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L’Europa, più che gli USA, saranno la vittima dell’allargamento dei BRICS

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Dal 22 al 24 agosto, i leader dei BRICS si incontreranno in Sud Africa, segnando un momento cruciale per questa coalizione a maglie larghe delle principali nazioni non occidentali tra cui Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. La conferenza mira non solo a rafforzare la cooperazione, ma a forgiare una solida alleanza internazionale progettata per contrastare l’influenza occidentale. In mezzo a questa spinta strategica, i BRICS cercano di espandere la propria portata, comprendendo una moltitudine di paesi del “Sud globale”, con al centro l’Africa, l’America Latina e il Medio Oriente.

Capi di stato come il presidente russo Putin, Xi Jinping cinese e il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa hanno chiarito le loro intenzioni: sfidare il radicato dominio geopolitico dell’Occidente. Tuttavia, le crepe in questo fronte unito sono già evidenti. L’assenza di Vladimir Putin, spinta dal timore di essere arrestato per crimini di guerra in Ucraina, getta ombre sul progetto. Allo stesso tempo, l’India, uno dei pesi massimi dei BRICS, è diffidente nei confronti dell’ascesa della Cina che potrebbe potenzialmente mettere da parte i suoi interessi all’interno dell’alleanza.

In mezzo al fervore, l’attenzione dei media si è spostata verso le iniziative di “de-dollarizzazione” in corso guidate da Cina, Russia e altri paesi al di fuori del quadro BRICS. Sebbene ciò abbia suscitato un notevole interesse a causa dei potenziali cambiamenti nelle dinamiche del commercio globale, resta la realtà che oltre il 90% del commercio globale continua a essere condotto in dollari statunitensi. L’aspetto finanziario, soprattutto se si considera il PIL collettivo dei BRICS rispetto al G7, riveste un grande significato. L’aspirazione delle nazioni non occidentali a sfidare le norme consolidate non è nuova e risale all’epoca postcoloniale e ai successivi successi economici di Cina e India.

Sebbene spesso trascurati, gli sforzi di espansione dei BRICS comprendono un elenco diversificato di paesi, tra cui Argentina, Egitto e Arabia Saudita tra quelli che esprimono interesse. Circa 40 nazioni stanno prendendo in considerazione la partecipazione, spinte dagli incentivi economici e dalla crescente potenza economica di Cina e India. Anche se la preoccupazione dell’Occidente è palpabile, la sua attenzione potrebbe essere fuori luogo.

Sotto la superficie si sta formando un formidabile blocco orientato all’energia, che allinea i BRICS con i principali esportatori di energia come l’Arabia Saudita, l’Egitto e potenzialmente l’Algeria e gli Emirati Arabi Uniti. Sebbene non sia ufficialmente legata a un’affiliazione BRICS-OPEC+, la convergenza di interessi nell’elenco delle nazioni partecipanti o invitate potrebbe rivoluzionare i mercati dell’energia e delle materie prime. Un’alleanza integrata di giganti dell’energia rimodellerebbe la sicurezza dell’approvvigionamento energetico globale, possibilmente dando priorità alle rotte BRICS. Ciò si estende anche ad ambiziosi progetti di catena di fornitura globale, tra cui la One Belt One Road della Cina, l’espansione dei porti degli Emirati Arabi Uniti e le iniziative Vision 2030 dell’Arabia Saudita.

Del resto come potrebbe essere diversamente? Mentre gli USA sono sempre più autonomi dal punto di vista energetico i BRICS portano al proprio interni grandi produttori di energia, la Russia e il Brasile, e grandi consumatori, la Cina e l’India. Esiste un’ovvia complementarietà fra questi paesi che ne cementa gli interessi e facilita le convergenze, cosa che non esiste, a questo livello, in Occidente. Gli USA preferiscono perdere parte della propria influenza in cambio di una maggiore autonomia e indipendenza.

Allo stesso tempo, l’espansione dei BRICS in Africa, in particolare nel settore minerario, dei minerali e dei metalli, merita attenzione nei prossimi mesi. L’inclusione di nuovi membri con risorse minerali e metalliche critiche potrebbe cambiare radicalmente questa coalizione, possibilmente con Cina e Russia alla guida degli sforzi. Anche nazioni arabe come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono entrate nella sfera mineraria globale, allineandosi alle strategie di energia rinnovabile e di decarbonizzazione. L’espansione dei BRICS ha implicazioni non solo per il dominio del dollaro americano, ma anche per l’influenza occidentale e l’accesso alle risorse energetiche e alle catene di approvvigionamento.

L’amministrazione Biden riconosce questo panorama in evoluzione e sta intensificando gli sforzi per gestire le ricadute percepite. Le riserve di petrolio e gas degli Stati Uniti, insieme all’influenza geopolitica, forniscono un cuscino, ma l’Europa sembra debole e incapace di preparare un’adeguata strategia. Nonostante si parli di allontanamento dall’influenza della Cina, la dipendenza dell’Europa dalla produzione e dai mercati asiatici cresce. Le strategie europee si basano sui minerali africani, sui metalli, sugli idrocarburi e sulle fonti di energia rinnovabile, tutti sempre più alla mercé di alleanze mutevoli.

Mentre Riyad, Abu Dhabi, Il Cairo, Algeri e altri paesi ruotano verso est, inclusa la Russia, emerge una sfida significativa. Non solo gli idrocarburi, ma l’accesso alle catene di approvvigionamento e alle rotte commerciali marittime saranno in cima all’agenda. L’integrazione del Nord Africa e del Medio Oriente nel BRICS+ guidato da Pechino e Mosca aumenta la pressione. Cina e Russia non sono più spettatrici; minano attivamente gli interessi occidentali. La potenziale integrazione dell’OPEC e dei paesi esportatori di gas nei BRICS minaccia gli interessi energetici occidentali. La convergenza di Arabia Saudita, Egitto, Algeria, Brasile e Russia conferisce ai BRICS il controllo di oltre il 60% delle riserve e della produzione energetica globale.

Nel contesto del discorso sulla de-dollarizzazione, le preoccupazioni pratiche e di sicurezza emergono in primo piano, richiedendo attenzione oltre le aspettative.


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