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La bolla dei prestiti ESG sta per saltare, e sarà un bel botto

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I prestiti legati alla sostenibilità, o SLL (sustainability linked loans), esistono solo da pochi anni. In questo breve periodo sono diventati un mercato da 1.500 miliardi di dollari partendo da zero. Ora però l’analisi della reale sostanza della dichiarazione di sostenibilità rischia di mettere nei guai sia i percettori, sia le banche che hanno concesso quest tipo di prestiti, perché, evidentemente, dietro c’è un bel po’ di sola apparenza verde, cioè di greenwashing.

Il primo prestito legato alla sostenibilità è stato opera dell’olandese ING Groep ed è stato chiuso nel 2017. Da allora, i prestiti legati alla sostenibilità sono diventati il secondo mercato ESG più grande al mondo, dopo i cosiddetti green bond.
L’essenza degli SLL è che il mutuatario può beneficiare di un tasso di interesse leggermente più basso in cambio dell’assunzione di impegni in campo ambientale, un principio piuttosto simile al funzionamento dei fondi di investimento ESG. Ma proprio come per i fondi di investimento ESG, le autorità di regolamentazione e gli investitori hanno iniziato a mettere in dubbio la validità delle dichiarazioni di sostenibilità degli emittenti di obbligazioni e dei mutuatari bancari.

In un recente articolo sull’argomento, Bloomberg ha osservato che la situazione è arrivata a un punto in cui le banche che forniscono SLL stanno cercando una copertura legale in previsione di cause per greenwashing. Probabilmente sanno già in partenza, che gli impegni presi sono stati . Questa previsione potrebbe rivelarsi legittima perché le banche non hanno controllato in dettaglio gli impegni ESG dei loro clienti prima di concedere i prestiti, né hanno verificato se questi clienti utilizzassero il denaro per miglioramenti ambientali, sociali o di governance.

Non dovevano controllare, e non ne avevano bisogno, o almeno così pensavano. La grande attrattiva dei prestiti legati alla sostenibilità risiede nel fatto che il mutuatario, come nota Reuters in un recente articolo, può usare il denaro praticamente per quello che vuole, perché la banca classifica il prestito come parte dei propri sforzi ESG e non sembra preoccuparsi troppo del fatto che le affermazioni ESG del mutuatario abbiano o meno sostanza. Se non è questo il greenwashing, che cosa lo è?

Bloomberg ha osservato nel suo articolo che le dichiarazioni di sostenibilità fatte dai mutuatari non sono rese pubbliche e il mercato dei prestiti legati alla sostenibilità non è regolamentato. In altre parole, un’azienda potrebbe sottoscrivere un prestito legato alla sostenibilità e pagare un tasso d’interesse tra i 2,5 e i 10 punti base inferiore rispetto a un prestito normale, giurando di utilizzare il denaro per fini sostenibili. Poi può portare a casa il denaro e farci quello che vuole, anche se non ha nulla a che fare con la sostenibilità.

La banca, nel frattempo, non si preoccupa dell’uso che il mutuatario farà del denaro, perché ha già archiviato il prestito nell’ambito dei propri obiettivi di sostenibilità e lo considera un passo nella giusta direzione per raggiungere tali obiettivi. Sembra che questi SLL siano stati tanto apprezzati dai finanziatori quanto dai mutuatari.

Quindi, nel giro di sei anni, un mercato che è passato da zero a 1,5 trilioni di dollari sta per subire qualche scossa, poiché i legali delle banche avvertono che i rischi di reputazione sono diventati troppo grandi per essere ignorati. La situazione ricorda un po’ la crisi dei mutui subprime del 2007. Un mercato di prodotti finanziari oscuri che sfugge di mano alla regolamentazione è sempre una situazione pericolosa.
Forse nessuno poteva prevedere le domande che sarebbero iniziate a sorgere sulla reale sostanza delle dichiarazioni ESG fatte dalle aziende. Forse nessuno aveva previsto il contraccolpo politico negli Stati Uniti conservatori. Eppure entrambe le cose stanno accadendo e stanno scuotendo le fondamenta dell’intero mercato ESG.

La Reuters ha recentemente condotto un’indagine tra le banche e ha scoperto che solo una delle 14 non ha archiviato le SSL fornite nell’ambito delle proprie iniziative di sostenibilità. Tutte le altre lo hanno fatto, dando essenzialmente per scontato che il mutuatario avrebbe utilizzato il prestito come promesso. Non c’è da stupirsi che i controlli siano più severi e che, di conseguenza, gli SLL siano in calo.

Bloomberg ha riferito, all’inizio di questo mese, che l’emissione di prestiti legati alla sostenibilità negli Stati Uniti è calata fino all’80% a causa delle crescenti preoccupazioni sul greenwashing e dei tassi di interesse più elevati. L’emissione è in calo anche in altre regioni, poiché le autorità di regolamentazione iniziano a prestare attenzione a questi prestiti, così come hanno iniziato a prestare attenzione ad altre affermazioni ecologiche fatte da società desiderose di trarre vantaggio dal trend degli investimenti ESG.

Con i fondi d’investimento che hanno cambiato marchio e hanno eliminato parole come “sostenibile” dai loro nomi in seguito alla crescente cautela degli investitori, era solo questione di tempo prima che anche le banche iniziassero a prestare attenzione. Secondo Bloomberg, questa attenzione si è concretizzata nella ricerca di aiuto da parte di professionisti legali e nell’ideazione di una copertura nei contratti per le SLL.

La copertura sembra essere una scappatoia che consente alle banche di riclassificare gli SSL come prestiti ordinari nel caso in cui il mutuatario non utilizzi il denaro per promuovere i propri obiettivi ESG come promesso. In altre parole, le banche ammettono di non avere modo di far rispettare i termini del contratto di prestito al mutuatario e cercano una via d’uscita da potenziali accuse di greenwashing modificando tali termini.

Questa bolla, insieme allo scandalo che ne seguirà, non sono che l’ennesimo segnale di un’economia e una finanza drogate dalla politica, che nascondono i propri pasticci dietro le buone intenzioni.

 


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