economia tedesco ha affermato che le sanzioni statunitensi non dovrebbero applicarsi alle attività tedesche di Rosneft, poiché sono state separate dalla casa madre russa e sono sotto il controllo tedesco. Però la proprietà è formalmente ancora russa, quindi sarebbe soggetta alle sanzioni. La Germania deve decidersi a pagare l’acquisto a Rosfnet ed avere un’nentita nazionale negli idrocarburi.
In sintesi, l’impatto delle sanzioni si delinea così:
- Bulgaria: Rischio sulla raffineria di Burgas (Lukoil). Cerca una soluzione a livello UE e rassicura sul breve termine.
- Ungheria: Rischio sulle raffinerie MOL (dipendenti dal Druzhba). Orban dichiara apertamente di voler “aggirare” le sanzioni.
- Slovacchia: Rischio sulla raffineria Slovnaft (gruppo MOL). Sta analizzando l’impatto.
- Germania: Necessità di riallineare una situazione teorica di proprietà russa con la reale gestione.
- Mercati: Prezzi del petrolio in rialzo a causa dell’incertezza sulle forniture.
Mentre la Bulgaria ha tempo fino al 21 novembre per decidere le sue mosse su Lukoil Neftochim Burgas, l’Ungheria sembra aver già scelto la sua strada: prima l’interesse nazionale, poi (forse) la solidarietà atlantica.
Domande e Risposte (FAQ)
1) La Bulgaria rischia davvero di rimanere senza benzina? No, almeno non nel breve termine. Il ministro dell’Energia Stankov ha assicurato che le forniture di carburante per il mercato interno sono garantite fino alla fine dell’anno. Il problema è strategico: la raffineria di Burgas, l’unica del paese, è di proprietà di Lukoil, ora sanzionata. Se non si trova una soluzione (legale, proprietaria o tecnica), il paese dovrà trovare nuovi modi per importare e raffinare il greggio, cosa che potrebbe influenzare i prezzi futuri.
2) Perché l’Ungheria cerca di “aggirare” le sanzioni invece di rispettarle? L’Ungheria (come la Slovacchia) ha un’economia fortemente dipendente dalle raffinerie del gruppo MOL, che sono tecnologicamente configurate per trattare il greggio russo pesante proveniente dall’oleodotto Druzhba. Interrompere questa fornitura significherebbe fermare l’industria nazionale. Il primo ministro Orban, noto per le sue posizioni “sovraniste”, ritiene prioritario proteggere l’economia ungherese, anche a costo di cercare scappatoie legali o tecniche per continuare a operare nonostante le sanzioni USA.
3) Cosa significa che le sanzioni colpiscono anche le società possedute “al 50% o più”? È una clausola tecnica fondamentale del Dipartimento del Tesoro USA (OFAC). Significa che le sanzioni non si applicano solo a “Lukoil” o “Rosneft” come entità legali russe, ma automaticamente a qualsiasi azienda nel mondo (come la raffineria in Bulgaria o le filiali commerciali) in cui Lukoil o Rosneft detengano, direttamente o indirettamente, almeno il 50% della proprietà. Questo impedisce alle aziende sanzionate di operare semplicemente tramite le loro controllate estere non esplicitamente nominate.










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