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I TRATTATI DELL’UE COME NON VE LI HANNO MAI SPIEGATI. PARTE SECONDA (di Giuseppe PALMA)
PARTE SECONDA
Presento per Scenari Economici – in quattro speciali – i TRATTATI DELL’UNIONE EUROPEA e i loro gravi aspetti di criticità, da Maastricht a Lisbona!
Il mio obiettivo è quello di rendere l’argomento, di per sé molto complesso, comprensibile a chiunque.
Il contenuto di tutti e quattro i lavori è ripreso dal mio ultimo libro intitolato “IL MALE ASSOLUTO. Dallo Stato di Diritto alla modernità Restauratrice. L’incompatibilità tra Costituzione e Trattati dell’UE. Aspetti di criticità dell’Euro”, Editrice GDS (prima edizione ottobre 2014; seconda edizione febbraio 2015).
I quattro speciali sono scritti con metodo scientifico, seppur con un linguaggio semplicissimo.
Per chi volesse leggere la Parte Prima di questo speciale: https://scenarieconomici.it/i-trattati-dellue-come-non-ve-li-hanno-mai-spiegati-parte-prima-di-giuseppe-palma/
Buono studio.
PARTE SECONDA
“L’ASSETTO ISTITUZIONALE DELL’UE
E I MECCANISMI PREVISTI DAI TRATTATI IN MERITO
ALL’ESERCIZIO DELLA FUNZIONE LEGISLATIVA”
- Gli atti giuridici e l’esercizio della funzione legislativa dell’Unione Europea. Lo strapotere del duo Commissione europea/Consiglio dell’UE: il sostanziale esautoramento sia del Parlamento europeo che della Costituzione italiana. Gravi aspetti di criticità
Il diritto dell’Unione Europea è composto dal diritto originario (rappresentato dai Trattati istitutivi dell’UE e loro successive modifiche, quindi dai testi con valore equiparato, oltre che dai Principi generali di diritto comuni agli Stati membri), dal diritto c.d. “intermedio” [che si pone tra il diritto originario e quello derivato, ed è rappresentato dal diritto internazionale consuetudinario (quando non derogato dai Trattati istitutivi) e pattizio (quando vincola l’Unione)], ed infine dal diritto derivato, ossia dagli atti giuridici emanati dalle Istituzioni europee. In merito a quest’ultimo, il Trattato di Lisbona prevede che l’UE possa adottare cinque tipi di atti giuridici (veri e propri atti legislativi frutto di un complesso sistema di produzione legislativa dell’Unione):
- il REGOLAMENTO: è un atto giuridico che ha portata generale (esattamente come la legge nazionale), è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile (self-executing) in ciascuno degli Stati membri. Utilizzando una terminologia più semplice, è una vera e propria “legge europea” che produce effetti diretti e vincolanti in ciascuno degli Stati membri. E’ un atto giuridico c.d. vincolante, cioè produce i suoi effetti non solo nei confronti degli Stati membri ma anche nei confronti dei singoli. Per la sua efficacia non sono necessari né procedimenti di ratifica né atti di recepimento o di attuazione da parte degli Stati dell’Unione;
- la DIRETTIVA: è un atto giuridico che persegue l’obiettivo di armonizzazione delle normative degli Stati dell’UE. Essa vincola lo Stato membro cui è rivolta solo per quanto riguarda il risultato da raggiungere, ferma restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi da adottare. A differenza del Regolamento, la Direttiva – oltre a non avere portata generale (cioè si riferisce ad uno o più Stati membri) – necessita di un atto di recepimento o di attuazione da parte dei Parlamenti degli Stati cui è rivolta;
- la DECISIONE: è anch’essa un atto giuridico vincolante, tant’è che è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Qualora designi i destinatari (Stati membri, gruppi di Stati, persone fisiche e giuridiche), è obbligatoria soltanto nei confronti di questi, quindi – a differenza del passato – può assumere anche portata generale. Se rivolta agli Stati è simile alla Direttiva, ma lascia minore discrezionalità; se rivolta invece ai singoli costituisce addirittura titolo esecutivo. E’ spesso adottata dalla Commissione in materia di concorrenza;
- la RACCOMANDAZIONE: è un atto giuridico non vincolante ed invita il destinatario (normalmente uno o più Stati membri) a conformarsi (e quindi ad adeguarsi) ad un certo comportamento per l’interesse comune dell’Unione;
- il PARERE: mentre la Raccomandazione è un invito rivolto allo Stato membro perché si adegui ad un determinato comportamento o regola, il Parere è semplicemente uno strumento idoneo a rendere noto il punto di vista dell’Istituzione europea che lo emette. Non è un atto giuridico vincolante.
La FUNZIONE LEGISLATIVA (vale a dire il potere legislativo, cioè quello di fare e leggi) è esercitata – nella sostanza – dal duo Commissione europea/Consiglio dell’Unione Europea (quest’ultimo detto anche Consiglio dei Ministri o semplicemente Consiglio). In pratica la Commissione – che esercita il potere esecutivo – ha anche la titolarità dell’iniziativa legislativa, cioè sottopone sia al Consiglio dell’UE (da non confondere con il Consiglio europeo) che al Parlamento europeo le proprie proposte degli atti giuridici da adottare e, nella sostanza, il Consiglio adotta l’atto uniformando quasi sempre la sua posizione alla proposta della Commissione. Nella realtà, infatti, benché sia formalmente prevista una procedura legislativa consistente nell’adozione congiunta dell’atto da parte di Consiglio e Parlamento (che in passato era chiamata “procedura di codecisione”), quest’ultimo è di fatto esautorato da quella che dovrebbe essere la sua “funzione naturale”, cioè l’esercizio della potestà legislativa (fare le leggi). L’aspetto drammatico, tra tutti i gravissimi aspetti di criticità evidenziabili, è quello che sono morte milioni di persone perché si giungesse alla conquista del sacrosanto principio che a fare le leggi fosse esclusivamente un’assemblea eletta direttamente dal popolo ed esercitante la sovranità popolare, ma, con l’avvento dell’Unione Europea, tale principio è stato quasi del tutto calpestato e tradito. La conquista democratica del binomio inscindibile “Parlamento eletto – Legge” ha quindi avuto attuazione attraverso le disposizioni contenute in ciascuna delle Costituzioni nazionali degli Stati membri dell’Unione, ma i Trattati dell’UE (per ultimo il Trattato di Lisbona) ne hanno – non solo sostanzialmente – evirato l’essenza! Il Consiglio dell’UE, infatti, è composto da un rappresentante per ciascuno Stato membro, a livello ministeriale, di volta in volta competente per la materia trattata, il quale é abilitato ad impegnare il governo dello Stato membro che rappresenta ed a esercitare il diritto di voto, ma trattasi di soggetti non eletti che il popolo il più delle volte neppure conosce; e stesso discorso dicasi anche per la Commissione, un organismo potentissimo composto da soggetti non eletti da nessuno (fatta eccezione per quanto si dirà più avanti).
Riassumendo questi concetti, è bene che il lettore ricordi che la Commissione europea (esercitante sia il potere esecutivo che l’iniziativa legislativa) e il Consiglio dell’UE (esercitante la funzione legislativa), essendo entrambi composti da membri non eletti dai cittadini, sono totalmente immuni dagli eventuali “scossoni” scaturenti dai processi elettorali. E il Parlamento? Pur essendo l’unica Istituzione europea eletta direttamente dal popolo, e quindi alla quale sarebbe dovuta legittimamente spettare – come ci insegnano le conquiste democratiche costate milioni di morti – l’esercizio esclusivo della funzione legislativa, svolge sostanzialmente il ruolo di “assistente” alle decisioni del duo Commissione – Consiglio! Per di più, considerato che i due grandi partiti europei sono il PSE (Partito del Socialismo Europeo) e il PPE (Partito Popolare Europeo), in Parlamento v’è e vi sarà sempre la maggioranza assoluta per non bloccare le decisioni della premiata ditta Commissione – Consiglio! Capito l’inganno e il tradimento? Non è uno scherzo, la questione è proprio in questi termini! E non è finita qui: mentre la nostra Costituzione prevede che il Governo (al quale è affidato sia l’esercizio della funzione esecutiva che l’iniziativa legislativa) debba godere necessariamente della fiducia del Parlamento (altrimenti non può esercitare a pieno le sue funzioni ed è addirittura obbligato a dimettersi), in Europa non è così! Il Parlamento europeo, infatti, non vota e non revoca alcuna fiducia alla Commissione (e neppure al Consiglio), la quale esercita la funzione esecutiva e l’iniziativa legislativa unicamente per volere di coloro che hanno scritto i Trattati e senza alcun controllo – neppure indiretto – da parte dei rappresentanti del popolo (vedesi, a tal proposito, la precisazione tecnica a seguire nella quale affronto nello specifico la questione fiducia/sfiducia Parlamento/Commissione). Può sembrare una barzelletta, ma è esattamente la realtà! Il Parlamento europeo, per la prima volta a partire dal 2014, ha solo il diritto di eleggere (a maggioranza dei suoi membri) il Presidente della Commissione europea: considerato che alle ultime elezioni del maggio 2014 nessuno tra PSE e PPE ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi, questi hanno “pensato bene” di mettere insieme i propri numeri in Parlamento esprimendo un voto corale in favore del candidato del PPE Jean-Claude Juncker (sulla base del fatto che il PPE ha ottenuto la maggioranza relativa dei seggi). Quindi a nulla – o quasi – sono valse le vittorie elettorali di Marine Le Pen in Francia e di Nigel Farage in Inghilterra: il sistema elettorale per l’elezione del Parlamento europeo è stato concepito e realizzato proprio perché siano sempre il PSE e il PPE a farla da padrona! Non c’è alcuna via di scampo. E’ così e basta!
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PRECISAZIONE TECNICA
I Trattati dell’UE, oltre a prevedere che il Presidente della Commissione europea sia eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo compongono e tenuto conto dei risultati elettorali per l’elezione del Parlamento medesimo (circostanza sopra evidenziata), prevedono anche che quest’ultimo (cioè il Parlamento) esprima un VOTO DI APPROVAZIONE nei confronti della Commissione (e più precisamente nei confronti del Presidente, dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e degli altri commissari collettivamente considerati), il quale non equivale assolutamente ad un voto di fiducia come quello che – ad esempio – il Parlamento italiano esprime nei confronti del Governo; si tratta infatti di una cosa ben diversa che, nella sostanza, si traduce in un mero “giudizio di gradimento” del tutto ovvio e scontato in quanto il voto di approvazione del Parlamento è preceduto dal voto con cui questo ha già eletto il Presidente della Commissione. Per di più, dopo che il Parlamento europeo ha espresso il voto di approvazione nei confronti della Commissione, è necessario un ulteriore passaggio consistente nella nomina ufficiale della Commissione da parte del Consiglio europeo (da non confondere con il Consiglio dell’UE), e ciò dimostra come il voto di approvazione espresso dal Parlamento nei confronti della Commissione non possa considerarsi tecnicamente come un vero e proprio voto di fiducia. Per quanto riguarda, invece, un eventuale “voto di sfiducia” del Parlamento nei confronti della Commissione (che obbligherebbe quest’ultima alle dimissioni), è opportuno anzitutto evidenziare che è del tutto azzardato parlare di “sfiducia” perché è quasi impossibile che ciò possa verificarsi nella realtà: la c.d. MOZIONE DI CENSURA prevista dai Trattati è una mera previsione formale del tutto irrealizzabile nella sostanza, infatti perché il Parlamento europeo possa “sfiduciare” la Commissione occorre che l’eventuale mozione di censura venga approvata con una maggioranza di addirittura i 2/3 dei voti espressi dall’aula parlamentare, sempre che il predetto risultato non sia inferiore alla maggioranza dei membri che compongono il Parlamento. Una vera e propria “truffa” che rende la forma palesemente soccombente al cospetto della sostanza.
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E’ pur vero che – nella forma – il Trattato di Lisbona prevede l’esercizio congiunto della funzione legislativa da parte del Consiglio dell’UE e del Parlamento europeo (posti formalmente sullo stesso piano quanto meno nella procedura legislativa ordinaria), ma è altrettanto vero che – nella sostanza – il Parlamento non esercita a pieno la funzione legislativa come invece avviene per tutte le assemblee legislative di ciascuno degli Stati membri. Il Parlamento europeo ha – di fatto – un misero ruolo di “compartecipe” o di “notaio in differita”.
- Le procedure legislative dell’UE per l’adozione degli atti giuridici
Le procedure legislative di adozione degli atti giuridici dell’Unione Europea si distinguono in ordinaria e speciali.
LA PROCEDURA LEGISLATIVA ORDINARIA (che rappresenta la regola nella formazione degli atti giuridici dell’UE) è composta di quattro fasi:
- Ia FASE (fase della prima lettura) – La Commissione europea presenta una proposta congiuntamente sia al Consiglio dell’UE che al Parlamento europeo, e su di essa quest’ultimo formula la sua posizione (cioè il Parlamento può presentare o meno una serie di emendamenti) e la invia al Consiglio. Qualora quest’ultimo non elabori proposte di emendamento, ovvero accetti gli emendamenti (la posizione) proposti dal Parlamento, l’atto viene adottato senza ulteriori adempimenti. Se invece il Consiglio non approva la posizione del Parlamento, adotta una propria posizione in prima lettura e la trasmette al Parlamento;
- IIa FASE (fase della seconda lettura) – Se entro un termine di tre mesi da tale comunicazione il Parlamento: a) approva la posizione espressa dal Consiglio in prima lettura oppure non si pronuncia, l’atto in questione si considera adottato nella formulazione che corrisponde alla posizione del Consiglio; b) respinge, a maggioranza dei membri che lo compongono, la posizione espressa dal Consiglio in prima lettura, l’atto proposto si considera non adottato; c) propone, sempre a maggioranza dei membri che lo compongono, emendamenti alla posizione espressa dal Consiglio in prima lettura, il testo così emendato è inviato al Consiglio e alla Commissione che formula un parere su tali emendamenti. A questo punto (cioè in quest’ultima ipotesi), entro un termine di tre mesi dal testo così emendato, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può: 1) approvare tutti gli emendamenti e quindi l’atto in questione si considera adottato; 2) non approvare tutti gli emendamenti e il suo Presidente, d’intesa con il Presidente del Parlamento, convoca entro sei settimane un organo denominato Comitato di conciliazione;
- IIIa FASE (fase della Conciliazione) – Il Comitato di conciliazione (composto da membri o rappresentanti del Consiglio e del Parlamento) ha il compito di giungere ad un accordo su un progetto comune (“testo di compromesso”) sulla base delle posizioni del Parlamento e del Consiglio in seconda lettura. Se entro un termine di sei settimane dalla sua convocazione il Comitato di conciliazione non approva un progetto comune, l’atto in questione si considera non adottato;
- IVa FASE (fase della terza lettura) – Qualora entro il termine di sei settimane il Comitato di conciliazione riesce invece ad approvare un progetto comune, il Parlamento e il Consiglio dispongono ciascuno di un termine di sei settimane (a decorrere dall’approvazione del progetto comune da parte del Comitato di conciliazione) per adottare l’atto in questione in base al progetto comune. Il Parlamento delibera a maggioranza dei voti espressi mentre il Consiglio a maggioranza qualificata. Se entrambe le Istituzioni deliberano l’adozione dell’atto in questione, questo si intende adottato e la procedura si conclude; in mancanza invece di una decisione, ovvero qualora l’atto non venga adottato con le maggioranze predette, lo stesso si considera non adottato e la procedura si conclude.
LE PROCEDURE LEGISLATIVE SPECIALI, invece, non godono di una descrizione analitica da parte dei Trattati quindi, in mancanza di specifiche indicazioni e in attesa che si consolidi una prassi nel merito, si ritiene che si possa parlare di procedure legislative speciali tutte le volte che i Trattati prevedono procedure legislative differenti da quella ordinaria. Nell’ambito delle procedure speciali, ritengo sia necessario soffermarsi sull’ipotesi in cui è il Consiglio ad adottare l’atto con la partecipazione del Parlamento. In questo caso si hanno due tipi di procedure: la “procedura di consultazione” e la “procedura di approvazione”:
- La procedura di consultazione: prima che il Consiglio adotti un atto, è necessaria la consultazione del Parlamento (in tal caso la consultazione può essere obbligatoria o facoltativa, a seconda di quanto prevedono i Trattati). Il parere espresso dal Parlamento non è vincolante né per la Commissione (che non è obbligata ad uniformare la sua proposta alle osservazioni ivi contenute), né per il Consiglio, che può disattenderlo;
- La procedura di approvazione: il Consiglio non può validamente legiferare in talune materie se il Parlamento non concorda pienamente, a maggioranza assoluta dei suoi membri, con il contenuto dell’atto. In mancanza di tale approvazione l’atto non può essere adottato. In pratica si tratta di un diritto di veto da parte del Parlamento nei confronti del Consiglio[1].
Concentrando l’analisi sulla PROCEDURA LEGISLATIVA ORDINARIA, uno dei suoi aspetti di maggiore criticità è quello che nella fase della seconda lettura il Parlamento può respingere la posizione espressa dal Consiglio in prima lettura solo a maggioranza dei suoi membri (cioè a maggioranza assoluta), quindi occorre un voto del 50% più uno dei componenti l’assemblea, una maggioranza che – come abbiamo visto – è possibile raggiungere solo se si sommano i deputati di PSE e PPE. Considerato che si tratta di partiti (entrambi) sui quali si fonda l’intero apparato eurocratico, è praticamente impossibile per il Parlamento trovare la forza numerica (che ricordo è della metà più uno dei suoi membri) per respingere una posizione espressa dal Consiglio[2]. Inoltre, come il lettore ha avuto modo di rendersi conto, in seconda lettura l’atto si intende adottato nel testo corrispondente alla posizione espressa dal Consiglio in prima lettura se il Parlamento, entro il termine di tre mesi, non si pronuncia sulla predetta posizione. Oppure, rimanendo sempre nell’esempio della fase della seconda lettura, il Parlamento può, sì, proporre emendamenti alla posizione espressa dal Consiglio in prima lettura, ma solo e sempre a maggioranza dei suoi membri. Appare dunque evidente che, rispetto ad esempio alla normale procedura di adozione delle leggi prevista dalla nostra Costituzione (artt. 70 e segg. Cost.), le procedure dettate dai Trattati europei presentano un pericoloso deficit di democrazia, tanto più che non è previsto neppure un controllo come quello che la nostra Costituzione assegna al Presidente della Repubblica, il quale ha la facoltà di rinviare la legge alle Camere per chiederne una nuova deliberazione (art. 74 Cost.)!
In Italia sia centro-destra sia centro-sinistra (che ritengono questa UE come un punto di non ritorno) osannano e votano acriticamente tutto quello che decidono i burocrati di Bruxelles, tant’è che il Trattato di Lisbona ha ottenuto dal Parlamento italiano l’autorizzazione alla ratifica con un voto all’unanimità, senza alcun adeguato dibattito né parlamentare né con i cittadini. Pazzesco, ma è la verità!
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Le argomentazioni sinora svolte dimostrano come le Rivoluzioni e le lotte del passato, costate milioni di morti, non siano servite assolutamente a nulla. L’Ancien Régime, pur mutando pelle ed affinando i suoi strumenti, è uscito dalla porta ma è rientrato – prepotentemente – dalla finestra: una nuova forma di Aristocrazia europea ha preso piede a partire dal 1992 ed oggi rappresenta il Vero Potere! Altro che le scaramucce nostrane sulle proposte di riforma della legge elettorale o di revisione della Parte II della Costituzione… tutte “sciocchezze” per distrarre un popolo totalmente inconsapevole e indifferente. Nonostante l’evidenza dei fatti, c’è chi continua a sostenere questa Unione Europea come conquista irreversibile; una conclusione inaccettabile di fronte alle analisi sinora svolte e al cospetto delle evidenti storture che si sono evidenziate.
Del resto, e lo scrivo senza alcuna vena polemica, da questa Unione Europea non ci si poteva aspettare altro. Uno dei personaggi ritenuti tra i suoi principali fondatori – Jean Monnet -, aveva un motto: “Gli uomini accettano il cambiamento solo sotto il dominio della necessità”. Cosa ci si poteva aspettare di buono?[3]
Tutto quanto sinora premesso prova che la DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE è stata ormai superata dai Trattati dell’UE, nati non per fare gli interessi dei popoli ma per esautorarne – nella sostanza – la sovranità e l’autodeterminazione!!!
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Tra qualche giorno pubblicherò la PARTE IIIa con la quale mi occuperò di spiegarvi, nello specifico, il rapporto tra le Fonti del diritto europeo e quelle del diritto interno, quindi la preminenza del primo sul secondo in aperto contrasto sia con il dettato costituzionale che con le intenzioni della Costituente! Argomento, quest’ultimo, che approfondirò anche nella quarta ed ultima parte di questo speciale.
Sempre su Scenari Economici. Non mancate!
Giuseppe PALMA
[1] L’intera esposizione inerente le procedure legislative dell’UE (sia quella ordinaria che quelle speciali) sono tratte, fatta eccezione per alcune parti, dal seguente volume: Simonetta Gerli (a cura di), “Compendio di Diritto dell’Unione Europea. Aspetti istituzionali e politiche dell’Unione”, Edizioni Giuridiche Simone, Napoli 2014.
[2] Sia il Consiglio dell’UE (che esercita la funzione legislativa), sia la Commissione europea (che esercita il potere esecutivo e l’iniziativa legislativa), sono entrambi organismi europei non eletti e composti da sconosciuti burocrati.
[3] Il motto di Jean Monnet ha avuto una fedele proiezione sino ai giorni nostri, infatti il nostro ex Presidente del Consiglio Mario Monti ha affermato che «non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi – e di gravi crisi – per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono, per definizione, cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario. È chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale, possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile e conclamata […]» (http://www.youtube.com/watch?v=tIUqi9yVV_A).
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