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PERCHE’ INVECE NON SBATTIAMO FUORI DALL’EURO LA GERMANIA? (di Antonio M. Rinaldi)

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Cercheremo ora di valutare la tesi, più volte invocata dallo scrivente, dove viene sostenuto che allo stato attuale sarebbe quanto mai opportuno valutare l’ipotesi alternativa dell’uscita della Germania dall’euro invece di qualche singolo o gruppo di paesi.

Non si tratta infatti di una battuta provocatoria, ma di una ipotesi più che mai realistica, una proposta da valutare fra le opportunità che possono essere prese in seria considerazione.

Ci riferiamo, con allusione al Piano A, cioè al piano per poter rimanere nella moneta unica e al Piano B per consentire invece l’uscita in modo ordinato a disposizione di tutti i paesi compreso il nostro, anche alla possibilità d’invitare o meglio suggerire alla Germania di rendere esecutivo il piano, per l’appunto il Piano D (Deutschland), che hanno certamente predisposto anche loro, ma con modalità e motivazioni diverse prevedendo, per l’appunto, il ritorno alla loro valuta nazionale.

L’idea prende spunto dalla considerazione che, quando Paolo Savona anni fa espresse per primo la necessità che “una consapevole classe dirigente politica e istituzionale italiana avrebbe dovuto dotarsi di un serio e credibile piano B per poter ordinatamente uscire dalla moneta unica in caso di estrema necessità”, la situazione economica italiana, europea e mondiale era molto diversa dall’attuale.

Era allora necessario disporre di una effettiva alternativa da contrapporre alle insistenze sempre più pressanti della governance europea nei nostri confronti che, con vincoli sempre più stringenti, iniziava a non lasciare più adeguati margini di manovra per la nostra sopravvivenza non solo economica.

Come abbiamo poi saputo successivamente dall’ex Ministro Tremonti, il nostro Paese si era dotato di un Piano B nell’estate del 2011 nel pieno della crisi dello spread, poi nessuno ha ritenuto di utilizzarlo, almeno come deterrente, nel corso delle trattative sui vari tavoli europei, indebolendo ulteriormente il nostro già scarso peso contrattuale. Non abbiamo mai ritenuto opportuno mostrare i muscoli sapendo che non avremmo mai avuto il coraggio di utilizzarli anche in situazioni di “spalle al muro”.

Questa convinzione nella piena consapevolezza che se fossimo sempre stati disponibili nel dare il nostro assenso a qualsiasi richiesta proveniente da Bruxelles. Berlino o da Francoforte, non saremo mai stati in grado di poter ottenere nulla, mentre se forniti di un piano alternativo credibile e dettagliato per ritornare alla sovranità monetaria, saremmo riusciti senz’altro a perorare molto meglio le nostre istanze.

Un po’ come quando ci si rapporta in famiglia nell’essere accondiscendenti e disponibili ad accettare qualsiasi richiesta da parte degli altri componenti, finendo per passare immancabilmente per deboli con prospettive di essere ulteriormente presi in giro. La teoria dei giochi impone di avere possibilità alternative per non sottostare completamente alla volontà dell’interlocutore che altrimenti ti considera in sua totale balìa!

D’altra parte permanere all’interno del Piano A, nella perenne impossibilità di rispettare delle assurde e anacronistiche regole indispensabili per rimanere nella moneta unica, ulteriormente peggiorate dalla messa a regime del Fiscal Compact, dettate essenzialmente dal modello suggerito dalla Germania, culturalmente e ideologicamente ancora ostaggio di un modello economico teso principalmente al contenimento dell’inflazione e al rigore dei conti a tutti i costi, non ci consente di toglierci il cappio che inesorabilmente si sta stingendo intorno al collo della nostra economia.

Essendo questa condizione non solo italiana e ormai comune a molti paesi dell’area euro, ad iniziare dalla Francia, allora perché non valutare invece l’opportunità d’invitare i nostri amici tedeschi a ritornare al loro amato e rimpianto marco rendendo esecutivo il Piano D? Perché il Piano D lo hanno anche loro predisposto da tanto: certamente come tutti gli altri partners sin dai tempi di Maastricht!

D’altra parte va considerato che in Germania prevale sempre più l’errata convinzione che siano proprio loro nel “pagare” i costi della sostenibilità dell’euro e che la rigidità pretesa nel rispetto regole sia solo come la garanzia di fronte all’elettorato di condizionare a loro vantaggio tutti gli altri paesi e tenerli al guinzaglio. La popolazione tedesca e gli stessi politici sono convinti che il “costo” dell’euro gravi esclusivamente sulle proprie spalle e che il “conto” lo stiano pagando solo loro e di conseguenza non disponibili a fare più sconti per nessuno. Sono fermamente convinti che il loro presunto sacrificio postuli che i cittadini dei paesi in difficoltà stringano ulteriormente la cinta e i relativi governi facciano la loro parte nell’impegnarsi a ristrutturare le loro finanze secondo le volontà decise dalla Troika europea che prevede nuovi tagli di spesa, compresa quella sociale, riduzione del personale pubblico, riforme sul costo del lavoro e pensionistico e il tutto accompagnato da incrementi sensibili di imposizioni fiscali.

Questo dato di fatto non consente facilmente di ricordargli che proprio la Germania è il paese europeo che di fatto ha tratto più vantaggi dall’aggregazione monetaria, a iniziare dalla posa del primo simbolico mattone per la costruzione della futura moneta unica proprio nel giorno della caduta del Muro di Berlino avvenuta il 9 novembre 1989.

Da allora la Germania si è appropriata del condizionamento delle scelte e degli indirizzi di politica economica e monetaria dell’intera Europa, ma anche di beneficiare di enormi aiuti concreti per l’integrazione di quella parte dell’est rimasta notevolmente arretrata.

Pochi sono a conoscenza che nello stesso Trattato di Maastricht firmato nel 1992, vi erano previsti per vent’anni, ma ancora inspiegabilmente non abrogati, aiuti statali in deroga dei territori ex DDR! Aiuti mai previsti o concessi dalla Commissione Europea neanche a favore delle aree più depresse dell’Unione Europea che continuano a favorire oltremodo la competitività delle aziende tedesche nei confronti delle nostre, da sempre uniche competitors sul piano tecnologico.

Ma non si è mai avuta notizia che qualcuno glielo abbia mai fatto presente, quando qualche smemorato politico tedesco ancora “sbraita” nel ricordarci in malo modo che noi siamo cicale e loro formiche e che detenendo patrimoni personali più ricchi dei loro dovremmo essere disponibili a ulteriori sacrifici.

 

Dimenticano, o vogliono volutamente dimenticare, che questa situazione di disagio ha origini dal comportamento errato del mondo finanziario, nel quale le istituzioni finanziarie tedesche ricoprono da sempre posizioni privilegiate. E poi la memoria non gli consente di ricordare che il pesante costo della riunificazione, non solo finanziaria ma anche politica, lo hanno pagato in silenzio tutti i cittadini europei a iniziare da quelli che ora si trovano in difficoltà!!!

La struttura delle economie di tutti gli altri paesi richiedono politiche economiche che si discostano notevolmente da quelle imposte fino ad ora e basate esclusivamente sull’austerità e non su stimoli alla crescita, il tutto finalizzato solo al miglioramento dei saldi contabili dei deficit e dei debiti pubblici.

Come più volte denunciato, l’economia tedesca si avvantaggia enormemente dell’appartenenza all’area euro, al punto da poter constatare che negli ultimi anni ha accumulato surplus commerciali superiori al limite del 6% sul PIL così come vietato dai Trattati, principalmente per effetto della sottovalutazione della valuta euro rispetto ai fondamentali della sua economia che altrimenti, in presenza di una valuta autonoma, avrebbe innalzato il suo corso rispetto alle altre divise di riferimento mondiali ad iniziare dal dollaro e abbassato conseguentemente le altre dell’area europea.

L’abilità della Germania è stata quella di riuscire a sostenere la costruzione europea esclusivamente su parametri finanziari che riguardavano l’aggregazione monetaria, mentre l’euro sarebbe dovuto essere semmai il complemento finale dell’Unione e non il mezzo per poterla conseguire.

Accondiscendendo a questo schema, in modo più o meno consapevole, abbiamo consegnato il coltello dalla parte del manico!

E allora perché non convincere i nostri amici tedeschi a liberarci dal loro pressante condizionamento, che ha messo in ginocchio tutte le economie europee con ben pochi spazi per il futuro?

Proprio così: il problema ormai non è tanto la Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Cipro, Malta, Slovenia, Italia ed ora anche la Francia: il vero problema si chiama Germania, ovvero la determinazione nel condizionare le scelte economiche imponendo il loro modello economico, il quali non tiene conto delle esigenze degli altri.

Tecnicamente poi i tedeschi potrebbero abbandonare l’euro senza grandi traumi, in quanto la nuova valuta, che verosimilmente sarebbe chiamata nuovo marco, si rivaluterebbe subito nei confronti dell’euro e i cittadini non si affretterebbero a nascondere sotto il materasso le banconote comunitarie, ma correrebbero in banca a concambiarle nella consapevolezza di sicura rivalutazione.

Del resto lo schema già lo conoscono perfettamente, avendo fatto la stessa cosa ai tempi della riunificazione, quando i marchi (si chiamavano anche loro così, ma erano più assimilabili a quelle del Monopoli) circolanti nella parte Est, furono sostituiti alla pari con quelli “buoni” dell’Ovest. Per chi non avesse lo ancora capito, quel concambio di fatto l’abbiamo pagato anche noi perché i relativi costi sono stati “spalmati” su tutta l’Europa.

Se non sono disponibili nel prendere coscienza che stanno portando il resto dell’Europa allo sfascio economico e sociale per la cecità dimostrata nella conduzione economica in nome delle loro convinzioni, convinciamoli che è meglio che ognuno possa scegliere di seguire la propria strada o permettere di trovare nuove alleanze.

Questa certezza dovrebbe indurre alcuni illuminati politici rimasti in qualche angolo d’Europa, nel sollecitare la Germania a considerare che se vogliono continuare a far parte dell’attuale aggregazione monetaria, devono necessariamente cedere parte di questo enorme vantaggio, condividendo almeno le politiche economiche poste a supporto della moneta comune con tutti gli altri partecipanti.

Finché questo non avverrà, la Germania avocherà sempre più a se il diritto d’imporre le linee guida secondo i suoi precetti, pretendendo regole sempre più rigide e convergenti verso i suoi interessi che, come abbiamo più volte verificato, difficilmente hanno mai conciso con quelli degli altri.

Ma l’amarezza più forte è constatare che la Germania avrebbe potuto costituire per l’Europa elemento di stabilizzazione e di coesione sociale, mentre per l’ennesima volta rischia di riproporre problemi assimilabili a quelli che hanno afflitto il Continente europeo negli ultimi secoli, a cui nessuno è stato mai capace di risolverli in modo definitivo e non traumatico.


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