Attualità
Il mito di Ventotene e la misera fine dell’Unione Europea di Paolo Becchi
Per rilanciare l’ idea ormai decrepita dell’ Unione Europea, Renzi ha pensato bene di invitare ieri Angela Merkel e Francois Holland a Ventotene dove, nel piccolo cimitero dell’isola, si trova la tomba di Altiero Spinelli e dove è stato partorito, da lui insieme a Ernesto Rossi, il Manifesto di Ventotene. Proprio nel mese di agosto del 1941 era stato redatto tra i confinati antifascisti quel Manifesto in cui si avanzava l’idea della “definitiva abolizione della divisione dell’ Europa in Stati nazionali sovrani”. E si auspicava un futuro ancora più lontano in cui diventerà possibile “l’unità politica dell’ intero globo”. Le élites globaliste posso certo trovare qui una delle loro fonti di ispirazione.
Come ragionavano Spinelli e Rossi? Più o meno così. La restaurazione degli Stati nazionali, dopo il dominio del totalitarismo, veniva vista come il nuovo nemico da combattere. Dagli Stati nazionali erano nati gli Stati totalitari e se si voleva evitare che la cosa si ripetesse nuovamente, con nuove guerre devastatrici, non restava che dar vita agli Stati Uniti d’Europa. L’ obbiettivo era quello di creare in Europa uno Stato federale sul modello di quello americano. Il richiamo non era a Mazzini, ma alla letteratura federalista inglese degli anni trenta del secolo scorso, anche se già Tocqueville aveva messo in guardia, ritenendo difficilmente esportabile quel modello. Un’ idea che comunque ben presto fallì, dato che pochi anni dopo la Conferenza di Yalta, con i suoi accordi , relegò nel mondo dei sogni la proposta di Spinelli e Rossi.
Va anche osservato che nell’ ambito dell’ antifascismo nel suo complesso questa componente europeista rimase piuttosto elitaria. L’idea largamente più diffusa era quella di ricostruire lo Stato nazionale risanandolo, non certo quella di sostituirlo con gli Stati Uniti d’Europa. Ne è una prova la Costituzione del 1948, nella quale nessun cenno viene fatto all’Europa. Insomma, quell’ approccio europeista (e globalista ante litteram), fallì restando soltanto il ricordo di alcuni radical chic.
Fallì anche perché quell’ approccio era legato ad una riforma della società in senso socialista che nel secondo dopoguerra l’Europa non non accettò. Citiamo alcuni passi del Manifesto: “la rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista” , di conseguenza, se non proprio eliminata, la proprietà privata dovrà essere “limitata”, in ogni caso non si potranno lasciare ai privati molte imprese e anzi “si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni [ sic, non esisterà più lo Stato nazionale, ma si faranno le nazionalizzazioni] su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti”. Gli stessi autori si rendono conto che tutto ciò potrebbe alla fine “sboccare in un rinnovato dispotismo”, ma non importa la strada da seguire era tracciata e le “informi masse” avrebbero dovuto seguirla.
Questo è il Manifesto di Ventotene che addirittura non esclude l’uso della violenza per raggiungere lo scopo: “i democratici non rifuggono per principio dalla violenza”, sanno che nei periodi rivoluzionari “la prassi democratica fallisce miseramente”: ” la metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria”.
Difficilmente Renzi lunedì proporrà alla signora Merkel la nazionalizzazione dei mezzi di produzione , come auspicato nel Manifesto, per creare in Europa lo Stato socialista, perché è questo che in fondo volevano Spinelli e Rossi. L’ Unione Europea è distante anni luce da quello che utopisticamente desideravano i confinati di Ventotene nel loro progetto elitario. E comunque le ideologie su cui si basavano hanno fatto tutte il loro tempo.
E allora perché tutta questa farsa? Solo per tenere ancora un po’ in vita un cadavere? Forse qualcosa di più. Non è da escludere che Renzi tiri fuori dal cilindro l’idea di creare l’ esercito unico europeo, non rendendosi conto che l’esercito unico sarà, come la moneta unica, ad esclusivo vantaggio della Germania. Il risultato di questa operazione? La cessione totale della nostra sovranità. L’ unica cosa che del Manifesto sinora è stata realizzata è la moneta unica, ed il risultato è stato l’esatto contrario di quello auspicato da Spinelli e Rossi: invece di unire ha acuito le divisioni, come ormai è sotto l’occhio di tutti.
Ora ci proveranno con l’esercito unico e così sarà la fine per il nostro Paese. E la cosa più assurda è che oggi sarà il nostro Presidente del Consiglio a proporlo. Non bastava l’euro, ora arriveranno anche le truppe di occupazione tedesche nel nostro Paese. E a quanto pare persino Di Maio è d’accordo poiché qualche giorno fa ha dichiarato al quotidiano Die Welt : “Hätten wir nur eine Angela Merkel! Könntet ihr sie uns nicht für fünf , seches Jahre ausleihen?”( Avessimo anche noi una Angela Merkel! Ce la potete imprestare per cinque o sei anni? ).
Non è certo questa Europa delle banche e delle lobby a guida tedesca che Spinelli e Rossi volevano, ma lasciamo pure che i morti seppelliscano i loro morti, noi invece andiamo avanti con quella voglia di nazione che Spinelli e Rossi allora, con il loro Manifesto, non riuscirono a sconfiggere e che oggi in Europa è di nuovo più viva che mai.
Paolo Becchi, Libero 23 agosto 2016
Si riportano di seguito alcuni brani tratti dal Manifesto di Ventotene
Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in Stati nazionali sovrani.
Quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbraccino in una visione d’insieme tutti i popoli che costituiscono l’ umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea, è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo.
La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’ emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita.
Non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori; ad esempio le industrie elettriche, le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo ma che, per reggersi, hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore ecc. ( l’esempio più notevole di questo tipo di industria sono finora in Italia le siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati o per l’ importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello Stato, imponendo la politica per loro più vantaggiosa ( esempio: industrie minerarie, grandi istituti bancari, grandi armamenti) . È questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti.
I democratici non rifuggono per principio dalla violenza; ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità … La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria.
Altiero Spinelli, Gli Stati Uniti d’Europa e le varie tendenze politiche
I poteri di cui l’autorità federale deve disporre sono quelli che garantiscono la fine definitiva delle politiche nazionali esclusiviste. Perciò la federazione deve avere l’esclusivo diritto di reclutare e di impiegare le forze armate (le quali dovrebbero avere anche il compito di tutela dell’ordine pubblico interno); di condurre la politica estera; di determinare i limiti amministrativi dei vari Stati associati, in modo da soddisfare le fondamentali esigenze nazionali e di sorvegliare a che non abbiano luogo soprusi sulle minoranze etniche; di provvedere alla totale abolizione delle barriere protezionistiche ed impedire che si ricostituiscano; di emettere una moneta unica federale; di assicurare la piena libertà di movimento di tutti cittadini entro i confini della federazione; di amministrare tutte le colonie, cioè tutti i territori ancora incapaci di autonoma vita politica.
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