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“REQUIEM PER UNA EUROPA MAI NATA” (Prima Parte) di Giuseppe Guarino

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Nel 1957 tre Stati europei, i maggiori tra quelli in cui la percentuale insulare è largamente minoritaria, Francia, Germania, Italia, avevano un PIL complessivo superiore a quello degli USA, 18.987 contro 18.885 milioni (1990 Geary-Khamis Dollars, Maddison, Monitoring the World Economy 1820-1992, Parigi, 1995, pag. 195). Oggi il PIL degli USA è doppio di quello dei tre Stati, 16.245 contro 8.056 miliardi di dollari (v. Pocket World in Figures, edito dall’Economist, pagg. 236, 148, 150, 168). Nella classifica dei Paesi che nel decennio 2002-2012 hanno realizzato il peggiore tasso di sviluppo (v. Pocket, pag. 30) appaiono gli USA al 37° posto. Nella classifica dei peggiori nel mondo l’Italia è al 5° posto, la Francia al 14°, la Germania al 21°. Sono compresi nell’elenco dei Paesi con il più basso tasso di sviluppo 15 della zona euro e dell’Unione Europea (Grecia, Portogallo, Danimarca, Ungheria, Paesi Bassi, Spagna, Belgio, Regno Unito, Croazia, Finlandia, Austria, Norvegia, Malta, Irlanda, Slovenia).

Una conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, è data dall’elenco dei 54 Paesi con il più elevato sviluppo nello stesso decennio. Degli europei sono presenti solo Monaco ed Andorra. I primi cinque hanno una media superiore al 10%: Macau, Qatar, Azerbaijan, Angola, Cina (ibidem pag. 30). Monaco ed Andorra non sono membri dell’Unione e tantomeno dell’eurozona.

La popolazione del mondo supera oggi i 7 miliardi. Il tasso medio di crescita mondiale negli anni dal 2007 al 2012 è stato del 4.6%. Sarebbe superiore se quello dei 500 milioni di europei unificati non avesse contribuito ad abbassarlo.

Come mai l’Europa è caduta così in basso? Quali le cause? Come invertire la tendenza? Queste le domande che mi sono posto. Sono diverse dalle litanie quotidiane, se sia in corso una ripresa o una ripresina, se siano state o meno eseguite le “riforme”. E’ un termine che andrebbe bandito. Le riforme possono essere tanto benefiche quanto rovinose. Per essere chiari, per ritornare ai livelli del 1957, il tasso medio di sviluppo di Francia, Germania e Italia dovrebbe essere non inferiore al 3% per una durata di almeno trenta anni.

Per rispondere alle tre domande era necessario che mi liberassi delle tesi sostenute in passato. Nessuno le ha contestate nel merito. Ma erano insufficienti. Si basavano su dati statistici e sollevavano questioni di legittimità. I dati erano esatti. Le argomentazioni corrette. Ma ora mi sono posto un solo e diverso obiettivo. Spiegare il come ed il perché Stati europei che nel 1950 erano i primi nel mondo nello sviluppo, oggi si collocano tra gli ultimi. Non ne sono sicuro. Ma a me sembra che nessuno si sia posto fino ad oggi questa domanda. E’ tra tutte la più importante.

Con il termine Europa mi riferisco essenzialmente ai tre Stati, Francia, Germania, Italia.

I popoli dei tre Paesi da oltre un millennio hanno contribuito, probabilmente più di ogni altro, alla storia ed allo sviluppo culturale e scientifico del mondo. Dei sei Paesi fondatori delle istituzioni europee erano i maggiori. Sono stati presenti in tutti i passaggi successivi. Per effetto delle vicende storiche la conformazione complessiva e le strutture dei tre Stati sono divenute particolarmente rigide. Per modificarle occorrono fattori robusti e durevoli. Data la rigidità delle strutture, gli andamenti dei tre Paesi non possono essere identici. Se al termine della ricerca si pervenisse a risultati nella gran parte eguali o sufficientemente simili, si dovrebbe ipotizzare che abbiano operato fattori analogamente robusti. Potrebbero essere quelli responsabili della decadenza europea.

Mi sono reso conto che nella mia informazione vi era una lacuna. Dovevo colmarla. Mi ero molto interessato delle istituzioni europee nei primi anni ‘50. Poi, molto intensamente, dal 1980 al 2000. Dismessa ogni attività politica, accademica e professionale mi sono occupato dell’Europa in volumi e saggi. Questo saggio si assegna, rispetto agli antecedenti, un obiettivo diverso e del tutto nuovo. Potrebbe chiudere la serie.

Il vuoto da colmare esisteva. Era rappresentato dal Trattato CEE, detto anche di Roma, approvato il 25 marzo 1957, entrato in vigore il 1° gennaio 1958. Se lo avessi esaminato in quegli anni anche io, come tutti, non ne avrei colto la incredibile portata.

Il Trattato di Roma è il primo Trattato europeo in senso stretto. Un Trattato al quale qualsiasi Stato avrebbe potuto avere interesse a dare la propria adesione. Il Trattato CECA (18.4.1951) per gli ideali che lo alimentavano e per la innovatività degli istituti ha avuto una enorme portata storica. L’oggetto di cui si occupava, il bacino carbo-siderurgico della Rurh, interessava però direttamente o indirettamente solo un piccolo nucleo di Stati. Così era anche per l’Euratom (25.3.1957).

Il Trattato di Roma si compone di quattro parti. Non sono omogenee. In parte addirittura contrastanti. Per due, agricoltura e trasporti, il regime adottato è quello della gestione amministrata di un settore economico. La parte centrale introduce la libertà di movimento per le persone, le merci, i servizi e riconosce il diritto di stabilimento. Principi tuttavia che non si applicavano in agricoltura e nei trasporti. Una quarta parte ha per oggetto le materie che compongono lo Stato sociale. Sono elencate nell’art. 118, non ne manca nessuna. Per questo vasto ambito (lo Stato sociale caratterizza l’economia di un Paese nel suo insieme) mancano discipline applicative. Gli Stati, dichiara l’art. 117, “ritengono” (si tratta dunque di una opinione), che gli obiettivi di sviluppo della classe operaia si sarebbero realizzati quale naturale effetto delle norme e delle procedure previste dal Trattato.

Gli artt. 110, 117 e 118 del Trattato CEE sono presenti nel medesimo testo e con lo stesso numero nel Trattato TUE (Maastricht). Una interpretazione sistemica induce a ritenere che il mercato, al quale il Trattato sembra attribuire la responsabilità della gestione dello Stato sociale, non sia quello tra i sei Paesi membri (i tre più importanti ed i tre del Benelux), bensì quello “globale”, che si sarebbe realizzato in un tempo futuro con l’approvazione del GATT (accordo per l’abbattimento dei dazi doganali e per la loro uniformizzazione) e la creazione del WTO (organizzazione mondiale del commercio). E’ da tenere presente che nel 1957 Francia, Germania ed Italia si avvalevano di un regime di Stato sociale. Erano gli unici a farlo in modo avanzato e completo e ne erano orgogliosi.

A quasi sessanta anni di distanza possiamo ora renderci conto delle ragioni che concorsero alla favorevole accoglienza riservata al Trattato di Roma. Per l’agricoltura ed i trasporti si recepiva, migliorandola, la regolamentazione esistente. Quanto allo Stato sociale ci si proiettava nel futuro. Per il momento si lasciava tutto immutato. L’ampliamento dell’ambito del mercato, da nazionale a comunitario, avrebbe prodotto effetti benefici soprattutto per Paesi con economie in fase di forte espansione, quali Francia, Germania e Italia. L’Italia ne trasse consistenti vantaggi. La CEE fu il trampolino di lancio per il “Made in Italy”.

L’interpretazione sistemica, collegando gli artt. 110, 117 e 118 ad elementi generalmente poco conosciuti, ha fatto emergere un fenomeno del tutto nuovo, la “Finanza Internazionale”. A costituire la base degli artt. 110, 117 e 118 deve esserci stata una mano ispirata da questo fenomeno, già in fase di crescita fervorosa.

E’ tendenza diffusa, quando si introducono nuovi sistemi di norme (nazionali, internazionali o di diritto comunitario) concentrare l’attenzione sui contenuti, trascurando l’aspetto della loro concretizzazione. Il Trattato di Roma, per quanto concerne lo Stato sociale, ha operato una scelta “ferma”. La responsabilità sarebbe stata del mercato.

Se è preminente il mercato, non c’è spazio per la politica. Agli organi spetta adottare le discipline applicative ed integrative. Ed esercitare funzioni di vigilanza, sorveglianza e controllo. Non servono poteri politici, al massimo quelli amministrativi di “lata discrezionalità”. Delle direttive, raccomandazioni, proposte ed altro, i destinatari sarebbero stati invece entità politiche, gli Stati che avevano stipulato il Trattato e quelli che vi avrebbero successivamente aderito.

Esistono due tipologie fondamentali di entità operative che gli uomini possono creare avvalendosi del diritto: gli organismi e le organizzazioni. Gli organismi sono assimilabili all’uomo. Le organizzazioni alle macchine. Negli uomini esiste un organo particolare che coordina tutti gli altri ed esercita la funzione di guida. E’ il cervello, il “vertice di ultima istanza”. E’ inerente alla funzione di guida la libertà di scelta. L’uomo se ne avvale in ogni sua condotta: rispettare il comando, divergerne, violarlo?

L’opzione che il Trattato di Roma doveva compiere aveva ad oggetto le due distinte tipologie. Senza che ce se ne rendesse conto, ha optato per la tipologia della organizzazione.

L’ambìto occupato in uno Stato sovrano dal Governo, che vi avrebbe operato con poteri politici, è stato affidato dal Trattato di Roma a due organi. L’uno, il Consiglio, composto da ministri chiamati a partecipare alle sedute se l’ordine del giorno della riunione prevede questioni che rientrino nella loro competenza. L’altro, la Commissione. Dei due organi, l’unico che abbia una connessione con la volontà popolare è il Consiglio. La Commissione infatti è composta da membri scelti di comune accordo tra gli Stati “in base alla loro competenza generale”. La formula era già presente nel Trattato CECA. In quel contesto significava che non si richiedeva che i Commissari avessero una conoscenza specifica nel settore del carbone e dell’acciaio. Nel Trattato CEE la stessa formula non può significare altro fuor di quello che le parole esprimono. “Competenza generale” significa che non si richiede una competenza specifica. E’ “mancanza di qualifica”.

Nel Consiglio è presente un minimo di derivazione popolare. Nella Commissione la derivazione popolare manca del tutto. Vi partecipano persone, probabilmente egregie, prive di qualificazione.

Si sarebbe atteso che la preminenza venisse accordata al Consiglio. E’ accaduto l’inverso. Non è stato detto in maniera da tutti comprensibile. Lo si deduce dall’art. 149. Stabilisce che, se vi è una proposta della Commissione, il Consiglio se ne può discostare solo all’unanimità. Il potere di proposta della Commissione ha carattere generale. In singoli casi il Trattato stabilisce che nell’esercizio di una specifica competenza il Consiglio deve deliberare con una maggioranza assoluta o qualificata. I casi in cui si richiede una maggioranza assoluta sono più o meno equivalenti a quelli per i quali è sufficiente una maggioranza qualificata. Dominante quindi è la Commissione. Commissione significa “organizzazione”. Se la preminenza fosse stata del Consiglio, si sarebbe creato un “organismo”.

Allo stesso modo in cui la Commissione prevale sul Consiglio, prevale sulla Commissione l’Amministrazione. Non c’è nessuna norma nel Trattato che dica che l’organizzazione burocratica è alle dipendenze della Commissione. La si è ritenuta una conseguenza implicita. Le direzioni generali hanno il monopolio della titolarità delle funzioni, cui si aggiunge quello dei contenuti. Hanno dunque il monopolio dell’informazione. I contenuti (le direttive, le normative, le proposte e ogni altro atto della Commissione) sono opera degli uffici. La composizione della Commissione si è ampliata con l’adesione di nuovi Stati. Il numero dei componenti fino all’1.11.2014 è stato pari a quello degli Stati (28). Con l’aumento del numero dei componenti scema l’autorità della Commissione. Cresce quella degli uffici.

Dove possibile i titolari di organi tendono ad ampliare la sfera delle proprie competenze e a crescere in autorità.

Le organizzazioni, una volta create, vanno per la loro strada, nella direzione imposta dalla loro conformazione. Non è più necessario l’originario promotore. Salvo che per la storia, ne diviene perfino superflua la ricerca. Per il Trattato di Roma un fattore influente è stata la Finanza Internazionale. Fattore allo stato emergente ma che sarebbe presto divenuto protagonista nella scena mondiale. In seguito i rapporti con l’Europa sarebbero stati casuali, dettati dalle circostanze. La finanza internazionale sarebbe stata all’origine del piano Barre-Werner per effetto dei problemi che creava con le speculazioni sui cambi tra le valute dei Paesi europei, quelle dei tre Stati, ai quali si aggiungeva la sterlina, la moneta dell’UK. Qualche anno dopo la Finanza Internazionale avrebbe dato un sostegno straordinariamente utile ai Paesi importatori di petrolio, i tre maggiori continentali, ai quali si aggiungeva anche questa volta l’UK, nella crisi petrolifera del 1973. Divenuta protagonista della scena mondiale la Finanza Internazionale non aveva ragione di occuparsi dell’Europa. Le condotte determinate dalla sua conformazione obbligavano ad operare ovunque vi fossero aspettative di profitto rapido e sicuri. Condizioni che non esistevano in Europa. La Finanza Internazionale si era inizialmente avvalsa dell’ampio risparmio europeo come piattaforma per il lancio verso mercati più vasti.

Un secondo fattore, il complesso integrato Commissione più organizzazione burocratica, avrebbe invece assunto un ruolo permanente. La sua funzione (art. 155) consisteva nel vigilare sull’applicazione del Trattato e nell’esercitare le competenze attribuite. Ciò che si andava a creare, dunque, era una “organizzazione” con un compito unico, applicare le disposizioni del Trattato.

L’istituto che si creava non era identico, e nemmeno somigliante, all’obiettivo perseguito dagli Stati europei dal 1950 al 1957. Si prevedeva in quegli anni di dar vita ad un “organismo” che, utilizzando poteri politici, realizzasse il sogno della creazione di un grande Stato europeo.

Con la sostituzione di una organizzazione all’organismo si determinava una profonda “frattura” tra ciò che si andava a fare e ciò che sino a quel momento si era sognato, in parte progettato ed in una prima parte (CECA) realizzato.

La sostituzione della tipologia della Commissione a quella dell’organismo fece emergere il fenomeno “frattura”. Con il termine si intende una mutazione nella conformazione, quindi negli obiettivi, improvvisa e non necessariamente motivata. Diveniva a questo punto naturale porsi la domanda se quella del 1957, prodotta dal Trattato di Roma, fosse l’unica frattura riscontrabile nel lungo processo istituzionale dell’Europa o se ce ne fossero altre. Sono in tutto cinque. L’una, quella del 1957. La seconda del 1971. La terza del 1972. La quarta del 1988-1992. La quinta quella dell’1.1.1999.

Il 1957 è l’anno del Trattato di Roma. Se ne percepisce ora la drammatica importanza. Si creava una organizzazione (il complesso integrato, Commissione più organizzazione burocratica) laddove il grande sogno di uno Stato unitario europeo avrebbe comportato un organismo. L’entità che veniva creata si sarebbe autotutelata e sviluppata in coerenza con la propria conformazione. Una volta che si fosse insediata e consolidata non sarebbe stato agevole rimuoverla.

Una seconda frattura in direzione inversa si ebbe nel 1971 con l’adozione del piano Barre-Werner. Una proposta Barre, presentata al vertice dell’Aja del 1969, era stata approvata dal Consiglio. Per la sua attuazione fu costituita una apposita Commissione, che dal nome del suo Presidente avrebbe preso il nome Werner.

La Commissione eseguì puntualmente il compito. Un progetto completo fu presentato entro la scadenza della prima fase e fu approvato da tutti gli Stati.

I Paesi europei avevano ciascuno una propria moneta. La Finanza Internazionale ormai operante a pieno ritmo prese a trarre profitti rapidi e sicuri dalla speculazione sui cambi tra le monete dei tre Paesi principali del continente e dell’UK (la sterlina). L’andamento delle economie di questi Paesi era sostanzialmente simile. Ma necessariamente mai identico. In fasi congiunturali i divari si allargavano. Era sufficiente concentrare grandi volumi di liquidità su una moneta e poi spostarli di improvviso su un’altra per creare le condizioni da cui si sarebbe tratto profitto. Cambi ondivaghi creavano problemi per le Banche Centrali dei Paesi coinvolti. Barre aveva individuato, quale mezzo per risolvere il problema, la creazione di una moneta unica. Una sufficiente omogeneità tra la economia dei Paesi interessati era il necessario presupposto per il lancio di una moneta unica. La proposta Barre prevedeva che al lancio si pervenisse con un percorso graduale che avrebbe occupato un tempo medio-lungo. I Paesi sarebbero stati assoggettati a costrizioni che i Governi dei Paesi interessati avrebbero accettato.

Il piano Barre assegnava il compito della omogeneizzazione ad organi politici comuni, ai quali sarebbero state trasferite competenze politiche sino a quel momento esercitate da organi degli Stati membri. Sarebbe spettato ai nuovi organi dettare le discipline finalizzate alla omogeneizzazione, procedendo agli adattamenti che si fossero resi necessari. Avrebbero anche partecipato alla concreta esecuzione dei provvedimenti che sarebbero stati adottati. Col piano Barre si sarebbe concretizzata una seconda rottura con il ritorno in campo della politica. Una rottura in senso inverso rispetto a quella antecedente.

1972: terza rottura. Si ritornava alle condizioni della prima, annullando la seconda. Chiusa la prima fase del piano Werner si stava per passare alla seconda. Il piano Werner era stato approvato da tutti gli Stati. Ma appena ci si rese conto che il passaggio alla seconda tappa avrebbe comportato che la responsabilità dell’intero processo di omogeneizzazione sarebbe spettata ad organi politici comuni, non si ebbe esitazione a bloccare il passaggio. Lo stesso piano Werner fu abbandonato. Qualcuno aveva fatto notare che la creazione di nuovi organi avrebbe comportato la modificazione del Trattato di Roma. E che problema ci sarebbe stato? La creazione di organi politici comuni avrebbe significato la creazione di un “organismo”. Bloccato il piano Werner, si ritornò alla “organizzazione”.

La estromissione dalla politica non si fermò qui. Esclusa la formazione di organi politici, si dovette inventare un metodo alternativo.

Non si osò attribuire poteri alla Commissione. Sarebbe divenuta palese l’antidemocraticità del sistema. Si optò per la introduzione di vincoli attinenti a punti qualificanti del sistema economico. Gli Stati sarebbero stati impegnati a rispettarli. I vincoli sarebbero divenuti gradualmente più severi.

Lo schema fu utilizzato in un primo tempo per il cosiddetto “serpente monetario”. Si sarebbe introdotto un doppio limite. Quello meno severo riservato agli Stati più deboli.

La seconda applicazione del sistema fu lo SME, sistema monetario europeo. Nel serpente monetario si riscontrarono casi di uscita e di rientro. Lo SME registrò l’uscita definitiva dell’Italia e dell’UK nel 1992.

Il metodo alternativo alla politica non fornì risultati apprezzabili.

Siamo alla quarta rottura (1988 e 1992). Furono approvati due Trattati collegati. Il primo, l’Atto Unico Europeo. Il secondo, il Trattato sull’Unione, detto di Maastricht. Quaranta anni e poco più erano passati da quando Schuman e Monnet avevano presentato per la prima volta i progetti comunitari. Se si fosse abbandonata la prospettiva dell’Unione politica la missione alla quale ci si era dedicati con tanto impegno sarebbe stata tradita. D’altra parte esistevano, e non le si potevano ignorare, difficoltà da superare. L’UK, coinvolta nel processo di omogeneizzazione delle economie, non avrebbe rinunciato né alla Corona né alla sterlina. Erano le due forze che sostenevano l’intera impalcatura dell’impero britannico. Si creò, per superare l’ostacolo, una doppia categoria di Stati. Solo un gruppo avrebbe adottato l’euro. Si creò, accanto a quella degli Stati membri che avrebbero formato l’eurozona, una seconda categoria, quella degli Stati “con deroga”. Avrebbero conservato la loro moneta. Il Trattato di Maastricht elenca in un apposito articolo (109 K, comma 3) le norme che agli Stati con deroga non si sarebbero applicate.

Il Presidente al tempo della Commissione Europea, Jacques Delors, si impegnò con passione congiunta a vasta esperienza politica, per giungere al risultato. Parteciparono alle discussioni i maggiori esponenti politici degli Stati. Si dovette superare, oltre quella sollevata dall’UK, un’altra difficoltà, la “ideologia del marco stabile”. La Germania non avrebbe accettato una moneta che non avesse le medesime caratteristiche di stabilità del “marco”. Delors, secondo quanto lui stesso racconta, per avere indicazioni si rivolse al Presidente della Bundesbank, Otto Pöhl, che godeva della piena fiducia del Cancelliere Kohl. La risposta fu netta. “L’Unione Politica deve precedere l’Unione monetaria” (Jacques Delors, Mémoires, Plon, 2004, p. 337). Fu compiuto uno sforzo intelligente per creare una disciplina che, pur in assenza di un effettivo governo comune, fosse sufficiente per conferire carattere politico alla creazione che si andava a realizzare.

L’obiettivo sarebbe stato raggiunto riconoscendo un adeguato ruolo ai poteri politici degli Stati membri. Ogni Stato avrebbe avuto una sua autonoma politica economica. Le si sarebbe coordinate con direttive di larga massima. Agli Stati si sarebbe permesso di indebitarsi nel totale fino al 60% del PIL e nell’anno fino al 3%. Una proposta della delegazione italiana, che tutti approvarono, precisava che i parametri dovessero essere interpretati ed applicati con elasticità, tenendo conto della tendenza in corso, verso l’alto o verso il basso, nella economia del Paese. Il 3% nell’indebitamento annuo corrispondeva alla media realizzata dagli USA nel corso del secolo ventesimo. Come risultato gli USA avevano raddoppiato il PIL. Esistevano però due importanti differenze. Negli USA il 3% costituiva il risultato di una media. Nella disciplina dell’euro era un limite massimo. Negli USA il Presidente Roosevelt, allo scoppio della seconda guerra mondiale, portò il debito USA dal 50.5% nel 1940 al 121.6% nel 1946. Riassorbì 15 milioni di disoccupati. Ricorrendo a tecniche appropriate, finanziò l’UK perché potesse acquistare armi, navi e prodotti alimentari dagli USA. Dotò il Paese di una flotta navale interamente nuova, che sarebbe stata la più potente nel mondo. Scomparso Roosevelt il debito sarebbe stato ulteriormente incrementato per produrre la bomba atomica. Al termine del conflitto gli USA sarebbero stati la prima potenza politica e militare nel mondo. Altro episodio fu quello che si ebbe negli otto anni del doppio mandato del Presidente Reagan dal 1981 al 1989. Il debito fu incrementato di ventidue punti, dal 31.5% al 53.1%. Fu finanziato il progetto di guerre stellari. Si pose fine al tremendo periodo in cui la garanzia della pace era affidata al terrore della distruzione reciproca totale. Effetto che si sarebbe prodotto se uno dei due contendenti avesse fatto ricorso all’arma nucleare. Sarebbe potuto accadere anche per un errore tecnico od umano. Le nuove disponibilità finanziarie erano in funzione del progetto del Ministero della difesa di realizzare una rete satellitare con basi disseminate in aree distanti del mondo. Avrebbe consentito di intercettare e colpire un missile intercontinentale avversario sin dal momento della partenza o durante il percorso, o comunque prima dell’arrivo sull’obiettivo. Una eguale opportunità mancava all’URSS. Gorbaciov, nuovo Primo Ministro sovietico, abbandonò la prospettiva della competizione permanente.

Se ci sono fattori produttivi inutilizzati e v’è capacità produttiva, procedere al finanziamento è utile e doveroso. Il dott. Guido Carli era stato Governatore della Banca d’Italia dal 1960 al 1974. Quale Ministro del Tesoro italiano nel 1992 aveva seguito personalmente la trattativa per la redazione del Trattato di Maastricht ed aveva ottenuto che fosse approvato un emendamento italiano che prescriveva che i parametri del 60% e del 3% relativi al debito e all’indebitamento si interpretassero sulla base di un criterio flessibile. Era stato (1950-1952) presidente dello Steering Committee dell’Unione Europea dei Pagamenti. La Germania, Paese sconfitto, aveva chiesto un prestito di importo inusuale. I membri francese ed inglese del Comitato si erano dichiarati contrari. Carli si assunse tutte le responsabilità. Dispose una istruttoria. Fu eseguita sotto il suo diretto controllo. Il parere fu positivo. La Germania restituì l’ammontare ricevuto con anticipo. Quel prestito fu alla base della grande ripresa della Germania.

La narrazione di queste vicende potrebbe sembrare fuori tema. Ma sono i fatti a dare concretezza alle asserzioni teoriche.

Ritornando al tema resta da esaminare l’ultima rottura, la quinta. Fu il prodotto del c.d. “Patto di Stabilità”. Sarebbe stato Waigel, Ministro del Tesoro della Germania, a redigere il testo del regolamento 1466/97. E’ certo che la Commissione nella vicenda svolse una parte decisiva. La pubblicazione del regolamento avvenne il 2.8.1997 nella GUCE n. L209. La Gazzetta Ufficiale che lo conteneva venne diffusa in una data successiva all’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam. Il Trattato di Amsterdam entrò in vigore il 1° maggio 1999. Conteneva le stesse regole del Trattato di Maastricht. Una mano provvidenziale curò che la diffusione della G.U. con la quale il regolamento veniva pubblicato fosse ritardata di qualche giorno per fare in modo che la applicabilità del regolamento avvenisse in data successiva a quella del Trattato. Diversamente il Trattato avrebbe abrogato il regolamento. Spostando la data, il regolamento sarebbe stato imposto di fatto ed avrebbe cancellato d’uno colpo due Trattati, quello di Maastricht e quello di Amsterdam. Un effettivo colpo di Stato.

Il regolamento 1466/97 inoltre, e questo non è meno rilevante, riesumava il principio sperimentato nel 1972 di un vincolo numerico che tutti gli Stati avrebbero dovuto rispettare indipendentemente dalle condizioni in cui ciascuno Stato si fosse trovato alla data di applicazione delle norme. Il reg. 1466/97 ha introdotto l’obiettivo generalizzato del pareggio del bilancio da rispettarsi da tutti gli Stati membri. La politica sarebbe stata di nuovo rottamata, e questa volta in modo definitivo. La ”organizzazione” avrebbe sostituito per sempre l’“organismo”.

Ricapitolando: la seconda fase del piano Werner non è stata realizzata. Il 1.1.1999 avrebbe dovuto essere immesso sui mercati un euro assoggettato alla disciplina del Trattato di Maastricht. Non è mai avvenuto. In quella data (1.1.1999) fu compiuto un vero e proprio “trattatocidio”. L’euro, quale voluto dal Trattato, fu ucciso nella culla nell’attimo stesso in cui nasceva.

Sono state identificate cinque rotture. Due (1971 e 1988-1992) ispirate allo schema dell’organismo, tre allo schema dell’organizzazione (1957, 1972, 1999). Quali dei due gruppi è responsabile del processo degenerativo europeo? Non abbiamo bisogno di ricorrere ad argomenti teorici o ad una analisi delle rotture. E’ sufficiente un unico dato di fatto. Le tre rotture ispirate al principio dell’organizzazione hanno avuto piena esecuzione. Le due rotture ispirate ai principi dell’organismo non hanno ricevuto esecuzione. Non possono quindi essere responsabili di nulla.

Avevamo tutti immaginato che negli anni dal 1957 ad oggi a base del dibattito ci sarebbe stato uno scontro tra ideologie, ad esempio quello dello Stato nazionale contro lo Stato sovranazionale o quello sulla specie dell’organismo da realizzare. Dall’analisi sistemica delle “rotture” ricaviamo che uno scontro c’è stato, ma di tutt’altra natura, tra la tipologia della organizzazione e quella dell’organismo. L’Unione politica avrebbe comportato la creazione di un organismo. E’ invece prevalsala la organizzazione. Il processo si è prodotto in cinque tappe. L’organismo è prevalso in due (1971 e 1988-1992). L’organizzazione in tre (1957, 1972, 1999). Con la terza l’organismo ha tagliato il traguardo.

Da dati di fatto così sintetizzati, risultano quattro sconvolgenti deduzioni.

a) L’Unione politica, che gli europei avevano sognato, oggetto di nobili ideologie, non è stata mai realizzata. “Requiem per una Europa mai nata”.

b) Gli Stati autori dei Trattati o che vi hanno dato adesione, ed il popolo europeo, risultante dalla somma dei popoli degli Stati membri, non hanno avuto alcuna parte nella conformazione dell’Europa concretamente realizzata.

c) Gli Stati europei che nel 1957 erano i primi nel mondo, si collocano agli ultimi posti in una graduatoria basata sul tasso medio di crescita della economia nel decennio 2002-2012.

d) Delle cinque rotture che si sono verificate, la seconda e la quarta non hanno prodotto effetti perché non hanno ricevuto concreta attuazione. Della depressione progressiva e generalizzata della economia europea devono ritenersi quindi responsabili le rotture n. 1, 3, 5. Costituiscono la base della opzione in favore della “organizzazione” e della estromissione dell’organismo, quindi dello Stato.

e) La organizzazione, tuttora presente, si caratterizza come entità duratura. Opererebbe sino a quando non sia stata distrutta o con un qualsiasi fattore la si sia fatta sparire. I popoli europei sarebbero condannati ad ulteriore deperimento se le istituzioni attuali non venissero rimosse. E’ indispensabile dunque procedere con urgenza.

Assegnarsi l’obiettivo della individuazione dei possibili fattori del fenomeno depressivo che ha colpito i popoli europei da più di mezzo secolo, è stata una decisione determinante. Ma il compito non è stato semplice. Si sono dovute formulare ipotesi, svilupparle, verificare ogni volta se fosse quella giusta. Il testo finale reca le conclusioni, non il modo in cui vi si è arrivati. Le conclusioni alle quali sono pervenuto non erano previste, né erano prevedibili. L’Europa, quale è stata e viene ancora presentata dai titolari degli uffici da essi stessi creati, non corrisponde a quella che gli Stati sovrani ed i popoli europei volevano. Può, anzi deve, essere abbandonata senza rimpianti. “Requiem per una Europa mai nata”. Quella vera non è ancora nata. E’ quella che si andrà a creare.

Giuseppe Guarino

Roma, 12 settembre 2015

 

* Il saggio inviato a titolo individuale, è stato accompagnato dalla seguente lettera:

Caro,

Scusami per il mio lungo silenzio. Sono rimasto in clausura a Roma. Il saggio che invio è dovuto al mio desiderio di chiarire a me stesso, una volta per tutte, le ragioni della perdurante decadenza dell’Europa. Sono stato messo sulla strada giusta da una osservazione che Guido Carli, Governatore della Banca d’Italia nel 1960, inserì all’inizio della sua prima Relazione all’Assemblea Generale dell’Istituto. Carli osservava che “la situazione relativa alla bilancia dei pagamenti del continente europeo e degli Stati Uniti si era rovesciata a vantaggio dell’Europa”. Carli in quel testo identificava l’Europa in tre Paesi, Francia, Germania e Italia.

Ho verificato il PIL complessivo dei tre Paesi e degli Stati Uniti nel 1957 e nel 2014. Il 1957 è la data del Trattato di Roma. Il risultato è sorprendente. I tre Paesi, effettivamente superiori agli USA nel 1957, oggi, a 57 anni di distanza risultano inferiori con un PIL pari alla metà di quello USA.

Se c’è un effetto ci deve essere una causa. I tre Paesi sono tra di loro diversi. Ma gli andamenti dopo 57 anni sono ancora abbastanza simili. I tre Paesi, per effetto della millenaria presenza nelle vicende storiche dell’Europa e del mondo, hanno strutture rigide. Il fattore produttivo della loro decadenza doveva quindi essere stato abbastanza forte. Mi sono dedicato a ricercarlo. Non è stato facile. Ho dovuto sviluppare e scartare molte ipotesi prima di trovare quella giusta. Ho raccolto le conclusioni nel breve saggio che ti unisco. Avendo seguito un obiettivo diverso da quelli correnti, sono diverse le conclusioni. Le conclusioni sono stupefacenti e sconvolgenti. Forse meriterebbero lo stesso giudizio che dedicò Galbraith alle opinioni antecedenti: “sono sorrette tuttavia dalla tremenda forza della verità”.

A me spetta rispondere alla domanda: che fare? Lo dirò in una seconda parte il cui testo è già quasi pronto. Ma preferisco attendere prima le reazioni alle conclusioni. Ne ho ricevuta una immediata, autorevole, molto favorevole.

Con molta amicizia.

G.G.

 


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