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Economia

IL PRODOTTO INTERNO LORDO

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Una delle cose di cui si sente parlare quasi tutti i giorni è il pil, il prodotto interno lordo. E se si chiede che cos’è ci si sente rispondere: ” è l’insieme della ricchezza prodotta in un anno da un dato Paese”. Purtroppo con questo non se ne sa molto più di prima. Infatti in primo luogo ci si chiede come si possa misurare. Se Bertoldo coltiva qualche metro di terreno dietro casa sua e ogni anno mangia le lattughe che ha prodotto, quelle lattughe costituiscono certo una ricchezza, ma chi la misura? A parte Bertoldo che le mangia, nessuno sa che esistono.

Se ci si interessa più da vicino del problema, con l’onesto sforzo di saperne di più, si scopre che è materia tanto specialistica che non ci si capisce molto. E sicuramente si ha un moto di sorpresa scoprendo che fa parte del pil la spesa dello Stato. Dunque per i calcoli ufficiali la Regione Sicilia, invece di essere un buco nero per le finanze della nazione, è un posto in cui si crea ricchezza. Anche a costo di commettere qualche errore, di una tesi tanto aberrante si avrà pure il diritto di occuparsi.

Immaginiamo una famiglia in cui soltanto il padre lavora e gli altri vivono del denaro che egli spende per tutti. Il quantum di queste spese, addizionato degli eventuali accantonamenti (risparmio), potrebbe essere il prodotto interno lordo della famiglia. Purtroppo, secondo la dottrina ufficiale, il pil della famiglia sarebbe economicamente lo stesso se invece quel padre spendesse la metà del suo reddito nelle bische o con le prostitute. Infatti egli incasserebbe e spenderebbe sempre la stessa quantità di denaro. Ma come negare che nel secondo caso la famiglia starebbe infinitamente peggio? Per essa sarebbe come se il prodotto interno lordo fosse la metà.

È questo l’ostacolo che bisogna superare. Chi mangia un panino effettua un consumo ma effettua un consumo anche chi lo compra e lo getta nel fiume per vedere se galleggia. Il consumo infatti non è qualificato dalla sua ragionevolezza ma dalla soddisfazione che ne ricava chi lo effettua. Bisogna tuttavia distinguere chi guadagna e spende per sé – ed è libero di decidere il tipo di soddisfazione che vuol ricavare dal proprio denaro – e chi ha il dovere di spendere per gli altri e deve poi rispondere delle sue scelte. Il padre dell’esempio rischierebbe infatti di essere perseguito ai sensi dell’art.570 C.p.

Il caso dello Stato, in questo senso, è esemplare. Non soltanto esso ha il dovere di spendere per gli altri e non per sé, ma per giunta non spende denaro che ha guadagnato, spende un denaro che gli è stato affidato dai cittadini sotto forma di tributi, perché lo usi nel loro interesse. Se dunque esso si dà a spese pazze o tollera la corruzione, difficilmente si potrebbero serenamente ascrivere le spese effettuate alla ricchezza nazionale.

In attesa di meglio comprendere le ragioni tecniche dell’inclusione di tutte le spese dello Stato nel prodotto interno lordo, può certo dirsi che questa inclusione è condizionata, moralmente ed economicamente, dal risultato ottenuto. Se l’erario spende per una scuola efficiente, si tratta di un investimento a lungo termine e si produce ricchezza: perché non si può avere una società sviluppata e prospera composta di analfabeti. Analogamente sono benedetti i soldi spesi per i Carabinieri, per illuminare le strade e per le Forze Armate. Ma se i vertici militari comprassero aerei da caccia costosi ed obsoleti soltanto perché i produttori hanno offerto loro, sottobanco, delle enormi regalie, non si potrebbe certo applaudire quella spesa. Giuridicamente essa farebbe parte della ricchezza prodotta, sostanzialmente sarebbe un cospicuo danno inflitto alla comunità nazionale.

È giusto che l’uso delle risorse economiche da parte dello Stato faccia parte del pil nella misura in cui esso è onesto e ragionevole. Gli sprechi e la corruzione invece non dovrebbero farne parte. Certo, è difficile distinguerli, e forse soltanto i tecnici ad alto livello potrebbero suggerire qualche buon sistema, al riguardo, ma il principio è intangibile. E se uno Stato come il nostro ha un’eccessiva tendenza agli sprechi e alla corruzione, bisognerebbe per cominciare limitare le occasioni di mal fare, limitando la spesa pubblica all’assolutamente indispensabile. Se così fosse, i cittadini sarebbero poi felici di includere la spesa dello Stato nel prodotto interno lordo.

Purtroppo molti impenitenti statalisti rimangono convinti che se lo Stato assume dei disoccupati per far fare loro qualcosa di inutile, e li paga, con ciò stesso ha creato ricchezza: perché poi quei disoccupati spendono. Senza pensare che lo schema non sarebbe diverso se quei soldi gli venissero regalati. Ma non c’è modo di convincere chi ha quella religione. Dunque rassegniamoci a tenerci la recessione, la stagnazione, o comunque si chiami oggi la miseria.

Gianni Pardo, [email protected]

7 agosto 2014


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