Economia
La Crisi industriale francese rischia di distruggere il tessuto sociale delle Città Medie, quelle più “Francesi”
La crisi industriale francese colpisce soprattutto le fabbriche nei centri medi, dove la chiusura dei grandi impianti produttivi crea dei veri e propri drammi sociali, che condurranno alla decadenza economica della Francia delle città medie e prepara a un duro periodo di instabilità
La Francia sta affrontando una crisi industriale che minaccia di destabilizzare il suo tessuto sociale, colpendo particolarmente le città di medie dimensioni. Il caso Michelin è emblematico: la chiusura degli stabilimenti di Cholet e Vannes metterà a rischio 1.200 posti di lavoro in un’area con 55 mila abitati, ma è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno più ampio che sta scuotendo l’intero paese.
Un altro caso emblematico è quello di Trosly-Breuil, vicino a Compiègne nella regione dell’Oise, dove la major WeylChem Lamotte ha annunciato un piano di ristrutturazione per il 2025, nonostante avesse investito 17 milioni di euro nel sito tra il 2023 e il 2024. Di conseguenza, 100 dei 400 posti di lavoro di questa cittadina di 2.000 abitanti sono a rischio. Per la piccola comunità, che quasi vive di questa fabbrica, un dramma quasi al livello di disastro naturale.
La CGT stima che oltre 150.000 posti di lavoro potrebbero scomparire in quella che Sophie Binet definisce “un violento salasso industriale”. Questo declino è particolarmente significativo perché colpisce il cuore produttivo della Francia: il 65% dell’industria nazionale si concentra nelle città medie, coinvolgendo il 49% della popolazione. In Francia queste comunità rischiano di essere letteralmente spazzate via.
La specificità di questa crisi risiede nella sua geografia sociale. Nelle città medie come Cholet e Vannes, con circa 55.000 abitanti ciascuna, la chiusura di uno stabilimento importante come Michelin non rappresenta solo la perdita di posti di lavoro, ma la disgregazione di un intero ecosistema sociale. I lavoratori, profondamente radicati nel territorio, si trovano in una situazione particolarmente vulnerabile: hanno mutui da pagare, famiglie stabilite, e una mobilità limitata.
Il fenomeno sta creando quella che gli esperti chiamano “una Francia a due velocità“. Mentre le metropoli mantengono una certa dinamicità economica, le città medie si trovano in una spirale discendente che combina deindustrializzazione, deterioramento dei servizi pubblici e crescente senso di abbandono. Non è possibile sostituire i posti persi con, ad esempio, attività consulenziali legate alle grandi aziende, e l’ambiente economico è sempre più ostile alla nascita di nuove attività imprenditoriali e industriali. Quindi resta abbandono e deserto.
La situazione è particolarmente preoccupante perché si sovrappone ad altre tensioni sociali: il deterioramento dei servizi pubblici, specialmente nella sanità, e le difficoltà del settore agricolo. Questa convergenza di crisi sta alimentando un profondo sentimento di disuguaglianza territoriale. Come evidenzia il politologo Brice Soccol, mentre nelle grandi città prevale il valore della libertà, nelle aree periferiche e rurali è l’uguaglianza ad essere percepita come prioritaria.
Il rischio sociale è concreto: alla vigilia del sesto anniversario dei “gilet gialli”, movimento nato proprio nelle aree periferiche, gli ingredienti per una nuova esplosione di rabbia sociale sembrano accumularsi. La deindustrializzazione viene vissuta come una “ferita narcisistica” che, dopo 40 anni, non si è ancora rimarginata. Poi le piccole comunità sono da sempre più legate al mondo agricolo, quello che ha provocato i “Blocage” lo scorso anno.
Quindi la crisi economica sta seminando un’instabilità sociale che però non è nella sua solita sede: la periferia della grande città, ma in comunità tranquille “Medie”, che normalmente sono la solida base di un Paese. Questo porterà a dei profondi sconvolgimenti.
La reindustrializzazione diventa quindi non solo una questione economica ma un imperativo sociale. Come sottolinea Marc Ferracci, ministro delegato all’Industria, è una questione di “coesione territoriale”. Tuttavia, in un momento di vincoli di bilancio e rallentamento economico, la sfida è trovare le risorse per un piano di rilancio che possa invertire questa tendenza prima che la frattura sociale diventi irreparabile. Però per reindustriale bisogna investire, e, se non lo fanno i privati, deve farlo lo Stato. Come si accorda questo con gli obblighi id bilancio e i limiti al debito=
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