Economia
Reindustrializzazione degli USA: adesso viene la “Fase due” e riguarderà il dollaro
La Fase Uno della politica di Trump , quella dei dazi, , è stata implementata. Ora si passa alla fase due: la svalutazione del dollaro.

In soli cinque giorni, Donald Trump ha creato un clima di grande incertezza economica in tutto il mondo, facendo crollare indici di borsa e prezzi delle materie prime. Cosa succederà ora?
L’inizio della risposta si trova in una frase pronunciata la scorsa estate in un’intervista all’agenzia di stampa finanziaria Bloomberg: “Noi [gli Stati Uniti] abbiamo un grosso problema di tassi di cambio (…). Nessuno vuole comprare i nostri prodotti perché sono troppo cari! (…) È un peso enorme”.
Dopo lo tsunami dei dazi, la svalutazione del dollaro sarebbe la prossima ondata. Fa addirittura parte del piano elaborato da Donald Trump e ispirato dal suo giovane “capo economista”, Stephen Miran, nuovo presidente del prestigioso Council of Economic Advisers (CEA) della Casa Bianca.
La “dottrina Miran” fa il suo corso
In cosa consiste, in sintesi, la “dottrina Miran”? Dopo una prima massiccia ondata di dazi contro il mondo, il passo successivo consiste nell’esercitare pressioni sui Paesi stranieri e sugli investitori privati affinché scarichino i loro dollari. Questo ridurrebbe automaticamente il suo valore sui mercati. Già oggi, infatti, il biglietto verde è sopravvalutato a causa del suo status di valuta di riferimento a livello mondiale, utilizzata come riserva e principale mezzo di pagamento negli scambi commerciali.
L’obiettivo dell’amministrazione Trump con questo metodo è che il nuovo dollaro, non essendo più sopravvalutato, renderà più facile per gli Stati Uniti esportare, in quanto sarà più economico, e quindi aumenterà gli ordini delle industrie del Paese, che saranno in una posizione migliore per competere con la Cina. Un’altra ambizione di questa dottrina è quella di attirare maggiori investimenti da parte di aziende straniere negli Stati Uniti, perché l’esportazione di merci negli Stati Uniti diventerà molto più costosa con un dollaro più debole e alti dazi doganali.

Una scommessa ad alto rischio
Ma sul Financial Times l’economista americano Barry Eichengreen, professore all’Università di Berkeley, non crede a questa ambizione: “L’incertezza politica e i dubbi sullo stato di diritto americano minacciano di rendere l’America un Paese meno attraente in cui investire”. Peggio ancora, questa terapia d’urto presenta rischi enormi per l’economia statunitense. A cominciare dall’inflazione, che quest’estate potrebbe balzare al 4,5% negli Stati Uniti, rispetto all’attuale 2,8%.
“Soprattutto perché l’effetto inflazionistico di questa svalutazione e di questi dazi sull’economia interna logorerà l’opinione pubblica americana tanto quanto il suo portafoglio”. Trump potrebbe andare incontro a una forma di esaurimento sociale già nel 2025, costringendolo a cambiare posizione”, avverte Jean-Marie Cardebat, professore di economia all’Università di Bordeaux e all’Inseec, su The Conversation.
Da parte loro, gli economisti di Allianz Trade, uno dei principali assicuratori di credito alle imprese del mondo, indicano in una recente analisi che gli Stati Uniti non riusciranno a sfuggire a una recessione, con un calo dello 0,5% del prodotto interno lordo (PIL) tra il primo e il terzo trimestre del 2025. Peggio”, afferma Jean-Marie Cardebat. Non sarà solo la crescita degli Stati Uniti a rallentare, ma anche quella globale come effetto domino, con ripercussioni ancora maggiori sugli esportatori europei.
Una scelta obbligata, con tempistica politica
Resta un altro grande problema: l’enorme debito pubblico statunitense (circa 36.000 miliardi di dollari, pari a circa il 100% del PIL) è finanziato dagli acquisti esteri di titoli del Tesoro americano, denominati in dollari e quindi garanzia di fiducia. Se il biglietto verde si svaluta, che ne sarà di questo “privilegio esorbitante”, secondo le parole di Valéry Giscard d’Estaing, del dollaro come valuta globale.
Una recente nota degli economisti della banca statunitense Goldman Sachs tenta di dare una risposta: “Le tendenze negative nella governance e nelle istituzioni statunitensi stanno erodendo l’esorbitante privilegio di cui hanno goduto a lungo gli asset statunitensi, pesando sui rendimenti degli asset statunitensi e sul dollaro, e potrebbero continuare a farlo in futuro”. In altre parole, una perdita di fiducia nella forza del dollaro potrebbe impedire agli Stati Uniti di continuare a finanziare lo stile di vita della propria economia.
Thomas Piketty, l’economista francese autore del best seller “Il capitale nel XXI secolo”, ha fornito martedì mattina all’AFP la sua analisi della situazione: questa politica commerciale e monetaria “non funzionerà: il cocktail di Trump genererà semplicemente più inflazione e più disuguaglianza”. Però questo lo dice Piketty,
Chi possiede la ricchezza non ha votato Trump
Tutto questo discorso degli esperti servirebbe a ribadire che le azioni di Trump sono sbagliate a cattive perché portano un inflazione sa un lato e hanno fatto precipitare la borsa e i valori finanziri dall’altro. Un ragionamento molto vetero capitalista, che un Piketty, star socialista, non dovrebbe fare.
Il 93% del valore del mercato azionistico americano è posseduto del 10% della popolazione. Un 1% ne possiede il 50%. Il crollo della borsa ha un effetto su una piccola fetta di ricchi che, in questo momento, probabilmente non fa parte della base elettorale trumpiana, fatta di lavoratori della “rust belt” e di uomini che si svegliano la mattina per mettere insieme il pranzo e la cena.
L’inflazione, in una situazione di reshoring dell’attività produttiva, fa molto meno paura a chi appartiene alla mitica classe lavoratrice, perché comunque viene a portare ad una maggiore domanda di lavoro che dovrebbe stimolare anche gli stipendi. Il problema è invece per chi percepisce dei redditi fissi, dei rendimenti, come quelli dei titoli di stato.
Se mai la spinta inflazionistica è la soluzione per il problema di un debito pubblico che, altrimenti, non troverebbe una soluzione, neppure con la più feroce delle attività del DOGE. Sempre che la spinta inflazionistica si venga a realizzare.
L’economia è una scelta di priorità, di chi politicamente viene a essere al centro dell’interesse collettivo. Mentre i Dem si concentravano economicamente sul 10%, Trump ha deciso di iniziare con gli altri. Il che è curioso per chi, anche con la finanza, ha costruito la sua ricchezza.
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