Economia
Powell a Jackson Hole: svolta epocale! Addio all’inflazione media, ma la porta resta aperta ad un taglio dei tassi
Jerome Powell sorprende i mercati: da un lato apre a un “cauto” taglio dei tassi a settembre per i rischi sull’occupazione, dall’altro annuncia la fine della disastrosa politica di “average inflation targeting”. Ecco cosa cambia per la Fed.

Il discorso di Jerome Powell oggi alla conferenza di Jackson Hole ha sganciato una doppia bomba sui mercati, delineando una rotta complessa per la Federal Reserve tra le sfide del presente e gli errori del passato. Due sono stati i pilastri del suo intervento: la politica monetaria a breve termine, con un’apertura a possibili tagli, e una rivoluzione copernicana nel framework strategico di lungo periodo.
La politica monetaria: equilibrismi fra tagli e inflazione
Powell ha ufficialmente aperto la porta a un taglio dei tassi a settembre, riconoscendo che l’equilibrio dei rischi sta cambiando e le preoccupazioni sul mercato del lavoro aumentano. Le sue parole chiave sono state che il “shifting balance of risks may warrant adjusting our policy stance,” (il mutevole equilibrio dei rischi potrebbe giustificare un aggiustamento della nostra politica) ma ha subito aggiunto che ogni mossa sarà fatta “carefully.” (con cautela).
Questa cautela è d’obbligo. Powell ha infatti smorzato gli entusiasmi evidenziando le forti pressioni inflazionistiche ancora presenti. Ha previsto che l’indice dei prezzi core PCE a 12 mesi di luglio (in uscita la prossima settimana) accelererà ulteriormente, raggiungendo il 2,9%. Tagliare i tassi mentre l’inflazione accelera è un’operazione delicatissima che rischia di spaventare il mercato obbligazionario e far impennare i tassi a lungo termine. Un déjà-vu pericoloso di quanto accaduto nel 2024, quando la Fed tagliò di 100 punti base e i rendimenti a lungo termine, per tutta risposta, salirono di oltre 100 punti base, vanificando la mossa.
Powell ha quindi parlato di un “aggiustamento cauto” del tasso di riferimento, non di una serie aggressiva di tagli. Nelle sue parole:
“In the near term, risks to inflation are tilted to the upside, and risks to employment to the downside—a challenging situation. When our goals are in tension like this, our framework calls for us to balance both sides of our dual mandate.
Our policy rate is now 100 basis points closer to neutral than it was a year ago, and the stability of the unemployment rate and other labor market measures allows us to proceed carefully as we consider changes to our policy stance.
Nonetheless, with policy in restrictive territory, the baseline outlook and the shifting balance of risks may warrant adjusting our policy stance.”
“Nel breve termine, i rischi per l’inflazione sono orientati al rialzo e quelli per l’occupazione al ribasso: una situazione difficile. Quando i nostri obiettivi sono in tensione come in questo caso, il nostro quadro operativo ci impone di bilanciare entrambi gli aspetti del nostro doppio mandato.
Il nostro tasso di riferimento è ora 100 punti base più vicino al livello neutro rispetto a un anno fa e la stabilità del tasso di disoccupazione e di altri indicatori del mercato del lavoro ci consente di procedere con cautela nel valutare eventuali modifiche al nostro orientamento di politica monetaria.
Tuttavia, con una politica monetaria restrittiva, le prospettive di base e il mutato equilibrio dei rischi potrebbero giustificare un adeguamento del nostro orientamento di politica monetaria”.
Quest’ultima frase – “may warrant adjusting our policy stance” – era tutto ciò che il mercato voleva sentire. Il testo del discorso è stato rilasciato prima dell’intervento e gli algoritmi di trading hanno reagito in un istante: ancora prima che Powell iniziasse a parlare, le azioni sono balzate e il rendimento del decennale è sceso.
Powell ha poi analizzato la curiosa dinamica del mercato del lavoro, indebolito sia dal lato dell’offerta (a causa delle politiche sull’immigrazione) sia dal lato della domanda. Questo ha creato una situazione anomala in cui il rallentamento delle assunzioni non ha generato un aumento significativo della disoccupazione, che rimane su minimi storici (tra il 4,0% e il 4,2% da maggio 2024).
“It is a curious kind of balance that results from a marked slowing in both the supply of and demand for workers. This unusual situation suggests that downside risks to employment are rising. And if those risks materialize, they can do so quickly in the form of sharply higher layoffs and rising unemployment.”
“È un equilibrio curioso quello che si crea quando si verifica un forte rallentamento sia dell’offerta che della domanda di lavoro. Questa situazione insolita suggerisce che i rischi di un calo dell’occupazione sono in aumento. E se tali rischi dovessero concretizzarsi, potrebbero manifestarsi rapidamente sotto forma di un forte aumento dei licenziamenti e dell’occupazione”.
Ma subito dopo, è tornato il respiro affannoso sull’inflazione. Powell ha messo in guardia sui rischi di una spirale inflazionistica duratura, alimentata ad esempio dai dazi, e sul pericolo che le aspettative di inflazione si disancorino dopo oltre quattro anni sopra il target.
“Come what may, we will not allow a one-time increase in the price level to become an ongoing inflation problem.”
“Qualunque cosa accada, non permetteremo che un aumento una tantum del livello dei prezzi si trasformi in un problema di inflazione persistente”.
La rivoluzione di Lungo Periodo: la fine dell’ “Average Inflation Targeting”
La vera svolta epocale, però, è nel framework strategico. La Fed ha ufficialmente messo una pietra sopra all’“average inflation targeting” (obiettivo di inflazione media), la disastrosa strategia introdotta nell’agosto 2020. Quel framework prevedeva che la Fed avrebbe lasciato correre l’inflazione “moderatamente al di sopra del suo obiettivo del 2%” per compensare i periodi in cui era stata al di sotto.
Il risultato di quella linea guida fu lo shock inflazionistico che ne seguì. L’inflazione iniziò a divampare all’inizio del 2021, ma la Fed, prigioniera della sua nuova dottrina, continuò per 15 mesi con tassi a zero e un massiccio Quantitative Easing.
Una politica che molti, incluso l’analista Wolf Richter, definirono da “the most reckless Fed ever” (la Fed più sconsiderata di sempre). Quando la Fed effettuò il primo rialzo nel marzo 2022, l’inflazione CPI era già all’8,5%. Questa politica fu responsabile, tra le altre cose, dell’esplosione dei prezzi delle case (+50% in meno di tre anni), alimentata da tassi sui mutui sotto il 3% mentre l’inflazione reale superava il 9%.
Oggi, la Fed ha ucciso quell’odioso concetto e ha ripristinato un approccio più tradizionale. Nelle parole conclusive di Powell:
“La nostra dichiarazione rivista sottolinea il nostro impegno ad agire con determinazione per garantire che le aspettative di inflazione a lungo termine rimangano ben ancorate, a vantaggio di entrambi gli aspetti del nostro doppio mandato.
Essa rileva inoltre che “la stabilità dei prezzi è essenziale per un’economia sana e stabile e sostiene il benessere di tutti gli americani”. Questo tema è emerso con forza e chiarezza durante i nostri eventi Fed Listens. Gli ultimi cinque anni ci hanno dolorosamente ricordato le difficoltà che l’inflazione elevata impone, in particolare a coloro che sono meno in grado di far fronte all’aumento dei costi dei beni di prima necessità”.

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