Analisi e studi
La Costituzione economica 2° scheda: art. 35
Dopo aver visto nella prima scheda qual’è l’impianto teorico della Costituzione economica iniziamo da oggi l’esame dei singoli articoli: il primo è l’art. 35
La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.
Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.
Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero.
Possiamo subito dire che questo articolo ribadisce qual’è il fondamento del nostro Stato. Con il lavoro infatti come vediamo si apre la parte economica dopo che al lavoro il Costituente ha dedicato i due articoli principali della parte più importante della Carta, i “principi fondamentali” – quella rigida, quella che non può essere modificata neppure con procedimento di revisione costituzionale – l’art. 1, appunto, che definisce la nostra Repubblica nei suoi aspetti strutturali e l’art. 4, quello che, dopo le dichiarazioni generali di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo e del principio di uguaglianza degli art. 2 e 3, inizia a specificare quali siano questi singoli diritti che spettano al cittadino, ed il primo è appunto il diritto-dovere al lavoro.
Questo porre il lavoro come primo elemento costitutivo sia dello Stato che dei diritti dei singoli ha un duplice significato: da una parte si ha la consapevolezza che, dopo la distruzione materiale e morale dell’Italia provocata dalla II guerra mondiale, con un forte scollamento della società stessa, divisa anche territorialmente fra fascisti ed antifascisti, solo il lavoro per ricostruire tutti insieme la Nazione può ricompattare il popolo italiano e dargli una speranza per il futuro; dall’altra si vuol ribadire un concetto fondamentale: il lavoro è l’esplicazione più importante della personalità umana, con il lavoro l’uomo esprime pienamente le proprie capacità e trova una sua dignità come membro di una società civile. Per l’Italia, ogni lavoro, in qualunque forma ed applicazione, è quindi da tutelare, come appunto afferma il primo comma dell’art. 35, perché qualunque lavoro “concorre al progresso materiale e spirituale della società” come dichiara l’art. 4.
Naturalmente ogni cittadino-lavoratore ha il diritto di tendere a migliorare se stesso e la propria posizione sociale, attraverso il miglioramento qualitativo del proprio lavoro: ecco quindi che obbligo dello Stato è quello di agevolare tale percorso, predisponendo mezzi e strutture per la formazione o favorendone la creazione da parte di privati.
Gli ultimi due commi trattano due aspetti dello stesso problema: garantire che il lavoro si svolga nella maniera più dignitosa possibile. Per perseguire questo fine lo Stato partecipa ad accordi internazionali e favorisce quelle organizzazioni che lottano per la tutela dei diritti del lavoratore, come l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, nell’ambito ONU, e riconosce, ma si assume anche il diritto di regolare l’emigrazione del cittadino per motivi di lavoro ed il dovere di tutelarla. Questo punto ha una sua importanza storica.
Dalla fine dell’800 alla prima metà del ‘900 ci fu una massiccia emigrazione italiana che era spesso preda di sfruttatori senza scrupoli: basta ricordare la tratta di bambini per le vetrerie francesi o le fabbriche tessili svizzere e tedesche. Spesso questa emigrazione avveniva clandestinamente e con la connivenza di funzionari di frontiera. Molte volte gli aspiranti emigranti venivano convinti a partire, soprattutto per l’America, da procacciatori italiani ed addirittura dello stesso paese, con la prospettiva di un lavoro serio e ben pagato per poi ritrovarsi nelle mani di criminali che li deportavano nella miniere in West Virginia o nelle fazendas brasiliane, trattati come schiavi in condizioni disumane. Per arginare questo fenomeno furono promulgate delle leggi (Legge Crispi del 1888, che sanciva norme di polizia per controllare agenti e subagenti delle agenzie per l’immigrazione, Legge 23/1901 che aboliva dette agenzie private, istituendo organi pubblici per il controllo delle condizioni di lavoro nei paesi di destinazione, Decreto Prinetti del 1902, che addirittura proibì l’emigrazione in Brasile), ma senza grande successo, soprattutto per l’inerzia e la dolosa complicità degli organi di controllo statali.
Dati questi precedenti i Costituenti, con l’ultimo comma dell’art. 35, da una parte riconoscono il diritto ad emigrare, come parte del più ampio diritto a circolare e muoversi liberamente, dall’altra ribadiscono il diritto/dovere dello Stato a regolamentare tale facoltà ed a tutelarla, imponendo quindi un controllo effettivo. Date le mutate condizioni questo comma può sembrare ormai inutile, ma sulla spinta di questo furono conclusi degli accordi con Argentina, Svezia e Francia che tutelavano i lavoratori italiani e riconoscevano ad essi un trattamento paritario con i cittadini locali, accordi tuttora in vigore.
La prossima scheda tratterà unitamente l’art. 36 e l’art. 37.
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