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Il futuro del calcio non è l’Arabia Saudita, ma….

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L’Arabia Saudita è ricca di denaro e di ambizioni e vuole raggiungere qualsiasi risultato, anche nello sport. Il principe ereditario Mohammed bin Salman afferma che il suo Paese sarà la nuova Europa dal punto di vista culturale tra dieci anni. Il calcio è una parte importante della sua strategia. Vuole competere con la Champions League. Per questo sta investendo molto in giocatori che sono diventati delle star in Europa. Ronaldo, Neymar e Benzema ora giocano, guadagnando cifre elevatissime, in Arabia, e non sono che l’avanguardia di un esercito di giocatori ultratrentenni che li seguirà. In denaro può tanto, moltissimo.

Sembra scontato che la Coppa del Mondo del 2034 si terrà in Arabia Saudita. Anche se il processo è ancora in corso, visto l’Expo, sappiamo che nulla può fermare i sauditi quando vogliono un risultato. Il nuovo top sponsor della Fifa proviene dall’Arabia Saudita, il che è probabilmente un’altra indicazione del fatto che l’organizzazione sembra prestare particolare attenzione al denaro quando assegna i tornei. Bisogna potersi permettere un progetto del genere; si dice che il Qatar abbia speso più di 200 miliardi di dollari per la Coppa del Mondo 2022. Difficilmente il torneo costerà di meno tra undici anni, soprattutto perché vi parteciperanno 48 Paesi invece di 32.

Tutto ciò suona familiare. Ben dieci anni fa, un altro Paese ha cercato di perseguire interessi geopolitici con il calcio. All’epoca, la Cina acquistò calciatori anziani dall’Europa per enormi somme di denaro. Xi Jinping voleva organizzare la Coppa del Mondo e il Segretario Generale del Partito Comunista si era posto l’obiettivo di diventare campione del mondo.

Dal punto di vista politico, la Cina sta diventando sempre più importante, ma non si sente più parlare di calcio. Funziona solo dove la partecipazione è possibile per tutti, dove l’impegno viene dal centro, dove crea comunità ed è organizzato democraticamente. Non si costruisce qualcosa del genere da un giorno all’altro. Non bastano i soldi e le star dall’estero per raggiungere il calcio europeo. Ecco perché sono scettico anche sull’Arabia Saudita.

In Europa, invece, il calcio è un bene culturale da un secolo e mezzo. Le sue radici affondano a Glasgow, Sheffield, Ginevra, Londra, Budapest, Barcellona, Madrid, Milano, Roma, Napoli, Norimberga e Vienna, con propaggini a Buenos Aires e Montevideo. È storicamente intrecciata con il movimento operaio. Il calcio è il rragazzino che dà calci in un cortile polveroso o sul campo di quartiere spelacchiato, sognando di diventare una star. Il calcio è, o meglio era, un gioco proletario.

Poi, dalla massa, bisogna far crescere i professionisti, e qui è importante la rete capillare di piccoli club, di associazioni più grandi, di campionati locali, poi a crescere di valore, dove pian piano il giocatore cresce per abilità, socialità, ma anche viene da un lato aiutato a crescere da quell’insieme di servizi che lo sport dilettantistico, basata sul volontarismo, mette a disposizione. I grandi campioni sono importanti, ma lo è soprattutto la massa del popolo che ama , o amava, il calcio e che lo aiuta a crescere. Anche da calciatore professionista mi sono reso conto che è stata la società a spianarmi la strada. Solo il fatto di essere diffuso e popolare gli permette di essere vincente.

Negli USA sta diventando sport di massa

C’è un altro esempio di nazione che sta facendo enormi investimenti per mettersi al passo con il calcio europeo: gli Stati Uniti. Io gli do molte più possibilità. Negli anni Settanta, i New York Cosmos acquistarono Pelé, Franz Beckenbauer e Johan Neeskens. Da allora lo sviluppo è stato continuo.

La base dei tifosi e il numero di giocatori e allenatori sono cresciuti di anno in anno, in parte grazie agli immigrati dall’America Latina. Gli Stati Uniti hanno ospitato la Coppa del Mondo nel 1994 e lo faranno di nuovo tra tre anni. Stanno collaborando con il Messico e il Canada. Il calcio sta superando gli sport americani tradizionali.

Gli americani conoscono lo sport. Gli stadi sono templi. Nessuno celebra meglio gli eventi. Le squadre europee continuano a recarsi in America per capire come funziona il merchandising e il marketing, e proprietari americani acquistano club europei per applicare le proprie tecniche. . E il miglior modello di riferimento è proprio davanti alla loro porta di casa: i calciatori americani sono stati il dominio del loro sport per decenni.

Lo sport americano ha una sua identità. Fa parte dell’istruzione statale e, come molte cose in America, è un grande business.  In Europa il calcio p profondamente legato alla società, da ormai più di un secolo, è cresciuto con essa, è diventato ricco succhiandone il nettare, e ora è stanco esattamente come lo è la società Gli USA stanno da poco vedendo il “Soccer” diventare sport di massa, non più qualcosa da ragazze, e più si diffonde, più diventa popolare, più si radica anche nel suo sentire popolare, e più diventa ricco.

La cultura del calcio è una forma di cultura

La musica del calcio si gioca ancora in Europa, la Coppa del Mondo per Club è quasi sempre vinta da club europei. Gli uomini d’affari americani lo sanno e investono nella Premier League, nella Serie A o nella Liga per imparare. Ma presto potrebbe essere raggiunto un punto di svolta, con la creazione di giganti in grado di competere con Real, Man City e FC Bayern.

L’Europa dovrà inventarsi qualcosa – e altrettanto bene – per reggere il confronto con gli Stati Uniti, se mai riusciranno a reggerlo, perchè il Vecchio Continente è stanco, vecchio, senza più motivazioni. Il Sud America, il secondo continente calcistico di maggior successo dopo l’Europa, è più vicino agli USA e può fornire una linfa di giocatori illimitata. Un calciatore argentino o brasiliano non dovrebbe più andare in Spagna o in Portogallo, ma potrebbe andare a San Francisco, Atlanta o Miami. Molti si identificano più facilmente con questo compito che con quello di Riyadh.

L’Arabia Saudita si è qualificata per sei volte alla Coppa del Mondo, è il Paese più grande della regione con oltre 36 milioni di abitanti, la popolazione è giovane, c’è interesse per il calcio e migliaia di tifosi hanno festeggiato la vittoria della loro squadra sull’Argentina ai Mondiali in Qatar. Però le condizioni politiche e sociali non sono ancora tali da farne una grande potenza calcistica,


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