Economia
Paolo Manasse: ecco le vere radici della stagnazione italiana
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di Erika Di Dio – 19 Jun 2013 – 17:11
L’Italia sta affrontando la sua peggiore recessione nella storia recente, dopo aver perso circa l’8,5% del PIL tra il 2007 e il 2013. La situazione attuale è, in larga misura, la conseguenza della crisi dell’Eurozona e delle dure misure di austerità fiscale, introdotte in tutta Europa, e in particolare in Italia. Dal 2007, il saldo primario italiano è migliorato di 3,3 punti di Pil potenziale secondo l’OCSE, quasi esclusivamente attraverso l’aumento delle tasse.Tuttavia, in una nuovo documento intitolato “Le radici della stagnazione italiana” (2013), io sostengo che l’incapacità dell’economia italiana a tirarsi fuori da questa recessione risiede principalmente nell’eredità del ’decennio perduto’ di mancate riforme nei mercati dei prodotti, del lavoro e del credito. La crisi ha portato alla luce e ha reso più drammatici i problemi che l’Italia ha ignorato per troppo tempo.
Competitività
La competitività misura il prezzo delle merci straniere rispetto a quello dei prodotti nazionali. La misura dei costi unitari del lavoro è particolarmente interessante perché non è influenzata da politiche di prezzo delle imprese, che possono variare nel tempo e dai mercati.
Gli indici dei costi unitari del lavoro per l’Italia (linea verde) e la Germania (linea blu) sono mostrati in figura 1. Tra il primo trimestre del 2001 e l’ultimo del 2011, il costo unitario del lavoro in Italia è aumentato di 23 punti percentuali in più rispetto ai suoi partner commerciali (unapprezzamento reale), mentre i costi unitari del lavoro in Germania sono diminuiti di 9,7 punti percentuali (un deprezzamento reale) . Che cosa spiega l’enorme aumento dei costi unitari del lavoro in Italia?
… e oltre
Ho decomposto la ’competitività’, nelle sue determinanti principali. Un paese diventa più competitivo, se il salario nazionale medio per ora cade, se la relativa produttività media del lavoro nazionale aumenta, se l’aliquota previdenziale relativa pagata dai datori dai lavoratori nazionali cade, e se il tasso di cambio nominale si deprezza. In questo contesto, un paese può migliorare la propria competitività con una ’svalutazione fiscale’, ossia attraverso un aumento del tasso dell’IVA, che esenta le esportazioni nazionali, ma colpisce le merci importate, e con un taglio dei contributi previdenziali (che avvantaggia i produttori nazionali, ma non quelli stranieri).
Compenso orario del lavoro
La Figura 2 mostra l’evoluzione del costo medio di un’ora di lavoro in Italia e in Germania nell’ultimo decennio. Nel 2000, il prezzo di un’ora di lavoro in Germania è stato quasi il doppio che in Italia (circa 19 euro rispetto a 10,9). Nel decennio successivo i salari nominali per ora sono stati convergenti, anche se non completamente: essi sono aumentati del 39,5% in Italia contro il 21,1% della Germania.
Produttività oraria del lavoro
La produttività del lavoro, tuttavia, non ha seguito i salari. La figura 3 mostra che la produttività del lavoro ha subito una completa stagnazione in Italia (+2,7% nell’intero periodo), mentre è aumentata notevolmente in Germania (+16,7%). Come risultato, al netto delle imposte, i costi unitari del lavoro in Italia sono saliti circa del 32,5% più rapidamente che in Germania.
Contributi previdenziali e imposte di consumo
La Figura 4 mostra l’aliquota fiscale media sui contributi previdenziali versata dai datori di lavoro. La differenza tra i livelli della Germania e dell’Italia è sorprendente, anche se abbastanza stabile (il tasso italiano è sceso di due punti e il tedesco di un punto tra il 2000 e il 2012).
Le imposte sui consumi mostrano una diversa dinamica. A partire dal 2006, la Germania ha aumentato notevolmente la sua dipendenza dall’IVA, producendo così una ’svalutazione fiscale’ di circa un punto percentuale, mentre dal 2006 al 2009, l’Italia ha fatto il contrario. Durante l’intero periodo, tuttavia, le variazioni delle aliquote fiscali sono state piuttosto piccole.
La mancanza di competitività dell’Italia
La tabella 1 riassume il contributo di questi diversi fattori per la perdita di competitività in Italia.
Conclusioni
Attualmente va molto di moda in Italia dare la colpa ad Angela Merkel, Mario Monti, e alle misure di austerità per l’attuale recessione. Questo articolo sostiene che mentre la gravità della recessione è chiaramente un fenomeno ciclico, l’incapacità di crescere del paese è l’eredità di più di un decennio di assenza di riforme dei mercati del credito, dei prodotti e del lavoro. Questa mancanza di riforme ha soffocato l’innovazione e la crescita della produttività, con una conseguente dinamica salariale completamente scollegata dalla produttività del lavoro e dalle condizioni della domanda.
In un ’mondo in rapida evoluzione’, dove le barriere commerciali e non commerciali cadevano e i partner commerciali si innovano rapidamente, l’inerzia delle riforme italiane ha accumulato un gap competitivo che la crisi ha portato alla ribalta con delle drammatiche e,molto probabilmente, durature conseguenze.
Traduzione italiana a cura di Erika Di Dio. Fonte: Voxeu
Nota di Scenarieconomici.it: Diamo il benvenuto ad Alberto Lusiani tra gli autori, persona che certamente arricchira’ le vostre letture con spunti, analisi e segnalazioni di gran qualita’.
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