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Analisi e studi

Il referendum costituzionale provocherà le elezioni anticipate. Politiche a maggio e referendum a giugno? (di P. Becchi e G. Palma su “Milano Finanza”)

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Le firme ci sono e il referendum si può fare. Stiamo parlando ovviamente della consultazione referendaria sulla riforma costituzionale che prevede la riduzione del numero dei parlamentari da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. Cosa comporta questo per la tenuta della legislatura?
Salvo sorprese le firme saranno depositate il 12 gennaio in Cassazione. A quel punto la Corte di Cassazione ha 30 giorni per verificare la regolarità delle firme e l’ammissibilità referendaria. Successivamente la palla passa al governo, che a sua volta ha 60 giorni per indire il referendum, fissando la data non prima di 50 e non oltre 70 giorni dalla data in cui viene emesso il decreto. Facendo realisticamente due conti, se il governo prendesse tutti i giorni a sua disposizione per indire il referendum confermativo, questo potrebbe tenersi non prima del 31 maggio e non oltre il 20 giugno.

Va ricordato che l’art. 4 della legge costituzionale che ha tagliato il numero dei parlamentari prevede che la riforma sia operativa a partire dal sessantesimo giorno successivo alla sua entrata in vigore, quindi dopo il sessantesimo giorno dalla promulgazione del Capo dello Stato, in caso di esito confermativo del referendum popolare. Ciò significa che se non si votasse prima, ItaliaViva, LeU, piùEuropa e forse altri partititi in via di formazione rischierebbero di non eleggere nessuno dei loro al Senato e solo una spicciolata di deputati a Montecitorio. Ma anche i 5Stelle per la verità non sarebbero messi bene.
Pericolo che si può evitare se le Camere fossero sciolte prima del referendum. In tal caso la prossima Legislatura sarebbe a Costituzione vigente, cioè con 945 parlamentari fino al 2025, col taglio dei parlamentari operativo solo dalla Legislatura successiva, salvo che il Parlamento – nel corso della prossima Legislatura – non proceda a nuova riforma che abroghi quella attuale.

Una crisi di governo entro fine febbraio/inizi di marzo che metta il Presidente della Repubblica nelle condizioni di sciogliere le Camere è dunque inevitabile se Renzi & Company desiderano ancora fare politica. Certo, in soccorso dei giallo-rossi potrebbero arrivare i seggi della Carfagna, ma a quel punto – di fronte alla possibilità di andare al governo col centrodestra – anche la ex modella che convenienza avrebbe ad estinguersi politicamente come già successo a Alfano?

A questo punto consideriamo qualche data. Le elezioni regionali si terranno il 24 o il 31 maggio, quindi sarebbe opportuno – sia per una questione di costi che per una ragione di comodità – tenere le elezioni politiche contestualmente alle elezioni regionali. Ciò vuol dire che le Camere andrebbero sciolte non oltre la seconda decade di marzo, giusto in tempo per approvare una legge elettorale proporzionale e tenere contento Renzi e gli altri partiti di governo sulle nomine più importanti nelle aziende di Stato, nomine che si possono fare anche con governo dimissionario. Insomma, gira e rigira il problema dei “governativi” è quello di piazzare qualcuno dei loro nei posti-chiave e attrarre un po’ di consenso, creando qualche problemino a Salvini col proporzionale.

Il referendum, giusto per non mischiare capre e cavoli, potrebbe a quel punto tenersi la seconda decade di giugno, più o meno come già accaduto nel 2006: elezioni politiche ad aprile e referendum costituzionale a giugno. Ci attende un nuovo anno ricco di sorprese.

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su “Milano Finanza” (MF) del 24 dicembre 2019.

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(Ladri di democrazia. La crisi di governo più pazza del mondo. L’ultimo libro di Paolo Becchi e Giuseppe Palma, Giubilei Regnani editore, 2019: https://scenarieconomici.it/ladri-di-democrazia-la-crisi-di-governo-piu-pazza-del-mondo-lultimo-libro-di-p-becchi-e-g-palma-giubilei-regnani-editore/)

 

 


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