Attualità
Quale futuro attende l’Italia in Europa? (di Paolo Savona)
Se Barry Eichengreen, un economista solitamente documentato e pacato nei giudizi, scrive che il patto offerto dall’UE alla Grecia porta questo paese fuori dall’euro e se Wolfgang Münchau, lo stimato editorialista del Financial Times, afferma che i creditori della Grecia “hanno demolito l’idea di un’unione monetaria come primo passo verso un’unione politico democratica” (chissà che ne pensa Ciampi della “zoppia” dell’euro divenuta difetto congenito) dobbiamo quanto meno riflettere sul futuro che attende l’Italia in Europa e prepararci ad affrontarlo, qualsiasi esso sia.
Perciò sono tornato a invocare la messa a punto di un Piano B da me avanzata nel 2010 per evitare che una crisi ci colga nuovamente impreparati e sotto attacco speculativo nel caso in cui venissimo a trovarci nelle condizioni della Grecia se un’alleanza tra Salvini e Grillo prevalesse alle prossime elezioni per l’incapacità del Governo Renzi di riconquistare la fiducia degli elettori o se solo si delineasse questa possibilità. Se continuiamo a ripetere, con la Banca d’Italia che si unisce al coro, che le cose volgono al meglio all’interno e in Europa, questa non appare un’ipotesi pellegrina.
L’Italia non può reggere un prolungato periodo di crescita bassa, inferiore al 3-4%, che non risolve il grave problema della disoccupazione, mentre le imprese del Nord prosperano esportando e investendo all’estero i propri profitti e il Sud boccheggia, con il Governo che continua imperterrito a redistribuire reddito e ricchezza dei risparmiatori senza saper frenare la famelica voglia di risorse dell’alleanza tra i politici e la burocrazia.
Ultimo esempio a Roma, ma penso tra breve anche altrove, proprio mentre Renzi promette di ridurre le tasse. Il Comune, avvalendosi di una direttiva europea sulla tutela dell’ecosistema, tramutata rapidamente in legge italiana, in barba all’impegno della mitica tassa unica comunale, ha imposto una nuova gabella ai cittadini tassando i condizionatori, come se una tassa potesse ridurre l’immissione della CO2 nell’atmosfera, mentre aumenta le risorse da spendere a fini parassitari. Infatti ha prontamente creato un’apposita società pubblica, che penso abbia i suoi presidenti, direttori, dirigenti e impiegati di cui non si è saputo nulla, che nella migliore delle ipotesi assorbiranno il gettito della nuova tassa. La mia valutazione è che non abbiamo minimamente capito il cul de sac in cui ci siamo messi, ossia (cito Münchau nel disperato tentativo di farmi ascoltare per il vizio tutto provinciale di ignorare le voci nostrane) viviamo in “un sistema in cui i forti schiacciano i deboli” e rinnovo la domanda di Münchau se esso “sia sostenibile”.
Noi continuiamo imperterriti a fare ciò che abbiamo sempre fatto, opprimere il cittadino in nome di una giustizia sociale di cui abbiamo perso i veri contenuti e rafforzare il parassitismo che opprime la crescita e l’occupazione. Né valgono per una svolta del consenso politico, l’attuazione delle riforme che ci chiede l’Europa per migliorare la competitività, perché esse aumenterebbero le esportazioni e non la domanda interna, quella che ci manca per far riprendere l’occupazione, perpetuando un modello da paesi emergenti non più coerente con le condizioni dell’Europa e del Paese. L’Italia ha da tempo un avanzo della bilancia estera corrente di circa il 2% del PIL, ossia un risparmio in eccesso, che non può utilizzare per i vincoli europei ai disavanzi di bilancio pubblico e perché gli investitori privati non credono nel futuro del Paese.
Credo, forse solo spero, che il Piano B già esista, almeno in Banca d’Italia, notoriamente la più attrezzata a farlo tra le burocrazie pubbliche, che hanno soppresso la fastidiosa presenza di propri centri studi, affidandoli a quelli al servizio interessato della politica. Se così non fosse sarebbe un vero dramma, perché testimonierebbe che le preoccupazioni di molti, oltre che dei due illustri economisti citati, non raggiungono i sordi che non vogliono sentire. E non basta sapere segretamente di averlo, perché si deve conoscerne l’esistenza per avvertire che l’Italia non intende consegnarsi a mani legate – come ha fatto la Grecia di Tsipras impreparata – al “sistema dei forti che schiacciano i deboli”.
Paolo Savona
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