Attualità
Meta costretta a cancellare l’autorizzazione al Fact Checker in Australia: troppo politicamente coinvolto
Dall’Australia arriva un raro trionfo per le vittime del “fact-checking” manipolatorio dei social media.
Meta, la casa madre di Facebook, ha sospeso il Royal Melbourne Institute of Technology (RMIT) dalle sue operazioni di fact-checking dopo che alcuni reporter investigativi ne hanno denunciato la parzialità di sinistra e la scadenza della certificazione di fact-checking da parte dell’ente che coordina il controllo del linguaggio di Meta.
“Considerando la natura delle accuse contro RMIT e l’imminente referendum, abbiamo deciso di sospendere RMIT dal nostro programma di fact-checking”, ha dichiarato un portavoce di Meta a Sky News.
Il portavoce si riferiva al referendum sull’Australian Indigenous Voice del 2023, che prevede la creazione di una nuova entità politica che “si esprima presso il Parlamento e il Governo esecutivo… su questioni relative alle popolazioni aborigene e delle isole dello Stretto di Torres“. Gli australiani la chiamano la “Voice”. Si tratterebbe di un organo sui generis di rappresentanza delle popolazioni melanesiane che vivono in quelle isole fra Australia continentale e Nuova Guinea.
In un lungo reportage del 23 agosto, Sky News ha scoperto molteplici conflitti di interesse e violazioni della politica di fact-checking da parte del cosiddetto “FactLab” di RMIT. La polizia del pensiero di RMIT, incaricata da Facebook, ha spesso bloccato e soppresso il giornalismo anti-Voice su Facebook, compreso quello di Sky News. Sky ha scoperto che, tra il 3 maggio e il 23 giugno, tutti i fact-checking di RMIT sulla Voice hanno esaminato contenuti che sostenevano la necessità di votare “no” alla misura.
“L’International Fact-Checking Network (IFCN) richiede alle organizzazioni che vi partecipano di dimostrare un impegno all’apartiticità e all’equità”, ha dichiarato Meta a Sky News. “L’IFCN stabilirà se la certificazione scaduta di RMIT FactLab debba essere ripristinata”.
RMIT FactLab è guidato dall’ex giornalista dell’Australian Broadcasting Corporation (ABC) Russell Skelton. Sky ha riferito che Skelton “ha pubblicato decine di tweet che criticano i punti di vista conservatori e i giornalisti a cui è stato affidato il compito di verificare i fatti”. Ha anche esplicitamente sostenuto il “sì” alla Voce, in violazione dei principi di fact-checking pubblicati dall’IFCN.
La fact-checker del RMIT Renee Davidson, che ha anche sostenuto pubblicamente la Voice, ha ripostato un tweet in cui accusava il politico anti-Voice Peter Dutton di impegnarsi nella “propaganda della paura attraverso il razzismo”.
“La decisione di una piattaforma di social media con sede all’estero di interferire con il legittimo discorso pubblico durante un referendum per cambiare la Costituzione australiana è particolarmente grave e non può passare sotto silenzio”, ha scritto il senatore australiano James Paterson in una lettera a Meta che ha preceduto la notizia dell’espulsione di RMIT dalla costellazione di fact-checkers di Facebook. Paterson ha anche chiesto a Meta di spiegare come avrebbe smesso di mettere il pollice sulla bilancia all’approssimarsi del voto.
Sebbene RMIT sia stata precedentemente certificata nel suo ruolo di fact-checking dall’IFCN, tale credenziale è scaduta lo scorso dicembre. Il contratto tra RMIT e Meta autorizza Meta ad annullare l’accordo nel caso in cui la scuola perda la certificazione, ma fino ad ora Meta ha permesso a RMIT di continuare a censurare i contenuti.
Sebbene sia bello vedere questa rara rivincita del regime di fact-checking, l’espulsione di RMIT farà ben poco per interrompere il regime di polizia del pensiero di Big Tech e Big Media, che sopprime senza sosta le voci che contrastano l’agenda della sinistra.
Comunque si apre uno spiraglio per chi non apprezza i fact checker: basta raccogliere prove che , indeterminate decisioni politiche, i responsabili del fact checking abbiano preso posizioni politiche a favore di una parte. Chissà cosa succederebbe se si raccogliessero prove sufficienti e le si rendesse pubbliche.
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