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Crisi

L’ESSENZIALE DELLA PATATA NON È IL SUO FIORE

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Il nostro modello socio-economico è al capolinea?

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La patata è anche un ortaggio. Anche? Sì, perché c’è stato un momento in cui è stata soprattutto un fiore. Il delicato fiore della patata. Mentre alcuni prodotti del Nuovo Mondo, come il pomodoro o il mais, hanno subito avuto un’accoglienza pressoché entusiastica in tutto il mondo, non soltanto la patata non ha avuto successo in Oriente ma in Europa per lunghi decenni ha stentato ad entrare nel ricettario. Era considerata velenosa (è vero, certe parti contengono solanina), era disprezzata perché cresceva sotto terra, tanto che era anche chiamata, pensando al tartufo, “tartufola”, da cui Kartoffel, e  dicono che in Francia da principio se ne apprezzasse soprattutto il fiore. Dunque della patata era più facile vedere i petali sulla scollatura di una bella signora che i tuberi dentro la sporta delle massaie. Non sempre di qualcosa si apprezza il meglio.

Ciò avviene anche nel giornalismo. Con la sua tendenza alla sintesi e alla volgarizzazione, il quotidiano potrebbe essere un eccellente strumento di acculturamento. Anche chi non leggerebbe mai un libro sulla vita di  Alessandro Magno o sulla filosofia di Diogene, potrebbe apprendere da un articolo il divertente aneddoto dell’incontro fra i due. E avrebbe almeno un’idea dei due personaggi. Invece gli articoli che suscitano più interesse sono quelli sportivi: salvo errori, “la Gazzetta dello Sport” è stato a lungo il giornale più venduto. Poi suscitano grande  interesse la stampa rosa e la cronaca nera. I giornali seri presentano come argomento importante la politica ma, anche qui, spesso, non l’essenziale. All’interno della politica è raro che abbiano successo gli articoli di riflessione colta. Più di tutto attirano le beghe, la maldicenza, gli scontri fra i protagonisti. Per decenni, per essere letti è bastato mettere il nome di Berlusconi nel titolo. Il giornalista che non vuol essere relegato in quel ghetto che chiamano “cultura“ deve rassegnarsi: o commenta l’attualità, e naturalmente, gli scandali, veri o immaginari, cose di cui nessuno conserva memoria un anno dopo, o è fuori dal giro.

Tutto ciò rende stucchevole la politica. Star sempre a discutere di ciò che farà Berlusconi, delle promesse di Renzi, dei contrasti all’interno del Pd, della sorte di Dell’Utri o dell’ultima volgarità di Grillo, è di una noia mortale. Non sono cose più importanti di una chiacchiera in portineria. Sarebbe invece importante sapere se il modello di società che conosciamo stia attraversando un’interminabile crisi da cui uscirà lucente e combattivo, o se sia giunto al capolinea. Almeno nell’Europa occidentale. Se bisognerà ripensarlo, e in che direzione; se sarà qualcosa di nuovo o se, dopo averlo mondato di tutti i parassiti e i pesi inutili dai quali è paralizzato, un ritorno al passato. Ecco che cosa ci piacerebbe sapere.

Che il modello liberista funzioni è dimostrato dal fatto che ha creato la prosperità dei Paesi che per primi hanno avuto la rivoluzione industriale. Poi ha creato la prosperità di quelli che hanno seguito gli antesignani. Infine, quando tutti questi hanno cominciato a perdere velocità, ha fatto il successo dei Paesi emergenti e infine si è avuta l’esplosione economica della Cina. Questa si è trasformata da Paese in cui la gente moriva effettivamente di fame in uno schiacciasassi economico che va come una Ferrari. Ma anche la Cina ha cominciato a rallentare. Ecco il punto. Si direbbe che il liberismo prima crea prosperità, poi ne crea sempre meno, rallenta e infine conduce quasi alla paralisi.

Naturalmente al riguardo si possono sostenere due tesi opposte. La prima, che sia un modello sbagliato, che col tempo (però, oltre secoli!) mostra la corda; la seconda, che credendolo invincibile e onnipotente, lo si è caricato di tanti pesi e di tanti freni, che alla fine non funziona più.

Non è dubbio da poco. Nel primo caso, bisognerebbe aumentare il socialismo, malgrado i pessimi risultati del passato; nel secondo caso, bisognerebbe attuare antistoriche marce indietro, che troverebbero all’opposizione non solo tutti coloro che di quei pesi e di quei freni beneficiano, ma anche la grande massa del popolo. Un popolo indotto dalla prosperità a ragionare più in termini etici che in termini economici.

Eppure, di tutto questo non si parla. Chi nell’anima è ancora socialista è tanto convinto delle proprie idee che agli avversari è disposto a riservare soltanto disprezzo. E chi non lo è, sente di essere guardato come un pericoloso eretico. Nel frattempo l’orologio della storia gira, e quando emetterà la sua sentenza lo farà senza tener conto dei sentimenti di nessuno.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

15 aprile 2014

 


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