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La prosecuzione dello stato di emergenza viene a costituire un Vulnus nell’ordinamento democratico ? (Da Iusinitinere)

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La prosecuzione continua dello stato di emergenza, elemento tra l’altro non previsto dalla Costituzione, viene a ledere l’ordinamento democratico? Secondo il sito Ius in Itinere vi sono dei problemi di legittimità democratica legata alla continua prosecuzione, anche oltre i limiti di legge, dello stato di emergenza. Eccovi un estratto dell’articolo, piuttosto complesso.

 

La “proroga” dello Stato d’emergenza oltre il limite temporale previsto dalla legge.  Esiste un vulnus di tutela dell’ordinamento democratico?

“Quando qualcuno (Silla prima, Cesare poi) ha pensato di estendere lo stato di emergenza e si fece confermare oltre il tempo i pieni poteri, ecco che la dittatura da “commissaria” si fece “sovrana”, e la Repubblica capitolò. Ancora oggi è questa la sfida più grande. Se infatti adesso sopportiamo limitazioni di libertà disposte in piena e solitaria responsabilità dal Governo pro tempore in carica, lo facciamo per necessità, avendo ad esso trasferito di fatto i poteri sovrani. Consapevoli però che, se dopo aver sconfitto il terribile e invisibile nemico, non si dovesse tornare alla normalità, rischieremmo di precipitare nel buio della Repubblica”.

(G. Azzariti, Il diritto costituzionale d’eccezione

È stata annunciata, informalmente, la possibilità di una proroga dello Stato d’emergenza oltre il limite che la legge prevede come ultimo e invalicabile; esso è disciplinato dall’art. 24 co. 3 del d. lgs. n. 1 del 2018 (Codice Protezione Civile), il quale prescrive che “La durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi”), termine che coincide con la data del 31\01\2022. Come è possibile, quindi, prorogarlo ulteriormente? 

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Questo articolo si propone di indagare come ciò possa essere possibile nell’ordinamento italiano e se queste operazioni possano far luce su un vulnus nella tutela dell’ordinamento democratico durante lo stato d’emergenza [1].

1.Limiti temporali: è possibile una proroga o una nuova dichiarazione dello stato d’emergenza? 2. La temporaneità emergenziale nella Costituzione 3. Problematicità della modifica della Legge sullo stato d’emergenza durante lo stato d’emergenza 4. Conclusioni: vulnus di tutela?

 

  1. Limiti temporali: è possibile una proroga o una nuova dichiarazione dello stato d’emergenza?

Al fine di poter usufruire di un’estensione della durata dello stato d’emergenza (ossia di una “proroga” latu sensu), sono percorribili diverse strade:

  1. Una prima, concernente la possibilità di dichiarare ex novo lo stato d’emergenza;
  2. Una seconda, concernente la possibilità di ricorrere ad una modifica del termine ultimo previsto dalla legge;
  3. L’ultima possibilità prevede di non ricorrere allo stato d’emergenza, ma di prorogare soltanto le singole norme che consentono il contenimento della pandemia o dell’emergenza economica.

In primo luogo occorre precisare che un’estensione dello stato d’emergenza non è incostituzionale fintantoché ne vengano rispettati i presupposti (tutela della salute pubblica, temporaneità, proporzionalità, motivazione); poiché lo stato d’emergenza è disciplinato con una legge di rango ordinario, in questo contesto si può ragionare, eventualmente, di legittimità.

La prima operazione, stante l’esistenza di un termine ultimo dello stato d’emergenza e l’espressa previsione di ristabilire il precedente ordine sospeso (ex art. 26 dello stesso Codice di protezione civile), cui provvedere almeno 30 giorni prima dalla scadenza dello stato d’emergenza nazionale, fa apparire questa strada come illegittima. Tuttavia, il costituzionalista Cesare Pinelli, ad esempio, afferma il contrario. Si vuole qui evidenziare, comunque, come nonostante ricorrano i presupposti giustificativi per una nuova dichiarazione e nonostante sia assente un’espressa indicazione nella legge volta ad impedire una dichiarazione ex novo, vagliando lo spirito della legge, tale soluzione sembrerebbe ad esso contraria.  Il fine esplicito della legge si estrinseca, infatti, nella necessità di fornire uno strumento per la gestione delle emergenze ma, al contempo, esprime la “necessità” di contenere e definire lo stato emergenziale entro un perimetro stabilito ex ante. E cosa sarebbe, questa eventualità, se non una perpetuazione (usque ad infinitum?) della medesima situazione emergenziale?

La seconda strada, invece, prevede di modificare la stessa legge che contiene il termine ultimo e invalicabile, attraverso un’estensione dei termini. In questo caso, occorre fare un ragionamento ulteriore. Il limite temporale dello Stato d’emergenza è previsto in legge ordinaria, e non è la prima volta che si modificano i termini della durata dello stato d’emergenza nazionale. Originariamente, la legge 225/1992, all’art. 5 co.1 bis prevedeva che la durata della dichiarazione dello stato d’emergenza non potesse superare i 180 giorni, e che fosse prorogabile per non più di 180 giorni; questa disposizione è stata modificata soltanto nel 2018, con l’entrata in vigore del Codice di Protezione civile che ha esteso al doppio la durata e la possibilità di proroga (12 mesi, prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi).  Modificare la norma che disciplina lo stato d’emergenza per modificarne la durata è, dunque, formalmente possibile.  Affinché venga rispettata la legalità, è sufficiente che la proroga venga decisa con il necessario coinvolgimento del Parlamento, quindi attraverso una norma primaria. Si ricorda, però, che questa volta la modifica dei termini temporali necessita di una particolare attenzione: questo perché ciò significherebbe “modificare la norma sullo stato d’emergenza, durante lo Stato d’emergenza”. Una norma in corso d’opera quindi, una distinzione non da poco.

A rendere profondamente diverse la percorribilità della prima o della seconda strada, è il coinvolgimento del Parlamento. Nella “nuova dichiarazione” dello Stato d’emergenza il Presidente del Consiglio dei ministri procederebbe senza coinvolgere il Parlamento (ex. art. 24 co.1 lettera c del Codice di Protezione civile); al contrario, una modifica del termine massimo previsto dal Codice della protezione civile dovrebbe avvenire con una norma di rango ordinario, quindi passando attraverso il Parlamento. La dottrina salva la legittimità della percorribilità della prima strada attraverso l’indicazione del coinvolgimento del Parlamento.

La necessità di coinvolgere il Parlamento diventa, nel periodo emergenziale, il mezzo per poter riequilibrare l’accentramento dei poteri che l’esecutivo attrae a sé per disposizione di legge: garantire che il Parlamento rimanga il necessario interlocutore del Governo, in un’ottica sinergica e non solo subordinatamente collaborativa, diviene la modalità che assicura il rispetto della c.d. “la legalità dei periodi eccezionali, perché rappresenta l’approvazione del popolo che, attraverso i suoi rappresentanti, viene reso partecipe delle decisioni prese in deroga all’ordinario svolgimento della vita costituzionale dell’ordinamento. Ciò è corroborato dal fatto che un’autonomia normativa del potere esecutivo non è prevista costituzionalmente neanche dinanzi a situazioni emergenziali (es. decreto-legge ex art. 77 Cost., nonché art. 78 Cost. ove è il Parlamento a deliberare lo stato di guerra).

Tuttavia, il Codice della Protezione civile non prevede il coinvolgimento del Parlamento, né per la proclamazione iniziale dello stato d’emergenza, né per le successive proroghe[11].

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Tale coinvolgimento porterebbe con sé la difficoltà di raggiungere una maggioranza parlamentare, stante la non condivisione, da parte di alcune forze partitiche, dell’opportunità di estendere ulteriormente lo stato d’emergenza. Ed è qui che entra in gioco la terza opzione: quella di prorogare soltanto le norme necessarie al contenimento della pandemia, senza ricorrere ad un’estensione dello stato d’emergenza. In questo contesto ci si limiterà a sottolineare come, ai fini della scelta, entrano in bilanciamento da una parte il “principio di precauzione”, dall’altro i principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità. Nonostante sia il Parlamento il luogo privilegiato per contemperare il bilanciamento necessario tra i principi, è qui utile ricordare un passaggio della sentenza del Consiglio di Stato:  “Nel conseguente bilanciamento delle più opportune iniziative di contenimento del rischio, la scelta del c.d. “rischio zero” entra in potenziale tensione con il principio di proporzionalità, il quale impone misure “congrue rispetto al livello prescelto di protezione” ed una conseguente analisi dei vantaggi e degli oneri dalle stesse derivanti”.

Applicando tale ragionamento alla nostra analisi, è necessario interrogarsi se una proroga dello stato d’emergenza sia proporzionale al rischio in atto (dal momento che il rischio zero non esiste): è forse possibile raggiungere lo stesso obiettivo del contenimento della pandemia attraverso una terza via? Si potrebbe, ad esempio, uscire dallo stato d’emergenza e procedere, sempre attraverso una norma primaria, ad indicare quali misure siano ancora necessarie a contrastare la diffusione dell’epidemia.  Del resto, parte della dottrina ha espresso come sarebbe stato sufficiente, per contenere la pandemia, ricorrere all’uso del decreto-legge, strumento che la Costituzione prevede proprio per le situazioni di “necessità e d’urgenza” (se non si fosse abusato di tale strumento nel funzionamento ordinario dell’ordinamento costituzionale).

Occorre ragionare, difatti, sugli effetti che tale proroga – che soltanto ad uno sguardo superficiale può sembrare una “formalità” – potrebbe avere sull’intero ordinamento in futuro. L’esperienza weimariana e quella fascista ci rammentano che non bisogna mai distogliere lo sguardo dalla “temporaneità” nelle situazioni emergenziali, per questo le situazioni emergenziali dovrebbero avere un “limite ultimo massimo” prestabilito ex ante: per far sì che l’emergenza non si tramuti in ordinarietà. Come vengono disciplinate le situazioni emergenziali dalla Costituzione italiana? Anche se lo stato d’emergenza non è disciplinato in Costituzione, si possono ricavare dalla stessa i principi generali da tenere in mente per disciplinare – e ricondurre a sistema- le situazioni emergenziali.

 

  1. La temporaneità emergenziale nella Costituzione

In Costituzione, le situazioni di necessità ed urgenza sono sempre accompagnate da una temporalità ben definita ex ante, come si vedrà dagli art. 13.3, 21.4 e 77 Cost.

Si pensi, ad esempio, all’art. 13 Cost., in cui la “restrizione della libertà personale può avvenire soltanto con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria” e, laddove si ravvisi la necessità e l’urgenza di procedervi immediatamente (ex art. 13 co.3 Cost.), nei casi espressamente dettati dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.  Le situazioni di necessità ed urgenza non impediscono di procedere in via derogatoria rispetto alla Costituzione stessa, ma tale vizio, poiché è vizio, deve essere sanato entro un tempo ben determinato ex ante, altrimenti la misura risulta priva di ogni effetto.

Allo stesso modo, l’art. 21 Cost. co. 3, laddove fa riferimento al sequestro della stampa periodica, specifica che, qualora vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Anche in questo caso, se la convalida non avviene entro il tempo stabilito, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.

Analogamente è previsto un termine temporale nell’art. 77 Cost.: il Governo pùò adottare, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, ma questi debbono essere presentati alle camere il giorno stesso per la conversione (e se queste sono sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni). I decreti, inoltre, perdono efficacia sin dall’inizio (ex tunc), qualora non convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione.

L’unica eccezionalità che permette uno stravolgimento dell’ordinarietà costituzionale senza, al contempo, definirne il “termine ultimo” è la dichiarazione dello stato di guerra ex art. 78 Cost.; tuttavia, quest’articolo non può esserci d’aiuto in quanto tra i costituenti non trovò seguito la proposta di ricomprendere in tale articolo situazioni diverse da quelle dell’emergenza bellica, quindi proprio in riferimento allo stato d’emergenza.

Dalla lettura del testo costituzionale risulta, dunque, non soltanto un forte legame tra la “necessità e l’urgenza” e la “temporaneità” di compressione, ma anche come tale temporaneità sia definita ex ante; inoltre, emerge come sia necessario che la deroga ai principi costituzionali permessa in Costituzione venga sanata attraverso quanto prescritto dalla Costituzione stessa.   In particolar modo, tale sanatoria sia che avvenga nella forma della “convalida” (ex art. 13 o 21 Cost.) sia che avvenga nella forma della “conversione in legge” (art. 77 Cost) deve necessariamente avvenire ad opera del soggetto che l’ordinamento costituzionale pre-dispone essere il titolare di tale funzione nel tempo ordinario. Sarà, difatti, il giudice, in quanto naturale garante del rispetto dei diritti, a convalidare il “sequestro” (ex. art. 13 e 21 Cost.), e sarà il Parlamento, soggetto costituzionalmente preposto all’attività legislativa, a “convertire in legge” il provvedimento provvisorio con forza di legge emanato dal Governo.  Attraverso queste “sanatorie” viene assicurato il rispetto del costituzionalismo nella sua duplice funzione di garanzia dei diritti e separazione dei poteri; e la Costituzione, nel prevederle, mostra come, nelle situazioni eccezionali, vada garantito sempre e comunque, il ripristino dell’ordinarietà, e pertanto il rispetto del costituzionalismo, in un tempo prestabilito.

Non bisogna, dunque, distogliere lo sguardo dalla “temporaneità”: Massimo Luciani, con riferimento all’emergenza sanitaria, evidenzia come la temporaneità sia uno degli elementi che, per costante giurisprudenza costituzionale, vadano “inseriti nell’apprezzamento della legittimità o meno delle misure restrittive dei diritti”.  

 

  1. Problematicità della modifica della Legge sullo stato d’emergenza durante lo stato d’emergenza

La temporaneità è la condizione che più di tutte consente l’esistenza stessa della proclamazione dello stato emergenziale. Non si può dimenticare come la possibilità di prorogare lo stato d’emergenza ad infinitum sia stato ciò che ha -di fatto- sospeso la Costituzione di Weimar per ben 12 anni; lo stesso si può dire nella storia italiana della legge, votata dal Parlamento, che attribuì a Mussolini i pieni poteri per poter fare tutto il necessario al fine del superamento del periodo emergenziale. Fu quindi l’emergenza a giustificare una non applicazione ordinaria della Costituzione: a Costituzioni invariate veniva proclamato lo stato d’eccezione che divenne perpetuo.

Se questo oggi non è possibile è perché lo stato d’emergenza è stato ben delineato a priori: in questo perimetro la temporaneità assurge a condizione essenziale di legittimazione dello stato d’emergenza, per questo sorge spontanea una domanda: una proroga temporale oltre il limite prestabilito potrebbe mettere in crisi questa delimitazione? Ossia: astrattamene ragionando, poterebbe per tale via lo stato d’emergenza divenire perpetuo?

Non si può non evidenziare come, durante lo Stato d’emergenza, l’ordinamento subisce un’alterazione sia sul lato dei poteri, sia nel fianco dei diritti, pur posto che la Costituzione, in tale periodo, non è sospesa né possa esserlo.  Dal lato dei poteri, il Governo assume un ruolo decisivo e decisionista a scapito del Parlamento e, dal lato dei diritti, non si può non tener presente come la tutela della salute pubblica si irradi nell’ordinamento, provocando uno sbilanciamento che ripercuote su tutti gli altri diritti costituzionalmente garantiti. Soltanto stabilire un termine fisso ed invalicabile potrebbe in potenza – e né è certo che lo possa- determinare una riespansione elastica degli stessi.

Ida Angela Nicotra sottolinea appunto come l’emergenza sia una condizione “anomala e grave ma essenzialmente temporanea” e che la deroga all’ordinario svolgimento costituzionale possa avvenire soltanto se ciò sia previsto per un termine a breve durata (fisso o determinabile);  ne consegue che “essa legittima sì misure insolite ma le stesse perdono legittimità se ingiustificatamente protratte nel tempo”. Per questo devono essere predisposti confini ben precisi:  il limite ultimo non può avere una durata superiore al fenomeno straordinario, terminato il quale riacquista efficacia il sistema ordinamentale ordinario. Pur aderendo al concetto che precede, è compito di chi scrive porre un’ineludibile domanda: come garantire in via effettuale questo automatismo riespansivo?

Conseguenziale a tale impostazione è che una non cessazione dell’evento straordinario possa, di per sé, giustificare una proroga dello stato d’emergenza. In questo modo, a garanzia della “temporaneità”, si sta assumendo un termine determinabile, non fisso. Ancor più duramente, altra dottrina ha fatto leva su come lo stato d’emergenza epidemiologico debba fare i conti con una “temporaneità non definibile”, di lunga durata, per questo non definibile a priori.  Sembra quindi farsi strada l’idea che, in luogo di un termine fisso e determinato ex ante, sia sufficiente che questo termine sia “determinabile” di volta in volta: ciò significherebbe che, per rispettare la temporaneità quale condizione essenziale della legalità dello stato d’emergenza, sarebbe sufficiente revocare quest’ultimo non appena sia cessata -di fatto- la situazione emergenziale (quindi la pandemia).

La riflessione che si vuole stimolare con questo contributo è la seguente: può la garanzia dell’ordine costituzionale democratico essere affidata ad una “decisione” – seppure affidata al Parlamento- durante l’emergenza stessa? L’ordinamento democratico lo sopporta? Quali anticorpi predispone per evitare che la proroga possa essere reiterata, se non ad infinitum, comunque oltre il tempo sufficientemente necessario al superamento dell’emergenza? Ciò è particolarmente importante se si considera che il “rischio zero” non esiste.

Si ritiene che, alla luce delle situazioni emergenziali disciplinate in Costituzione ed in analogia ad esse, dovrebbe essere previsto un termine ultimo oltre il quale la dichiarazione dello stato d’emergenza non possa essere ulteriormente prorogata. Si considera, infatti, che, seppure coinvolgere il Parlamento sia di gran lunga preferibile rispetto ad altre modalità che non prevedono ed eludono il “passaggio parlamentare” – tant’è che diverse proposte di revisione costituzionale si sono orientate in questo senso– tale garanzia potrebbe comunque risultare insufficiente.   Questo perché affidare ad una maggioranza parlamentare contingente il potere di decidere sul termine ultimo dello stato d’emergenza, stante le disfunzioni dell’ordinamento democratico che l’emergenza ha posto sotto i riflettori, potrebbe non essere sufficiente a garantire che l’eccezionalità non si tramuti in ordinarietà.  Occorre operare dei distinguo: un conto è, difatti, affidare la modificabilità della norma che disciplina lo Stato d’emergenza ad una maggioranza parlamentare non coinvolta nello stato d’emergenza; altro è, invece, affidare tale possibilità ad una maggioranza parlamentare che sta attraversando lo stato d’emergenza. Se è innegabile che il Parlamento, in una democrazia parlamentare, sia espressione della sovranità popolare, non è forse vero che una decisione così importante, che attiene alla “Kompetenz- Kompetenz” sullo stato d’emergenza, sia da sottrarre alla disponibilità parlamentare per poter essere affidata a una sfera costituzionale?

Provocatoriamente si vuole qui porre questa riflessione: modificando la legge che disciplina lo stato d’emergenza per “necessità” non significherebbe, forse,  elevare la “necessità” a fonte autonoma del diritto? Non diverrebbe attuale, così, il principio secondo il quale “Necessitas non habet legem, sed ipsa sibi facit legem”? Anche se ciò ancora non è avvenuto, è difficile stabilire a priori che questo non possa succedere, per questo è necessario ricorrere ad un’ortoprassi nomogenetica al fine di predisporre un previo rimedio invalicabile.

Dunque, pur essendo formalmente possibile prorogare lo stato d’emergenza -o addirittura dichiaralo ex novo-, siamo sicuri che prorogarlo “oltre” il tempo stabilito ex ante dalla legge, non possa divenir poi un grimaldello escardinatore delle -indebolite- sicurezze del sistema per far diventare la necessità una fonte autonoma del diritto? Massimo Luciani, ha ben evidenziato come i provvedimenti emergenziali trovino fondamento nella Costituzione, nei principi del primum vivere e nella salus rei publicae, ed in forza di questo ragionamento hanno escluso che la necessità possa divenire essa stessa fonte del diritto. Bisogna ben guardarsi, quindi, dal non oltrepassare questo limite, di difficile determinazione; bisogna ben guardarsi da far divenire la necessità una fonte autonoma del diritto: questo perché si anteporrebbe la necessità alla stessa Costituzione, mettendone in discussione la sua rigidità.

  1. Conclusioni: Vulnus di tutela?

Nel dibattito politico e accademico si stanno susseguendo diverse proposte di modifica per “regolare lo stato d’emergenza”. Tra queste, è stato proposto l’inserimento dello stato d’emergenza in Costituzione, analogamente a quanto previsto in Germania, in Francia o in Spagna. Non si può, in questo contesto, fornire una trattazione esauriente al riguardo, ma si sottolinea come certamente in futuro sarà necessario occuparsi di alcuni vulnera di tutela dell’ordinamento democratico, riscontrati nella disciplina attuale.

Circa l’inserimento o meno in Costituzione della disciplina dello Stato d’emergenza, si può ragionare sui pregi e sui difetti dell’una e dell’altra soluzione. L’utilizzo della legge ordinaria ha il pregio di non permettere che una “sospensione” della Costituzione avvenga in virtù dell’applicazione di una norma costituzionale: similmente a quanto avvenuto a Weimar, la norma sullo stato d’emergenza potrebbe irradiarsi su tutto l’ordinamento, sospendendolo.  D’altra parte, però, disciplinarlo in legge ordinaria ha un grave vulnus: quello di non sottrarre al principio della successione delle leggi nel tempo (lex posterior derogat priori) la delimitazione dello stato d’emergenza.  Disciplinare il limite ultimo attraverso una legge ordinaria significa affidare al Parlamento – quindi ad una maggioranza contingente- la Kompetenz Kompetenz dell’emergenza, ne consegue che esso ha la possibilità di modificare i limiti dello stato d’emergenza  durante l’emergenza stessa.  Ci si chiede: come può una maggioranza parlamentare che sta attraversando l’emergenza avere la serenità per poter legiferare sul contenimento dello stato d’emergenza?

Se si pensa, inoltre, alla distonia che permette il non coinvolgimento del Parlamento, né per la dichiarazione dello Stato d’emergenza, né durante le successive proroghe, nonché alla perdita di centralità del Parlamento nell’ordinamento costituzionale anche nel periodo ordinario, si comprende come si stia attuando un vero e proprio squilibrio costituzionale che comporta l’accentramento di poteri all’esecutivo e che lascia perplessi circa la vera “Kompetenz Kompetenz” dell’emergenza.

Uno squilibrio che la disciplina attuale accentua anche nei confronti del giudice di legittimità, laddove prevede, all’art. 24 co. 5 del Codice della protezione civile, che la deliberazione dello stato d’emergenza non possa essere sottoposta a controllo preventivo di legittimità.  Giova interrogarsi se anche le proroghe siano o meno esonerate da tale controllo preventivo, e conseguentemente chiedersi: come comportarsi con la proroga “oltre il tempo prestabilito”? Questa sarebbe -di fatto – una nuova dichiarazione”, quindi anch’essa sottratta a tale controllo.  Se la ratio legis sottostante a tale preclusione consiste nella necessità di impedire che un controllo preventivo di legittimità possa rallentare l’utilizzo dello strumento emergenziale, la stessa ratio non può essere sottesa alle proroghe visto che, in questi casi, la situazione emergenziale è già in atto, e si ha il tempo per programmare la gestione dell’emergenza.  E cosa sarebbe la nuova dichiarazione, se non una proroga?

L’assenza di un controllo preventivo di legittimità non è da sottovalutare, se si pensa anche che il nostro ordinamento non presenta un sindacato preventivo di costituzionalità – come avviene in Francia, e come sia stato utilizzato proprio per verificare la possibilità di proroga.

Dagli errori che hanno permesso l’instaurarsi del fascismo si è pensato di edificare la Repubblica su una costituzione rigida, assistita da due organi di garanzia: il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale. Se non dagli errori, perlomeno dalle distonie che stanno emergendo durante questa emergenza sanitaria, sarà necessario provvedere, in futuro, con una rivisitazione della disciplina dello stato d’emergenza. Sebbene l’ordinamento democratico sia tutelato dai garanti, in futuro sarà bene rafforzare queste tutele, prevedendo una disciplina specifica dello stato d’emergenza.

In primo luogo, sarà necessario porre il Parlamento in una posizione privilegiata, quale necessario interlocutore per l’instaurazione dello stato d’emergenza: sia che ciò sia realizzato attraverso una disposizione di legge, sia che ciò sia previsto nella stessa Costituzione. Prendendo ad esempio le situazioni emergenziali disciplinate in Costituzione, si dovrà, inoltre, definire con maggior cura la disciplina dell’instaurazione e della cessazione dello stato d’emergenza.

  • Per l’instaurazione (nonché per le successive proroghe) appare necessario, alla luce di quest’analisi, prevedere un termine ultimo entro il quale il Parlamento debba “sanare” la dichiarazione dello Stato d’emergenza promulgata dal Governo e, laddove non concordasse sulla necessità di ricorrervi, possa invalidare con effetto ex tunc lo stato emergenziale.
  • Per la cessazione, invece, appare necessario stabilire in Costituzione un termine ultimo e inderogabile entro cui possa estendersi lo Stato d’emergenza.

Queste due precisazioni, se inserite a livello costituzionale, attuerebbero una duplice garanzia: quella di evitare abusi da parte del Governo nei confronti del Parlamento, nonché quella ulteriore di evitare che una maggioranza parlamentare contingente possa detenere la Kompetenz Kompetenz sullo stato d’emergenza. Si noti bene però: una disciplina limitativa, volta soltanto a definire e rigidamente contenere lo stato d’emergenza, non a legittimarlo a livello costituzionale, per non incorrere ad una legittimazione più ampia dello stesso (collocandolo al vertice delle fonti).

Si è aperta questa trattazione con un monito del costituzionalista Gaetano Azzariti: quello di tornare alla normalità dopo aver sconfitto il comune nemico, pena il precipitarsi nel buio della Repubblica.  Ci si chiede: prorogare oltre il limite stabilito per legge lo stato d’emergenza o addirittura dichiararlo ex novo, non è, di per sé, un raggiungere un buio giuridico in cui, durante la situazione emergenziale, tutto è permesso? “Lo stato di crisi non può essere fonte che legittima tutto”. Occorre, infatti, tener bene in mente che “Non possiamo pensare che sarà possibile rimuovere gli avvenimenti e che si possa tornare tranquillamente al mondo di prima, ma non possiamo però neppure accettare che l’emergenza si faccia regola”: una regola che auto-legittimi se stessa. Uno stato d’emergenza che “oltre” la legge, perpetui se stesso. Modificata una volta la regola, quale garanzia si avrà, quale tutela -immediata- è predisposta dall’ordinamento, affinché la regola non possa essere modificata ulteriormente anche a fronte di un’emergenza gestibile  senza ricorrere allo stato emergenziale, ma utilizzando lo strumento, previsto in Costituzione, della decretazione d’urgenza? E, in subordine, quale sarebbe il lascito di questa operazione nel futuro?

A conclusione, non si può non ammettere che l’emergenza sia diventata un valido punto di partenza per ragionare su come intervenire pro futuro, a tutela dell’ordinamento democratico.  La pandemia da Covid-19 ci ha colti alla sprovvista, ma  ci ha fatto conoscere – e riconoscere – le fragilità del sistema e ci ha posto davanti al necessario compito – non disertabile – che ne deriva: quello di  intervenire in futuro, nella direzione del massimo consolidamento della democrazia.


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