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L’ITALIA E IL PRINCIPIO DI REALTA’

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La realtà è qualcosa di obiettivo e tutti abbiamo l’impressione di percepirla correttamente: ma le cose non stanno così. Noi percepiamo soltanto quella del nostro tempo e dobbiamo fare sforzi erculei – da storici professionisti – per rappresentarci correttamente quella del passato. Inoltre ognuno è inserito sia in una realtà locale sia in una data situazione familiare: le Filippine non sono la Norvegia e il figlio del ricco non fa le stesse esperienze del figlio del povero.

Naturalmente, accanto alle illusioni prospettiche del singolo, esistono quelle delle comunità e l’Italia in questo campo rischia di battere dei record. Come osservato tante volte, è forse l’unico Paese che ha perso una guerra tanto rovinosamente da avere sul momento smarrito anche l’onore, e tuttavia dopo si è sempre raccontato d’averla vinta. Senza contraddittorio.

Noi ci siamo permessi il lusso di ignorare la realtà e ciò malgrado essa ci ha gentilmente viziati. I nemici che ci hanno battuto ci hanno trattati per decenni da alleati. La nostra ignoranza del mondo e delle lingue straniere ci ha permesso di non essere smentiti in tutte le nostre convinzioni e in tutte le nostre illusioni. Attenti al nostro ombelico immaginario, abbiamo sempre vissuto in vaso chiuso. Mentre tanta parte dell’Europa gemeva sotto il tallone sovietico, metà degli italiani pensava che lì si vivesse meglio che in Occidente. Da noi il buon senso è stato dichiarato indecente. Ubriachi di ideologie fumose e mal digerite, abbiamo sognato utopie buoniste e nel frattempo abbiamo vissuto largamente al di sopra dei nostri mezzi. Abbiamo regalato a piene mani e per tanto tempo denaro preso a prestito che alla fine si è radicata la convinzione che per spenderlo non fosse necessario guadagnarlo.

Proprio quando pareva che ciò non dovesse mai cambiare, si è visto che la realtà era invece in agguato. Dopo quasi settant’anni si è ricordata della regola per cui si può ingannare qualcuno per tutta la vita, tutti per un certo tempo, ma non tutti per sempre. E infatti l’osservatore che per decenni è rimasto strabiliato da ciò che vedeva ha cominciato a sentirsi vendicato. Da qualche tempo i fatti si accaniscono contro un’Italia che non riesce a capacitarsi che, mancando il pane del lavoro, non ci siano neanche le brioche della Cassa Integrazione in deroga. Se non fosse che la lezione brucia come una frustata, si potrebbe perfino sorridere.

Per anni abbiamo speso più di quanto producevamo ed ora, per pagare i debiti contratti allora, siamo costretti a spendere meno di quanto guadagniamo: una notevole parte dei nostri sudati introiti se ne va infatti per pagare gli interessi sui titoli di Stato. Un tempo gonfiavamo disinvoltamente il nostro debito, oggi dobbiamo temere che quello che già abbiamo ci porti al fallimento. Un tempo i sindacati l’avevano sempre vinta, ora, in una nazione che perde posti di lavoro e vede chiudere un’infinità di piccole e grandi imprese, le loro minacce di sciopero fanno tenerezza. Un tempo i datori di lavoro non avevano modo di resistere e, se proprio andavano in deficit, magari li soccorreva lo Stato. Perfino l’Alitalia – che scandalo! – si sente dire non può avere eternamente i conti in rosso. Ora le imprese che non chiudono se ne vanno all’estero e i pugni agitati dinanzi ai cancelli sbarrati non fanno paura a nessuno. Il rosario ha un’infinità di grani. Ciò che per decenni è stato pensato da solitari eretici è divenuto notizia quotidiana. E la nazione non sa come uscire dalla depressione in cui è precipitata perché non ha mai percepito una realtà diversa da quella immaginaria.

La vicenda fa pensare ad una madre che vizia in tutti i modi un bambino e, quando alla fine questi è divenuto il perfetto prodotto della sua educazione, comincia a non perdonargli mai una marachella, a punirlo per un nonnulla, a fargli pagare al massimo prezzo le illusioni che lei stessa gli ha messo in testa. Un eccesso di debolezza prima, un eccesso di spietatezza poi. Tanto che gli italiani, invece di riconoscervi una lezione durissima ma non immeritata, sono convinti di essere vittime di arcani malefici.
Questa amara esperienza potrebbe finalmente farci capire i principi dell’economia. Per esempio quello, innegabile, per il quale “ogni volta che qualcuno ottiene un bene che non s’è guadagnato, c’è qualcun altro che non ottiene un bene che s’è guadagnato”. E quest’altro alla fine potrebbe stancarsi.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it


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