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Attualità

IL PUNTO DI VISTA DI STRATFOR SULLA GRECIA

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di George Friedman
E le possibili conseguenze su tutti i debiti sovrani
di Gianni Pardo

Riguardo alla Grecia, la crisi, se così la si vuole chiamare, era in atto da molti mesi. “il punto terminale [ora raggiunto] è quello in cui né i greci, né i tedeschi possono fare ulteriori concessioni”, ma “nessuno ha mai realmente pensato che i greci potessero restituire quei prestiti”. Lo scopo dei tedeschi, fino ad un momento recente, è stato quello di “mantenere intatto non soltanto l’euro, ma anche la zona di libero scambio e il potere di Bruxelles sull’economia europea. La Germania fino ad ora ha evitato un livello estremo di crisi concedendo una infinita serie di accordi con la Grecia che i greci non potevano onorare e che nessuno si aspettava che essi onorassero; ma ciò ha permesso a Berlino di far credere che i greci capitolavano alle richieste tedesche di austerità”, eiò “teneva buoni gli altri paesi europei indebitati”.
“Per i tedeschi, la Grecia ha rappresentato una diga. Ciò che stava dietro di essa era sconosciuto e i tedeschi non potevano tollerare il rischio di una sua rottura. Un fallimento della Grecia avrebbe provocato” conseguenze simili a ciò che si era visto a Cipro, “sarebbero state probabilmente create barriere al commercio con lo scopo di proteggere l’economia greca, e un radicale riorientamento della Grecia in una nuova direzione strategica”. Ma c’era anche il valore d’esempio che il caso avrebbe potuto rappresentare. “Se ciò non portava ad una catastrofe economica e sociale, gli altri Paesi europei avrebbero potuto scegliere di approfittare dell’opzione greca. La prima scelta della Germania per evitare il fallimento era quella di creare l’illusione di una sottomissione greca. La seconda era quella di dimostrare le penose conseguenze di un rifiuto greco di continuare a giocare la prima partita”, quella dell’obbedienza.
Più recentemente, i tedeschi, riguardo alla Grecia, “hanno scelto di mostrare al pubblico europeo le conseguenze di un vero fallimento”. Ma le conseguenze sono dubbie. In Europa ci si potrebbe accorgere che “il rispetto dei rimborsi dei debiti potrebbe essere disastroso nel breve termine, ma soltanto se se i politici lo permettono. Esso potrebbe invece dimostrare che “la punizione per il non rispetto [degli impegni], per quanto dolorosa, sia tuttavia sostenibile e di gran lunga preferibile alle all’alternativa”.
“La premessa di base della Germania e dall’Unione Europea era che, in fin dei conti, la responsabilità di pagare i debiti incombeva su coloro che avevano contratto i debiti”. Ma Syriza la pensa diversamente. Essa oppone che, “di fatto, il mutuante e il mutuatario condividono la responsabilità morale. Il debitore poteva essere obbligato ad evitare di contrarre debiti che non avrebbe potuto restituire, ma il prestatore – essi sostengono – era anche obbligato ad essere doverosamente diligente, non prestando denaro a coloro che non sono in grado di restituirli. Cosicché, benché i greci siano stati degli irresponsabili per avere spensieratamente preso a prestito denaro, le banche europee che originariamente hanno finanziato la baldoria di debiti della Grecia sono state irresponsabili nel permettere che la loro stessa avidità prevalesse sulla loro doverosa prudenza”.
La Grecia, secondo Syriza, “deve sganciarsi da questa situazione e un ulteriore rinvio privo di significato semplicemente rinvierebbe il giorno in cui bisognerà riconoscere che questa non è una soluzione, e dunque rinvierà anche la ripresa economica”.
“Un’uscita della Grecia dall’eurozona non sarebbe follia. Creerebbe un disastro in Grecia, per qualche tempo, ma permetterebbe ai greci di negoziare con l’Europa su un piede di parità. Pagherebbero i loro debiti all’Europa con dracme secondo ciò che determinerebbe la Banca Centrale Greca, e potrebbero stabilire unilateralmente i tempi dei pagamenti. I mercati finanziari sarebbero loro chiusi, ma i greci avrebbero il potere di stabilire controlli sulla moneta come anche regolamenti di commercio, e devierebbero la loro attenzione dal vendere all’Europa, per esempio, al comprare e vendere alla Russia e al Vicino Oriente. Tutto ciò non è che sia un futuro molto promettente, ma non lo è neppure quello verso il quale la Grecia si avvia attualmente”.
“La sofferenza per un fallimento greco e un ritiro dall’eurozona sarebbe notevole. Ma questi fatti darebbero ai greci una moneta che possono finalmente guidare da sé. La paura che la Grecia possa lasciare l’euro non nasce dalla paura di un crollo istituzionale, ma dalla acuta coscienza che le monete sovrane possano essere di beneficio per la nazioni in difficoltà”.
(Riassunto e traduzioni di Gianni Pardo)
“Beyond the Greek Impasse is republished with permission of Stratfor”, Stratfor 0701, 30 giugno 2015.

LE CONSEGUENZE SULL’ECONOMIA DI TUTTI I PAESI

L’articolo di George Friedman, come sempre, è prezioso perché prescinde totalmente dal punto di vista morale. Prescinde perfino dal punto di vista giuridico, secondo cui il debitore è tenuto a restituire il denaro ricevuto in prestito. Così, per la prima volta, le ragioni di Syriza sono state esposte in maniera plausibile.
Alexis Tsipras è stato presentato come uno sfacciato che dichiara senza vergogna che non pagherà i suoi debiti; Friedman invece lo presenta come un pragmatico che dice: “Sapete benissimo che la Grecia non potrà mai ripagare i suoi debiti. Ci vogliamo mettere una pietra sopra? Di fatto, o ci date ancora denaro, oppure ce ne andiamo”. Indubbiamente molto realistico. Ma la proposizione apre la porta a ben altre considerazioni.
La Grecia non è in grado di pagare i suoi debiti, è vero. Ma lo è forse l’Italia? Lo sono forse la Spagna, la Francia, e tutti gli altri Paesi, inclusa la Germania? Certamente no. Al massimo – continuando a contrarre debiti – riescono a far fronte agli interessi da pagare. Se dunque si permetterà alla Grecia di non pagare i suoi debiti, o di rimborsarli per metà, chi, fra gli altri debitori, si asterrà dal reclamare analogo vantaggio? E ciò significa uno sconvolgimento di proporzioni globali.
L’eurozona si è retta su alcune convenzioni. Per decenni si è ritenuto che i titoli di debito sovrano fossero sicuri, tanto da essere tenuti in portafoglio, al pari delle grandi monete forti. Ora il semplice riconoscimento che questa era un’illusione costituirebbe una rivoluzione. Infatti, temendo una svalutazione, i detentori potrebbero cercare di liquidarli. Soprattutto ciò avverrebbe se vedessero una realizzazione concreta del fenomeno, nel momento in cui la Grecia trasformasse i suoi debiti denominati in euro in debiti denominati in dracme. E si potrebbe avere una crisi globale.
Ma c’è di più. Friedman sostiene che la crisi della Grecia non si è verificata ora, ma è in atto da mesi. Ciò che è avvenuto ora è soltanto che le parti non sono più in grado di fare ulteriori concessioni. E allora si può chiedere: se questo tirare la corda in direzioni opposte ha portato ad una rottura per quanto riguarda la Grecia, come escludere che lo stesso meccanismo, , in atto per gli altri Paesi troppo indebitati, conduca prima o poi agli stessi esiti?
In questo caso, si devono contemplare parecchi scenari. Se già per la Grecia si ipotizza la trasformazione della divisa da euro in dracma, ed anche la trasformazione dei debiti in euro in debiti in dracme, c’è da presumere che anche i debiti degli altri Paesi non sarebbero “azzerati”, ma “scontati” nella misura della svalutazione conseguente al ritorno alla moneta nazionale. Se questa, per dire, si svalutasse di una percentuale che va dal 15 al 50% rispetto all’euro (o al marco), di altrettanto si svaluterebbero i crediti di tutte le banche e di tutti i Paesi creditori. Ciò condurrebbe ad un riallineamento economico di tutti i Paesi non soltanto dell’eurozona, ma anche dell’Unione Europea e forse del mondo.
La situazione ipotizzata include anche una notevole inflazione: infatti ci sarebbe una corsa a liberarsi, finché si è in tempo, dei titoli che, finché sono stati denominati in euro, sono stati sopravvalutati, e poi sarebbero decurtati di una buona percentuale del loro valore. Si avrebbe dunque una valanga di titoli venduti, e dunque il ritorno in circolazione di molto denaro contante. All’’inflazione interna si sommerebbe, per tutti i Paesi usciti dall’euro, il rincaro delle commodities e di tutte le importazioni, con l’unica eccezione di quelle provenienti da Paesi che hanno anche loro svalutato la loro moneta.
Il fatto che sia messa in dubbio la solvibilità degli Stati potrebbe avere conseguenze anche al di fuori dell’Europa. Ci si potrebbe infatti chiedere se sia sostenibile la quotazione del dollaro. Molti Paesi infatti lo mantengono come riserva, insieme con i titoli di Stato statunitensi, e già per questo si è rotto l’equilibrio fra l’economia sostanziale statunitense e il quantum di moneta stampata. Se, nel timore di una svalutazione, molta parte dei dollari fosse rimessa in circolo, la paura della svalutazione provocherebbe l’inflazione e dunque la svalutazione. E una ben diversa quotazione del biglietto verde.
Un dubbio finale riguarda il credito, nazionale e internazionale. Come si sa, il commercio e il credito sono fondati sulla fiducia. Quale influenza avrebbe su di essi l’esperienza del tracollo della Grecia? Gatto scottato teme l’acqua fredda, dice un proverbio. E se la Germania, quasi un secolo dopo, non s’è ancora ripresa dallo shock di Weimar, chi dice che per decenni avvenire il credito non sarebbe azzoppato dalla disastrosa esperienza dell’euro, e dalla punizione di tutti coloro che “hanno avuto fiducia” nelle rassicurazioni dei colossi?
Si potrebbe perfino ipotizzare una perdita di fiducia nel concetto stesso di “moneta di riserva”, adottando come parametro degli scambi non più il dollaro, ma soltanto l’oro o anche un paniere delle principali commodities: oro, argento, petrolio, rame, energia. Il credito sarebbe comunque ridotto al minimo, come tempi e come ammontare, e sarebbe sensibile alla minima brezza.
Forse il mondo dovrà riconoscere che ha sbagliato strada. L’idea di contrarre debiti che non si possono rimborsare, di stampare denaro ad libitum, di aggirare in tutti i modi le regole dell’economia di base (quella della massaia, per intenderci) era balorda. Alla fine la realtà presenta sempre il conto. Oggi lo sta presentando alla piccola Grecia, domani non avrà alcuna difficoltà a presentarlo a tutti gli Stati. Inclusi i giganteschi Stati Uniti.
Gianni Pardo, [email protected]
2 luglio 2015


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