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LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DI KARLSRUHE (IL 5 MAGGIO DELL’EUROZONA) (da Orizzonte 48)

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Nella prima metà dello scorso marzo, avrebbe dovuto uscire un mio nuovo libro dedicato alle “politiche economiche di salvezza”, praticabili dall’Italia pur all’interno delle regole dell’eurozona (naturalmente sfruttando dei margini normativi concessi dai trattati che finora l’Italia non ha inteso attivare…).

La pubblicazione del libro è stata però rinviata a causa delle notorie difficoltà che, certamente non per il solo settore editoriale,  sono insorte nel proseguire l’attività produttiva e di distribuzione.

Questa fase di “stasi”, peraltro, ha reso sia opportuno che necessario por mano a una nuova “Parte”, introduttiva del tema affrontato nel libro, che tenesse conto e aggiornasse le prospettive economiche e sociali italiane alla luce della subentrata crisi economica determinata dal lockdown e dalla ancor permanente emergenza sanitaria.

Nel capitolo 3 di questo nuova parte introduttiva, si affronta, in un apposito paragrafo, il tema della tanto “attesa” sentenza della Corte costituzionale tedesca del prossimo 5 maggio. Ve la anticipiamo, anche per comprendere come e quanto sia arduo definire l’evoluzione dell’eurozona nella tempesta sia economica che istituzionale che sta ora attraversando e che rischiano di travolgerla; a causa delle molte, e per lo più insormontabili, difficoltà, 


8- Un’analisi preliminare delle eventuali conseguenze di una sentenza della corte costituzionale tedesca che dichiarasse delle condizioni restrittive, non previste dalla decisione della BCE, in assenza delle quali i programmi di acquisto non risulterebbero conformi alla Costituzione tedesca.

La Corte tedesca, secondo le aspettative che si stanno addensando, dovrebbe ritenere legittimi (per la Costituzione tedesca) i programmi di acquisto secondo condizioni che, come nel caso dell’OMT, sarebbero talmente restrittive da renderli privi di utilità pratica; la Corte, cioè, potrà fare tutto un conto e chiudere la partita della “solidarietà” finanziaria tra Stati dell’eurozona che, vietata dall’art.125, si tenta di far rientrare dalla finestra della violazione, tacita e de facto, dell’art.123.

In prima battuta, secondo il “metro” del senso comune, non rigorosamente giuridico, la decisione di una Corte nazionale di tal genere implicherebbe, per coerenza logica e giuridica (di diritto interno), che la Germania debba, mediante il proprio rappresentante all’interno del Board BCE, ritirare il proprio consenso alla deliberazione, già presa, in ordine ad un programma di acquisti che non fosse conforme alle condizioni considerate legittime (dalla Germania, appunto, ed in base al proprio diritto costituzionale).

Ma risulta che tale rappresentante avesse già manifestato, a settembre 2019, il proprio voto contrario sul nuovo QE che può essere intero come “il lascito di Draghi”..

E, per quanto riguarda la deliberazione successiva, relativa all’allargamento del programma di acquisti in via emergenziale, c.d. “pandemico” (PEPP) occorrerebbe verificare, in astratto (poiché, giuridicamente, come vedremo, le conseguenze in concreto non sono affatto scontate) se la maggioranza necessaria alla sua adozione sarebbe raggiungibile anche nel caso della sopravvenuta “revoca” dell’eventuale voto approvativo tedesco (ipotetica “prova di resistenza”).

Si tenga conto che, ai sensi dell’art.10, paragrafi 10.2 e 10.3, dello Statuto del SEBC e della BCE, protocollo 4 allegato ai trattati, la deliberazione nella materia in questione dovrebbe essere adottabile a maggioranza semplice.

Peraltro, dato il principio dell’indipendenza, della BCE e delle banche centrali nazionali formati il SEBC, dai governi (cioè dagli organi complessi che, sul piano dei rapporti internazionali, rappresentano gli Stati ed attuano, se necessario previo coordinamento coi rispettivi parlamenti nazionali, le sentenze delle proprie corti costituzionali), – principio sancito dall’art.130 TFUE nonché dall’art.7 del suddetto Statuto -, la revocabilità dell’efficacia del voto e comunque, (a maggior ragione), della operatività della pregressa deliberazione del consiglio direttivo della BCE, non è una conseguenza né automatica (derivante dai principi del diritto dei trattati internazionali), né comunque prevista dallo Statuto: si tratterebbe di una manifesta violazione del principio dell’indipendenza della BCE (e della stessa Bundesbank, in quanto articolazione del SEBC, organo regolato dal diritto europeo).

E dunque, poiché tale principio di indipendenza postula l’irrilevanza delle sopravvenute prese di posizione governative statuali, derivanti da qualsivoglia applicazione (o interpretazione ex post, quale quella che sarebbe resa dalla Corte di Karlsruhe) del diritto nazionale, la funzionalità giuridica, e la (perdurante) validità dell’attività deliberativa, della BCE, quale organo la cui azione è per definizione rapportabile al solo diritto dell’Unione europea, dovrebbe, a rigore, rimanere intatta.

Certo, l’influenza tedesca all’interno delle istituzioni Ue, e il ruolo fondamentale che, sul piano politico, spetta alla Germania nel dar vita e nel mantenere in vita la moneta unica, aprirebbe la via ad una crisi, appunto primariamente politica, di esiziale importanza. Senza precedenti nella storia della costruzione europea a partire dall’Atto Unico. La Germania, infatti, su un piano pratico molto incisivo, porrebbe in discussione quel superamento della teoria dualistica dei rapporti tra diritti nazionali e diritto dell’Ue, che la Corte europea aveva superato affermando una (mai ben spiegata) teoria monistica; che peraltro la Germania, a partire dalle sentenze Solange e Lissabon della sua Corte, si era sempre riservata di contestare, quantomeno sul piano della prevalenza del suo diritto costituzionale[1].

Non di meno, la principale conseguenza della sentenza tedesca, a fronte del fisiologico mantenimento in vita di deliberazioni di un organo dell’Unione economica e monetaria europea contrarie al diritto costituzionale tedesco, dovrebbe essere quella della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle leggi federali tedesche che hanno, a loro tempo, introdotto l’euro come moneta avente corso legale all’interno della Germania (e/o eventualmente autorizzato la ratifica della decisione di entrare nella moneta unica).

In pratica, non potendosi, per via di una sentenza di diritto nazionale, ottenere effetti caducatori e abrogativi degli atti di un organo dell’Ue, legittimi alla stregua dell’ordinamento giuridico europeo (i programmi di acquisto sono stati già ritenuti legittimi dalla Corte di giustizia Ue, con sentenza dell’11 dicembre del 2018), la conformazione della Repubblica federale tedesca al dictum della sua corte costituzionale, dovrebbe (giuridicamente) indirizzarsi verso la sua uscita dalla moneta unica.

SE VOLETE LEGGERE L’ARTICOLO COMPLETO: https://orizzonte48.blogspot.com/2020/05/le-conseguenze-economiche-di-karlsruhe.html


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