Attualità
Perché il pareggio di bilancio va abrogato. di F. Dragoni e A.M. Rinaldi
Ringraziamo Luciano Barra Caracciolo per averci negli anni, con la sua costante e puntuale azione divulgatrice per mezzo di Orizzonte48, fornito preziosi strumenti conoscitivi per comprendere i valori e le finalitá insite nella nostra Costituzione e i tentativi perpetrati per depotenziarla per non renderla attuabile.
Approda in Parlamento la proposta di modifica dell’articolo 81 della Costituzione. La legge costituzionale n. 1/2012 voluta dal governo Monti inoculava nella nostra carta il cosiddetto Fiscal Compact, un trattato intergovernativo stipulato fra 25 dei 28 Stati dell’Unione. Veniva introdotto il principio secondo il quale tutte le amministrazioni pubbliche avrebbero dovuto assicurare l’equilibrio tra entrate e uscite con tanto di meccanismi correttivi da attivarsi automaticamente in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi. In teoria puro buon senso; in pratica una sciagura peraltro approvata con il concorso di una maggioranza parlamentare superiore ai due terzi del totale ed in un clima di sconcertante sudditanza nei confronti dell’Unione Europea.
“La modifica non fu il frutto di una discussione nel Paese ma di una decisione della BCE che molto brutalmente ci disse ‘o la approvate o vi chiudiamo i rubinetti’; non avremmo cioè avuto i fondi per pagare stipendi e pensioni” ammise candidamente quattro anni dopo il ministro della giustizia Andrea Orlando.
Uno dei tanti sacrifici offerti al grande sacerdote della tecnocrazia europea dopo aver rovesciato un governo democraticamente legittimo per far postoal curatore fallimentare Mario Monti voluto e sponsorizzato da BCE, Commissione UE e Fondo Monetario Internazionale (la cosiddetta Troika).
Il modello di economia promosso dalla Costituzione del 1948 poggiava sul raggiungimento della piena occupazione. Il principio del pareggio di bilancio rappresentava invece la tappa conclusiva di un processo volto a depotenziare se non addirittura stravolgere quel motore di sviluppo e garanzia per i diritti di cittadini e lavoratori che era stata l’Italia del dopoguerra e del boom economico. Nasceva un altro sistema apertamente antitetico a quello voluto dai Padri Costituenti (ispirati dal pensiero di Federico Caffè); un sistema modellato sulla stabilità dei prezzi e sul fobico controllo dell’inflazione dove il rigore nei conti pubblici sarebbe stato (secondo loro!) il carburante della crescita.
Provate a chiedervi se dal 1945 l’Italia avesse rispettato il pareggio di bilancio o gli stessi parametri di Maastricht cosa sarebbe mai riuscita a realizzare. Cammineremmo probabilmente ancora fra le macerie come molti dei paesi che hanno un rapporto debito/PIL inferiore al 40% (dal Botswana allo Swaziland; dall’Eritrea al Burundi). Insomma, quella modifica forzata dell’articolo 81 ha il sapore della classica “polpetta avvelenata” inserita nel dettame costituzionale per neutralizzarne i principi ispiratori e favorire la nascita di un modello basato sulla compressione dei salari e la delocalizzazione industriale.
Se si è vincolati al pareggio di bilancio, come è possibile perseguire quanto espresso dalla Costituzione stessa? Se lo Stato smette di immettere risorse dentro l’economia tassando più di quanto spende, quali risparmi privati potranno generarsi? Quali spinte alla domanda interna potranno mai esserci? Sbuca un nuovo modello plasmato su misura delle élite e sempre più distante dall’economia reale fatta di piccole e micro imprese; artigiani, lavoratori e professionisti. Il pensiero unico dominante non la smette mai con la sua giaculatoria. Lo Stato deve comportarsi come il buon padre di famiglia perché se spende di più di quanto incassa, a forza debiti andrà in bancarotta; dimenticando (volutamente) che uno Stato che conserva la sua sovranità, e quindi la sua dignità, deve innanzitutto tutelare i propri azionisti, pardon, i cittadini. Uno Stato che emette la sua moneta non potrà mai rimanerne privo al contrario delle imprese, delle famiglie e degli enti locali che quella moneta, invece, utilizzano. Loro si che sono costretti a bilanciare le uscite con le entrate. Ecco perché non potrà mai fallire! Il coscienzioso padre di famiglia deve per caso costruire strade, ponti, scuole, ospedali? Deve mantenere l’ordine pubblico e dotarsi di un esercito? Deve amministrare la giustizia o pagare le pensioni? E’ per soddisfare queste sacrosante necessità che nasce il moderno stato nazionale, stupidamente demonizzato nel nome di un folle progetto: gli Stati Uniti d’Europa. Altra gigantesca follia che sovverte esplicitamente il nostro ordine costituzionale dal momento che l’articolo 139 sancisce l’impossibilità di modificare la forma repubblicana del nostro stato anche per via democratica. Il tutto condito con l’utilizzo a sproposito di termini mutuati dal diritto commerciale anglosassone come “governance”.
Ma la Costituzione non può e non deve essere sottomessa ai trattati internazionali. La Corte Costituzionale con la sentenza 238/2014 stabilisce la necessità e la presenza di precisi “controlimiti”. I principi fondamentali della Costituzione e i diritti inalienabili della persona sono infatti un limite insuperabile. La piena occupazione, ma più in generale il lavoro, rientrano proprio in quei principi fondamentali che la sentenza della Consulta disegna come ideale ed invalicabile linea del Piave. Va quindi rimosso dalla Costituzione il “corpo estraneo” del pareggio di bilancio. Un tumore che impedisce il perseguimento della crescita, della piena occupazione finendo per ledere i diritti inalienabili – e non negoziabili – sanciti dalla Costituzione. Un intervento chirurgico necessario alla sopravvivenza del paziente: noi!
Fabio Dragoni e Antonio M. Rinaldi, La Verità, 10 agosto 2018
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