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La Cina non si ferma: l’export batte le attese e inonda il mondo (tranne gli USA). UE e ASEAN le vittime
: Nonostante i dazi americani, Pechino segna un +5,9% grazie a una flessibilità straordinaria. L’industria cinese ridirige le merci e inonda i mercati alternativi, mentre la domanda interna resta al palo.

Chi pensava che le tensioni geopolitiche e i dazi potessero ingabbiare definitivamente il Dragone si sbagliava, e di grosso. I dati doganali cinesi di novembre ci raccontano una storia di straordinaria resilienza e, soprattutto, di un pragmatismo commerciale spietato.
Contro ogni previsione degli analisti, che si aspettavano una crescita modesta del 3,8%, le esportazioni cinesi hanno registrato un balzo del 5,9% su base annua. Un rimbalzo netto rispetto al calo dell’1,1% di ottobre, che dimostra una capacità di adattamento che ha pochi eguali al mondo. Pechino ha capito il gioco: se la porta principale (gli USA) si chiude, si spalancano le finestre di tutto il resto del pianeta.
Il Grande Pivot: via dagli USA, avanti tutti gli altri
Il dato più eclatante non è tanto il numero totale, quanto la sua composizione geografica. L’industria cinese, con una flessibilità quasi idraulica, ha ridiretto i flussi commerciali bloccati da Washington verso ogni altro mercato disponibile.1
Mentre le spedizioni verso gli Stati Uniti sono crollate del 28,6% (l’ottavo mese consecutivo di calo a doppia cifra), le merci cinesi hanno letteralmente invaso altre piazze, Europa inclusa. Ecco una panoramica di come Pechino ha ridisegnato la sua mappa dell’export a novembre:
| Destinazione | Variazione % (Anno su Anno) |
| USA | -28,6% |
| Unione Europea | +14,8% |
| ASEAN | +8,2% |
| Giappone | +4,3% |
| Australia | +35,8% |
Il messaggio è chiaro: l’industria cinese è decisa a non cedere il proprio ruolo centrale nella supply chain globale. Se Washington alza i muri, Pechino inonda i mercati alternativi, diversificando le destinazioni con una rapidità che lascia spiazzati i concorrenti occidentali. Ecco un grafico che esplicita l’andamento dell’export cinese:
Non solo paccottiglia: cosa vende la Cina
Non stiamo parlando solo di giocattoli o vestiti. La composizione dell’export mostra una Cina che spinge su settori strategici e ad alto valore aggiunto, nonostante la “tregua” commerciale siglata recentemente in Corea del Sud tra Xi Jinping e il Presidente USA (che ha congelato temporaneamente alcune misure restrittive, ma ha lasciato i dazi USA su livelli medi del 47,5%).
I settori trainanti a novembre sono stati:
- Fertilizzanti: +61,5%
- Circuiti Integrati (IC): +24,7%
- Automobili: +16,7% (un dato che dovrebbe far riflettere l’industria europea)
- Display LCD: +10,5%
Il tallone d’Achille: la domanda interna non parte
Se il motore dell’export ruggisce, quello interno tossisce ancora. Le importazioni sono cresciute solo dell’1,9%, mancando le attese del 3%. Questo è il classico segnale di un’economia sbilanciata: il surplus commerciale è volato a 111,68 miliardi di dollari in un solo mese, il livello più alto da giugno. Un valore molto, troppo, elevato, anche perché concentrato su poche aree che non potranno che reagire. Ecco il grafico del surplus commerciale da Tradingeconomics:
Perché le importazioni languono? Semplice: la crisi immobiliare morde ancora e l’insicurezza lavorativa frena i consumi delle famiglie cinesi. Pechino continua a promettere stimoli, e gli analisti di Goldman Sachs prevedono per il prossimo anno un aumento del deficit fiscale e tagli ai tassi, ma per ora la Cina rimane un gigante che produce per gli altri perché i suoi cittadini non comprano abbastanza.
Mercantilismo 2.0, fino a quando?
In attesa della Conferenza Centrale sul Lavoro Economico che definirà i target per il 2026 (si punta ancora al 5% di crescita), la strategia appare cristallina. La Cina sta usando la sua sovraccapacità produttiva per mantenere la crescita, scaricando l’output sui mercati globali “amici” o neutrali per compensare la perdita del cliente americano.
È una dimostrazione di forza e flessibilità impressionante: bloccati a Ovest, i flussi si sono riversati altrove. Resta da vedere per quanto tempo Europa e paesi ASEAN accetteranno passivamente questa “invasione” di merci prima di alzare a loro volta delle barriere. Macron ha già minacciato dazi se il surplus commerciale cinese rimarrà in queste dimensioni. Trump ha aperto una strada che gli altri paesi non possono più evitare di seguire.
Domande e risposte
Perché le esportazioni cinesi crescono se gli USA hanno ridotto gli acquisti?
La Cina ha dimostrato un’enorme flessibilità nel diversificare i propri mercati di sbocco. A fronte di un crollo verticale dell’export verso gli USA (-28,6%), Pechino ha spinto massicciamente le vendite verso l’Unione Europea (+14,8%), l’Australia (+35,8%) e i paesi dell’area ASEAN. Le aziende cinesi hanno rapidamente riorientato la logistica e le strategie commerciali per compensare la chiusura del mercato americano, “invadendo” di fatto le altre economie globali.
Qual è l’impatto della tregua commerciale tra Xi e il Presidente USA?
La tregua, siglata in Corea del Sud, ha evitato un’ulteriore escalation immediata, congelando nuove misure restrittive per un anno e portando Pechino a promettere maggiori acquisti di soia USA e controlli sul fentanyl. Tuttavia, non ha eliminato i dazi esistenti (che restano alti, intorno al 47,5% per gli USA) né ha invertito il trend di “decoupling”. È una pace armata che dà respiro ai produttori, ma non cambia la traiettoria di scontro strutturale.
L’economia cinese è quindi in perfetta salute?
No, il modello rimane sbilanciato. Il boom dell’export nasconde la debolezza della domanda interna. Le importazioni sono cresciute poco (+1,9%) a causa della crisi immobiliare e della scarsa fiducia dei consumatori cinesi. La Cina accumula un enorme surplus commerciale (oltre 111 miliardi di dollari a novembre) proprio perché produce molto più di quanto i suoi cittadini riescano a consumare, rendendo l’economia dipendente dalla capacità del resto del mondo di assorbire le sue merci.









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