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Il Recovery Fund: per ora un buco nero, che non è certo si materializzerà

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La politica italiana è ipnotizzata dai teorici miliardi del Recovery Fund, o meglio Next Generation EU, come viene definito dalla commissione. La parte principale di questi fondi dovrebbe derivare dal RRF, Resilience and Recovery Facility, lo strumento che dovrebbe costituire gran parte dell’apporto finanziario ai singoli stati.

Ricordiamo, cosa che raramente viene detta, che, in teoria, neanche un centesimo di questi soldi è a fondo perduto. Infatti:

  • per i due terzi si tratta di prestiti, da restituire entro il 2056, non rinnovabili, al contrario dei BTP;
  • per un terzo di fondi finanziati da “Mezzi propri” della Commissione europea, cioè imposte che cadranno o sui cittadini europei, come quella sulla plastica non riciclata o sugli stati, che poi li ribalteranno sui cittadini, come la riduzione della quota di dazi doganali spettanti agli stati.

Quindi la grande manovra espansiva annunciata non esiste perché, alla fine, tutto si riduce a una manovra a soma zero: tanto esce, tanto entra, conseguenza del Trattato fondativo dell’Unione che fa esplicito divieto di finanziamento attraverso la Banca Centrale Europea. Non può avvenire come nel Regno Unito, o in Giappone, dove la banca centrale interviene e copre il debito: ogni euro speso deve essere ripagato, in modo diretto o indiretto, dei cittadini e questo grazie all’articolo 123 TFEU che impedisce l’intervento, in teoria perfino finanziario, diretto della BCE:

Fatta questa premessa però nessuno nota che i cosiddetti “Mezzi propri”, le tasse incrementali imposte dalla Commissione per finanziare il RRF, sono, al momento, tutt’altro che certe: infatti l’approvazione di questa misura richiede l’approvazione di tutti i parlamenti nazionali, uno per uno. Allo stato attuale solo cinque parlamenti su 27 hanno approvato la parte fiscale. Evidentemente ci sono dei problemi politici, soprattutto negli stati del Nord Europa, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia e Finlandia, che anche in sede di discussione si erano mostrati più restii a giungere un accordo sul lato fiscale. Soprattutto i Paesi Bassi, in presa a una crisi di governo ed a prossime elezioni, non è assolutamente certo che approvino il RRF. Del resto l’Aia pagherebbe una parte consistente dell’imposizione fiscale derivante, senza averne un uguale stimolo. Perché dovrebbe approvarlo?

Che succederà a questo punto? Per lo meno ci saranno nuove trattative, con un ulteriore rinvio del Recovery Fund e una presumibile riduzione dell’unica parte veramente interessante di questo strumento finanziario, almeno per l’Italia ed i Paesi Mediterranei. Che succederà allora al mare di parole speso dalla nostra classe politica e alle speranze sparse a piene mani, ma senza forti fondamenti? Draghi dovrebbe farsi anche questa domanda.

 


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