Politica
MOSLER ECONOMICS
Nota della Redazione di Scenarieconomici.it
L’articolo sottostante esprime un punto di vista che e’ squisitamente dell’autore. Scenarieconomici.it e’ un sito plurale e non una caserma, per cui vi possono essere anche articoli contro corrente. Ovviamente e’ anche un sito “aperto”, tant’e’ che daremo volentieri diritto di replica e pubblicheremo un contro-pezzo se gli amici dell’MMT desidereranno far conoscere le loro tesi, tesi che tra l’altro avevamo gia’ presentato ai nostri lettori, con rispetto e dovizia in questo articolo: Interview of Scenarieconomici.it to Warren Mosler, the US economist founder of postkeynesian economic school of Modern Money Theory
GPG
Warren Mosler è un economista di una certa notorietà, ma non tale che Wikipedia gli abbia dedicato una pagina. Per questo sono pronto a riconoscere di avere mal inteso le sue teorie. È un epigono di John Maynard Keynes e già questa non è una buona raccomandazione. Keynes è stato a lungo considerato vangelo ma, dopo qualche successo iniziale, i Paesi che ne hanno seguito le idee si sono trovati nei guai. Una riprova del suo discredito è data dall’attuale politica economica dell’Unione Europea: l’eurozona sopporta da anni austerità e recessione pur di non adottare di nuovo le sue politiche.
Per Mosler invece gli Stati possono spendere tutto il denaro che vogliono, all’infinito, semplicemente perché possono stampare cartamoneta. In una situazione come quella attuale, l’Unione Europea, avendo avocato a sé la sovranità monetaria, dovrebbe dunque inondare il mercato di denaro fresco, e ciò ci farebbe uscire vittoriosi e prosperi dalla stagnazione attuale. Se ciò fosse vero, tutti gli Stati del mondo, che soffrono inseguendo il pareggio di bilancio, sarebbero guidati da imbecilli.
Qualcuno potrebbe però obiettare che proprio io ho appena detto che in passato tutti i governi sono stati guidati da imbecilli, quando hanno seguito le teorie di Keynes. L’ipotesi non è dunque inverosimile e normalmente dovrei rispondere “touché”. Ma c’è una differenza. Le teorie dell’economista inglese le abbiamo sperimentate per molti decenni e il debito sovrano di tanti Paesi sta lì a mostrare quali siano i risultati. Per Keynes abbiamo già dato. E se, pur allontanandoci da lui, non usciamo dalla recessione, è anche per l’esplosione dello statalismo e per il peso del “servizio del debito”. Chi può negare che l’Italia starebbe molto meglio se non dovesse pagare settanta-ottanta miliardi di interessi l’anno?
Per difendere le teorie di Mosler si potrebbe però citare la situazione del Giappone. Pur avendo un debito pubblico pressoché doppio del nostro, Tokyo non rischia il default, perché può stampare yen a volontà. Ma la situazione non è lo stesso rosea. Se gli investitori cominciassero ad allarmarsi e a non rinnovare i titoli del debito pubblico, il Giappone rischierebbe un’inflazione mostruosa. Non fallirebbe ma, se rimborsasse i debiti con moneta inflazionata, sarebbe come se attuasse d’autorità un concordato preventivo al 50%. E infatti, sia per diminuire l’ammontare totale del suo debito pubblico, sia per creare già un po’ d’inflazione, il governo sta ricomprando una buona parte dei titoli in scadenza. Una cosa è certa: checché pensi Mosler, Tokyo non ha affatto l’intenzione di aumentare all’infinito il proprio debito.
Il Pozzo di San Patrizio è asciutto. Contrariamente a ciò che pensavano i governi dei decenni passati, non sempre l’espansione economica riassorbe il surplus di circolante. Se c’è in giro più denaro di quanto ce ne dovrebbe essere, si crea inevitabilmente inflazione. È vero che se questo surplus di circolante è assorbito dal debito sovrano l’inflazione rimane “congelata”, dal momento che il denaro in più non viene speso. L’inflazione risulta invisibile e si vede soltanto il “servizio del debito”. Quando invece la gente cerca di realizzare i propri crediti, l’inflazione diviene operante e si hanno le conseguenze che resero famosa la Repubblica di Weimar. I tedeschi non l’hanno affatto dimenticata: di notte hanno ancora degli incubi e di giorno li fanno pagare al resto dell’Europa.
Anche secondo Mosler, che in questo segue Keynes, l’inflazione dovrebbe risolvere il problema della piena occupazione. In realtà la piena occupazione è il portato di un’economia sana e competitiva, non di una determinata politica del denaro. La ricchezza non si crea con manovre di borsa o con i marchingegni degli istituti di emissione: si crea producendo materialmente beni e servizi. O più esattamente permettendo che si producano, Basta non opprimere le imprese con troppe tasse e troppi vincoli, e soprattutto smettere di odiare il profitto. Dice qualcosa, l’esperienza cinese?
Altra idea di Mosler è che i cittadini paghino tasse e imposte col denaro che gli dà lo Stato (semplicemente stampandolo). Non è uno scherzo. Come mi scriveva qualcuno: “le tasse non servono mai a pagare i servizi pubblici, perché la raccolta per mezzo della tassazione è sempre successiva alla spesa pubblica”. Se lo Stato non spende, i cittadini non hanno soldi; e in tanto possono pagare tasse e imposte, in quanto prima lo Stato abbia speso inondando le loro tasche di denaro. Chiedo scusa in anticipo se dovesse risultare che Mosler non si è mai sognato di dire cose del genere. Ma così formulata la teoria è insostenibile.
Innanzi tutto è difficile dire che cosa è cominciato prima: siamo all’uovo e alla gallina. Dunque l’affermazione secondo cui la tassazione sia sempre successiva alla spesa puzza di mitologia lontano un miglio. Ma c’è un’obiezione di sostanza: in regime di golden standard, come potrebbe lo Stato spendere l’oro che non ha ancora ottenuto dai contribuenti? Non lo può mica “stampare”.
La teoria dimentica poi che il denaro è un controvalore, tanto che se ne può fare a meno. Non solo c’è stato il momento del baratto, ma è stato anche possibile imporre tasse in natura. Per esempio la decima della Chiesa. O forse prima la Chiesa dava i fagioli ai contadini e poi ne chiedeva indietro un decimo?
Se questi sono i pilastri delle teorie di Mosler, non saremmo contenti di essere nel suo edificio economico, se ci fosse un terremoto.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
12 maggio 2015
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