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Salute, economia e aspettativa di vita (di Ilaria Bifarini)

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Se in una prima fase dell’emergenza coronavirus l’eccesso di enfasi e di sensazionalismo basato sull’emotività poteva essere giustificato, oggi, a distanza di mesi e nel pieno di un isolamento sociale che ha superato persino la quarantena (quaranta giorni), è ora di recuperare lucidità e ragionevolezza. Chi osa criticare le restrizioni sociali liberticide ed economicideche stanno creando danni irreparabili per le nostre aziende, si sente qualunquisticamente controbattere: “la salute viene prima dell’economia”, oppure ancora più grossolanamente “che te ne fai dei soldi se non hai la salute?”.

Il concetto di salute è molto articolato e rimanda a un principio di benessere psico-fisico dell’individuo che non può essere certo ristretto alla possibilità di contrarre o meno il Covid-19 ed eventualmente in forma lieve (la maggioranza), grave o letale (percentuale molto bassa rispetto ad altre malattie, come confermato dai dati ISS).

L’economia,  intesa come scienza sociale che si occupa dell’uomo e del suo benessere, e non secondo la comune e volgare interpretazione restrittiva che la riduce a mera finanza o crematistica, non può essere messa in disparte in nome dello scientismo autoritario e dogmatico che sta prendendo piede durante questo stato di eccezionalità ormai permanente.

Il palcoscenico mediatico è tutto riservato a loro, i virologi,  presenza fissa di ogni salotto televisivo, intenti più a conquistare il pubblico e la popolarità che dediti alla ricerca continua del sapere e del confronto, che dovrebbe contraddistinguere un uomo di scienza. Spesso in  disaccordo tra loro, competono come primedonne, in cerca di visibilità e, perché no, di qualche incarico in politica o in una grande azienda. Si ergono a detentori di verità inconfutabili, dogmatiche, nonostante siano continuamente costretti a smentirsi. Il loro atteggiamento non è altro che una variante sanitaria del neoliberismo economico, la loro ostentata sicurezza e infallibilità è analoga a quella degli economisti accreditati dal mainstream, che hanno finora raccomandato solennemente austerity e iperglobalismo, cause principali dell’attuale disastro. Quando ormai sarà troppo tardi, forse ci renderemo conto (non tutti, c’è sempre uno zoccolo duro di negazionisti)  che anche le raccomandazioni/imposizioni degli scientocrati erano sbagliate. Magari finiranno per fare ammenda anche loro, come hanno fatto molti economisti e lo stesso FMI sulla Grecia, ma anche stavolta sarà troppo tardi. Come rivelano i dati di Confindustria e Confesercenti, il tessuto economico del Paese sta morendo e la sua fine sarà irreversibile.

Ciò che più sconvolge, a testimonianza dell’inadeguatezza e della ristrettezza di vedute di tali sedicenti scienziati (più corretto chiamarli scientocrati) è l’incapacità di comprendere il nesso  inscindibile tra economia e salute. Le motivazioni  di tale legame sono facilmente intuibili per chiunque e le conferme si riscontrano sia a livello teorico che empirico.

Il seguente grafico riporta la relazione tra Pil pro-capite e aspettativa di vita dei vari Paesi del mondo. La correlazione è evidente: maggiore è la ricchezza, maggiore è l’aspettativa di vita.

Cosa accadrà in un Paese dove un’impresa su tre rischia di non riaprire più, con tassi di disoccupazione che arriveranno ai livelli della Grecia? Come cambierà l’aspettativa di vita a fronte del 9,2% di caduta del Pil previsto per l’Italia, ma che a nostro parere sarà di gran lunga superiore?

La risposta dovrebbe darcela i virologi, o magari una delle tante task force nate come funghi nella quarantena.

Ilaria Bifarini

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