Difesa
Il Ponte sullo Stretto di Messina: una soluzione strategica per non sprecare i soldi degli obblighi NATO
Il Governo Meloni propone di classificare il Ponte sullo Stretto (€13,5 miliardi) come “spesa per la difesa” per raggiungere gli obiettivi NATO. Una mossa audace o un tentativo di aggirare i vincoli di bilancio? Tra sogni infrastrutturali e rischi sismici, il futuro del maxi-progetto è appeso a un filo, tra polemiche e sfide con UE e NATO.

Il governo italiano, guidato da Giorgia Meloni, ha annunciato un piano audace: classificare il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, dal costo stimato di 13,5 miliardi di euro, come spesa per la difesa.
Questa mossa, svelata di recente, mira a contribuire al raggiungimento degli obiettivi NATO, che richiedono ai membri di destinare il 3,5% del PIL alle capacità militari entro il 2035, con un ulteriore 1,5% per la resilienza strategica, inclusa la costruzione di infrastrutture essenziali.
Ma è davvero questa la soluzione per allineare l’Italia agli standard NATO e stimolare l’economia, o si tratta di una strategia per aggirare i vincoli di bilancio?
Premettiamo che l’obbligo di aumentare le spese per la difesa può essere un’opportunità se utilizzato in modo intelligente per investimenti infrastrutturali, tecnologici e doppio uso, ma anche una zavorra fiscale assura e insostenibile, se viene a generare solo navi stazionate nei porti, carri armati che arrugginiscono nelle caserme senza manutezioni, e missili che diventano obsoleti nei depositi. In questo caso flessibilità mentale e di bilancio dovrebbero, almento in teoria, andare a braccetto.
Progetto ambizioso con implicazioni strategiche
Il Ponte sullo Stretto di Messina, che collegherà la Sicilia alla terraferma con una campata di 3,3 km (rendendolo il ponte sospeso più lungo al mondo), è un sogno infrastrutturale che risale all’epoca romana.
Approvato in linea di principio nel 1998, il progetto ha subito numerosi stop-and-go, con un contratto da miliardi di euro assegnato nel 2006 a un consorzio guidato da Impregilo (oggi Webuild), poi cancellato a causa della recessione.
Nel 2023, il governo italiano ha rilanciato il piano, con l’avvio della costruzione previsto per l’estate 2025. Matteo Salvini, ministro delle infrastrutture, ha stanziato 13,5 miliardi di euro per il progetto, che il governo intende ora presentare come un asset di “doppio uso” per la difesa. L’idea è che il ponte migliori l’efficienza militare, facilitando il trasporto di truppe ed equipaggiamenti verso la Sicilia, un’area strategicamente rilevante nel Mediterraneo.
Inoltre, questa classificazione potrebbe attirare finanziamenti della Commissione Europea nell’ambito del Piano d’Azione per la Mobilità Militare, a patto che il progetto soddisfi tre requisiti: essere essenziale, non avere alternative valide e includere misure ambientali compensative.
Impatti economici e occupazionali
Secondo Michele Longo, direttore tecnico di Webuild, il ponte avrà un impatto significativo sull’economia locale e nazionale. Si prevede che il progetto generi un incremento del PIL nazionale di 2,9 miliardi di euro all’anno (0,17% del PIL) e coinvolga fornitori, soprattutto PMI delle regioni Sicilia e Calabria, dove i tassi di disoccupazione sono elevati.
Durante la sua realizzazione, si stima che il progetto possa occupare oltre 100.000 persone, creando opportunità dirette e indirette nell’economia locale.
Sfide e critiche
Nonostante l’entusiasmo, il progetto non è privo di ostacoli. Lo Stretto di Messina è una delle aree più sismicamente attive d’Europa, situata su una faglia. Inoltre, le forti correnti marine complicano la costruzione.
Webuild assicura che il ponte sarà progettato per resistere a un terremoto di magnitudo 7,5, superiore a quello devastante del 1908. Tuttavia, critici sostengono che classificare il ponte come spesa per la difesa sia un tentativo di gonfiare artificialmente il bilancio militare italiano, che nel 2024 ha raggiunto solo l’1,49% del PIL, ben al di sotto della media NATO. Però rimane sempre il fatto che la spesa per il Ponte sembra molto migliore che il finanziamento di 300 carri armati o dell’acquisto di 50 F-35 che, al pubblico, non rendono nulla, anzi costano di carburante e manutenziaone, senza garantire poi un’effettiva utilità in caso di confluitto.
Alcuni esperti dubitano che la NATO accetterà questa riclassificazione, vedendola come una mossa per aggirare i target di spesa. Anche l’accesso ai fondi europei potrebbe essere a rischio, se il progetto non dimostrerà di soddisfare i criteri richiesti. Sar compito dei politici e dei progettisti aggirare questi problemi.
Opportunità o rischio?
Il Ponte sullo Stretto rappresenta un’opportunità per modernizzare le infrastrutture italiane, migliorare la connettività e stimolare l’economia di regioni svantaggiate. Tuttavia, la sua classificazione come spesa militare solleva interrogativi sulla trasparenza e sulla reale fattibilità del progetto. Riuscirà l’Italia a convincere NATO e Unione Europea della sua strategicità? O si tratta di un ambizioso piano che rischia di rimanere intrappolato tra sfide tecniche e politiche?
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