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IL SISTEMA BANCARIO GIAPPONESE E LA VIGILANZA. (di Valerio Franceschini)

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Dopo aver letto l’annuncio terrificante dell’Ufficio Stampa della BI del 22 aprile 2015, nel quale venivano riportate le dichiarazioni del Governatore di Bankitalia Ignazio Visco pronunciate all’audizione presso la VI° Commissione Finanze e Tesoro del Senato da dove si evince chiaramente che “i clienti/correntisti dovrannopagare per il salvataggio di una banca”, mi è sembrato importante effettuare le differenze, dal punto della vigilanza, tra il sistema bancario giapponese e quello europeo, le quali appaiono a prima vista veramente profonde.

 Iniziamo col dire che gli organi di vigilanza del sistema bancario giapponese appartengono al potere politico-esecutivo, e non vi è, dunque, un controllo indipendente affidato alla banca centrale, se non nei limiti in cui essa abbia poteri di vigilanza sulla stabilità del sistema finanziario.

I poteri generali di vigilanza sono quindi in primo luogo attribuiti al Primo Ministro: l’art. 24 (il primo del capo intitolato alla vigilanza) stabilisce al primo comma che “Il Primo Ministro può, se lo ritiene necessario per assicurare una sana ed appropriata gestione dell’attività di una banca, richiederle…, di redigere relazioni o sottoporgli documenti sullo stato delle sue attività e patrimonio”.

Già da questa prima norma si intuisce che non vi è, nella Legge bancaria giapponese, una impostazione della vigilanza basata sull’emanazione di regole generali, quanto su profili ispettivi e sanzionatori.

Questo principio, tuttavia, non va preso in maniera assoluta, perché altre normative, di rango legislativo ma soprattutto amministrativo, stabiliscono come vedremo regole parzialmente diverse. Va infatti segnalato che gran parte dei poteri governativi di vigilanza sul sistema finanziario (e, dunque, anche su quello bancario), che prima erano conferiti ad un ufficio del Ministero delle Finanze (l’Ufficio per le banche) nel 1998 sono stati trasferiti ad una agenzia governativa, l’Agenzia per i Servizi Finanziari (FSA), che risponde al Governo.

L’Agenzia, cui sono attribuiti compiti di supervisione generale del sistema finanziario, sta attualmente lavorando per implementare quattro “pilastri” tesi ad arrivare ad un migliore ambiente di regole, basati su:

a. l’emanazione di un sistema di efficaci regole generali, da applicare ai singoli casi individuali;

 b. il riconoscimento tempestivo dei problemi e l’efficacia delle risposte;

 c. l’adozione di un sistema di incentivi per le istituzioni finanziarie a migliorare il sistema;

 d. il miglioramento della trasparenza e della prevedibilità delle regole.

Gli obiettivi di vigilanza, in generale, sono quelli di: stabilità del sistema finanziario; protezione degli utenti; trasparenza. L’Agenzia ha poteri propositivi nei confronti del Governo e della Dieta per l’adozione di misure utili al raggiungimento degli obiettivi di vigilanza.

Si deve notare, al riguardo, che gli obiettivi di vigilanza coincidono solo in parte con quelli previsti dall’art. 5 del TULB. Manca, in effetti l’indicazione esplicita dell’adozione di regole di gestione prudenziali ed il riferimento alla competitività. Vedremo fra poco, tuttavia, che tale differenza è solo apparente, ove si considerino, in concreto, le attuazioni pratiche dei principi di vigilanza.

Sostanzialmente, dunque, i poteri di vigilanza sono ripartiti tra il Primo Ministro, e per esso FSA, che ha compiti generali di vigilanza, e la Nihon Ginko, che ha poteri di ispezione, limitati peraltro alle sole banche che abbiano un conto presso di essa. I poteri ispettivi, peraltro, sono condivisi con lo stesso Primo Ministro (ma delegati anch’essi alla FSA) ai sensi dell’art. 25 della legge.

Anche i poteri sanzionatori sono attribuiti al Primo Ministro (e dunque alla FSA). L’art. 26 prevede infatti che, ove l’Autorità lo ritenga necessario ai fini di assicurare la sana e appropriata gestione, possa richiedere alla banca di elaborare un piano di miglioramento dell’attività, ovvero ordinare direttamente che la banca adotti misure specifiche entro un dato periodo di tempo. Peraltro, l’Autorità può anche ordinare direttamente, quale misura cautelativa, la sospensione dell’attività della banca. L’attività può essere sospesa totalmente o parzialmente (ad esempio, può essere vietato

alla banca di sospendere la sola attività di intermediazione in titoli derivati).

La sanzione più estrema è, ovviamente, la revoca dell’autorizzazione, che (artt. 27 e 28) può essere ordinata ove la banca violi la legge, i regolamenti, lo statuto, disposizioni di vigilanza dell’Autorità,

o comunque abbia posto in essere comportamenti in contrasto con l’interesse pubblico. Quale misura intermedia, può peraltro essere ordinata la rimozione degli amministratori, dei sindaci o dell’auditor.

Infine, tra le disposizioni di vigilanza contenute nella legge bancaria giapponese, appare peculiare quella dell’art. 29, in base al quale l’autorità può ordinare ad una banca di mantenere in Giappone parte del proprio patrimonio, quando ciò si renda necessario per proteggere gli interessi dei depositanti.

L’assetto delle regole generali di vigilanza, dunque, appare più flessibile rispetto ad altri paesi occidentali, come dimostrato nei – limitati – esempi di crisi bancarie, gestite in maniera “dinamica” dalla FSA (Il caso recente più noto è stato quello della Incubator Bank of Japan, fallita nel settembre 2010. In quell’occasione, l’Agenzia aveva emanato un ordine di sospensione parziale delle operazioni a maggio, ed aveva immediatamente proceduto alla denuncia del presidente della banca, poi arrestato a luglio. L’Agenzia, vista la natura della banca fallita, ha poi applicato la norma che limita il fondo di garanzia per la tutela dei depositi a 10 milioni di yen (circa 90.000 euro al cambio dell’epoca), e non ha viceversa chiesto che il Governo intervenisse accollandosi l’intero debito della banca verso i depositanti. La misura è stata appropriata, perché da un lato non ha inciso significativamente sui diritti di questi ultimi (la Incubator Bank of Japan raccoglieva depositi di risparmiatori e microimprese, e solo il 3% era superiore alla soglia dei 10 milioni di yen), dall’altro ha lanciato un segnale al sistema circa la non disponibilità dello Stato ad intervenire a fondo perduto per tutelare le banche non correttamente gestite).

Peraltro, il mantenimento degli obiettivi generali di vigilanza è assicurato anche da istruzioni, emanate dalla FSA, la cui struttura non è molto dissimile dalle istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia. Questo è ben comprensibile, ove si consideri che il Giappone ha partecipato agli accordi di Basilea.

Dalle istruzioni, la cui ultima revisione risale al marzo 2010, emerge dunque un quadro tutto sommato coerente con quello dei sistemi bancari europei. Ad esempio, nel capitolo dedicato alla governance si sottolinea che l’interesse pubblico sotteso all’attività bancaria e l’esigenza di protezione dei depositanti impongono un rafforzamento dei meccanismi di controllo interno e dei criteri di indipendenza degli organi di controllo. Ancora, le istruzioni dedicano una parte specifica al risk management, prevedendo l’istituzione di uffici appositi all’interno della banca, ed in generale di un modello organizzativo che consenta la diminuzione del rischio.

Criteri prudenziali volti a definire la “sana” gestione, come previsto dall’art. 14-2 della Legge, sono stabiliti dalla FSA, e nella formulazione attuale richiamano fondamentalmente gli accordi di Basilea.

Sotto questo profilo, le istruzioni sopperiscono dunque alla maggior genericità degli obiettivi generali di vigilanza stabiliti dalla FSA.

Strettamente legato al problema della vigilanza è quello dei bilanci e della loro pubblicità. Al riguardo, la Legge (artt. 17 segg.) stabilisce che, oltre al bilancio di esercizio, le banche debbano presentare bilanci intermedi al 30 settembre, che debbono essere resi pubblici ai sensi dell’art. 2 della Legge sulle società (Legge 86 del 26.7.05), altresì va considerato, a proposito dei bilanci, che le banche giapponesi tradizionalmente hanno notevoli investimenti in azioni, che in base ai principi contabili vanno valutate al minore tra costo di acquisizione e valore di mercato. Questo comporta che nei bilanci vi è la potenzialità per notevoli plusvalenze.

Oltre al bilancio ed al bilancio intermedio, la banca deve inoltre tenere a disposizione del pubblico presso i propri uffici documenti esplicativi circa lo stato della propria attività e del patrimonio. Si tratta di uno strumento di pubblicità e di trasparenza efficace, ulteriormente rafforzata per i depositanti, che hanno accesso ad ulteriori documenti (art. 21, co. 7). Ovviamente, questi strumenti di disclosure rendono inutile l’esercizio del diritto di ispezione individuale dei soci, tanto che l’art. 23 della Legge bancaria esclude l’applicazione dell’art. 433 della Legge sulle società, che tale diritto appunto regola.

 

Valerio Franceschini


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