Economia
La Svizzera cerca una via di scampo dai dazi Trump
Con una bilancia commerciale fortemente squilibrata, La federazione può cercare di evitare i dazi al 31% di Trump solo con grossi investimenti negli USA o rivalutando fortemente il Franco

La Svizzera ha tutto da temere da una guerra commerciale con gli Stati Uniti. Martin Schlegel, presidente della Banca nazionale svizzera (BNS), ha avvertito venerdì che la Confederazione è più esposta rispetto ad altri paesi. L’annuncio di Donald Trump, il 2 aprile, di dazi doganali del 31% sui prodotti importati dalla Svizzera ha avuto l’effetto di una doccia fredda per le autorità elvetiche.
Anche perché gli USA sono la maggiore destinazione dell’export svizzero, superiore perfino rispetto a quello verso paesi confinanti come la Germania:
Anche se in seguito sono stati sospesi per 90 giorni e il loro livello è stato ridotto al 10%, la Svizzera non è fuori pericolo. Tanto più che aleggia l’ipotesi di dazi doganali specifici sui prodotti farmaceutici, che colpirebbero in modo particolare il Paese.
È tempo di negoziati. A Washington, a margine delle riunioni primaverili del Fondo monetario internazionale, la presidente della Confederazione elvetica, Karin Keller-Sutter, che è anche ministro delle Finanze, ha incontrato giovedì il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, per cercare di trovare un accordo. «Non c’è un calendario fisso. Ma è chiaro che il termine di 90 giorni sarebbe prorogato se fossero in corso negoziati», ha dichiarato dopo l’incontro.
Productive exchange with US Treasury Secretary @SecScottBessent in Washington: We discussed key economic issues and opportunities for enhanced collaboration between our two countries. @ParmelinG pic.twitter.com/exV4oxpJrw
— Karin Keller-Sutter (@keller_sutter) 24 aprile 2025
In questa fase è stato concordato di elaborare una dichiarazione d’intenti comune che dovrebbe sfociare in un mandato negoziale. Resta da determinare su cosa negoziare.
Primo partner commerciale
«La Svizzera è un’economia aperta con dazi doganali medi dell’1,5%», osserva Patrice Gautry, capo economista dell’Unione Bancaria Privata (UBP). Da questo punto di vista c’è quindi poco da sperare. Resta il fatto che la Svizzera dipende fortemente dal mercato statunitense e che ha continuato a registrare surplus commerciali. Nel 2013, il surplus era di quasi 3 miliardi di dollari. Nel 2023, ha raggiunto quasi 30 miliardi. «Gli Stati Uniti sono il primo partner commerciale della Svizzera, davanti alla Cina», aggiunge l’economista.
«La Svizzera vende principalmente beni ad alto valore aggiunto come orologi, strumenti di precisione, componenti automobilistici e soprattutto prodotti farmaceutici. In quest’ultimo caso, la Svizzera è talvolta l’unico paese produttore al mondo di cui gli Stati Uniti difficilmente potranno fare a meno», spiega Bill Papadakis, stratega macroeconomico presso la Banca Lombard Odier.
Per ridurre leggermente il suo surplus, la Svizzera può acquistare più prodotti americani? «La Svizzera non ha alcun interesse ad aumentare i propri acquisti di prodotti energetici, a differenza dei paesi dell’Unione europea. Al massimo può promettere l’acquisto di materiale militare o di aprire un po’ di più l’accesso ai propri mercati finanziari», afferma Patrice Gautry. Anche se l’apertura dei mercati finanziari sarebbe già un buon risultato.
Il problema è che l’acquisto di armi e prodotti militari è complesso: ad esempio l’acquisto dei caccia F35 è contestato da una gran parte della popolazione, e la Svizzera è un paese neutrale, circondato da paesi non ostili: che se ne fa di un armamento da superpotenza?
La soluzione degli investimenti
Una delle soluzioni passerà probabilmente attraverso gli investimenti che la Svizzera farà negli Stati Uniti. «Aumentare gli investimenti svizzeri sul suolo americano, seguendo l’esempio dei laboratori Roche, consentirà di inviare un segnale forte a Donald Trump. Sarebbe un gesto di buona volontà», sostiene Bill Papadakis.
Le più grandi aziende farmaceutiche svizzere, Roche e Novartis, hanno infatti promesso di delocalizzare parte della loro produzione negli Stati Uniti, impegnandosi a investire rispettivamente 50 e 23 miliardi di dollari.
Rimane un ostacolo da superare: l’andamento del tasso di cambio del franco svizzero. Durante il primo mandato di Donald Trump, la Svizzera era stata accusata di manipolare la propria valuta. Per il momento, l’apprezzamento del franco svizzero, che ha guadagnato quasi il 10% rispetto al dollaro dall’insediamento di Trump, va piuttosto a favore del presidente americano e viene a costituire una sorta di dazio naturale che può spingere a ridurre quello imposto per legge.
Per gestire la situazione, la BNS habbassato il tasso di riferimento allo 0,25% e gli economisti prevedono che lo abbasserà a zero a giugno. Una delle preoccupazioni della banca centrale è che il forte apprezzamento del franco potrebbe far scendere l’inflazione svizzera sotto lo zero e rallentare la crescita, ma se il Franco si indebolisse nei confronti del Dollaro torneremmo al problema di prima.
Martin Schlegel ha inoltre avvertito venerdì che «la crescita dovrebbe essere inferiore a quanto previsto solo poche settimane fa». E se per caso la guerra commerciale dovesse intensificarsi, si profilerebbe una recessione, che porterebbe ad azioni da parte delle autorità federali.
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