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Economia

I dazi americani spaventano ancora l’Europa

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La sorpresa era stata grande, inutile negarlo, sia da parte delle cancellerie europee, e sia da parte dei mercati finanziari, che sono subito crollati, dopo le parole di Donald Trump sulla volontà di alzare i dazi sui prodotti europei al 50%. La tregua non è durata a lungo.  “Le nostre discussioni con loro non vanno da nessuna parte”, ha detto Trump due giorni fa. L’unione europea è “molto difficile da affrontare”. Senza progressi, il prelievo entrerà in vigore il 1° giugno. Passano poche ore, ed ecco il nuovo colpo di scena. Dopo una telefonata con la presidente della commissione Ursula Von der Leyen, Trump ha annunciato di aver accettato la richiesta di proroga dei dazi fino al 9 luglio. Segno tangibile che quelle del presidente americano sono solo schermaglie per arrivare ad un equo accordo, così come accaduto con Canada e Messico, e così come sta accadendo anche se in maniera differente con la Cina. Il tycoon americano sembra, infatti, usare la politica come se fosse un business e quindi si comporta di conseguenza rilanciando offerte per poi attendere la controproposta.

Il suo rilancio di due giorni fa, determinato secondo il Wall street Journal, dal fastidio per lo stallo delle trattive, era evidentemente volto a spingere l’Europa a fare un passo in avanti. E la telefonata della presidente della commissione ha avuto l’effetto di calmare le acque in attesa di nuovi sviluppi. Ma il problema è che bisogna fare i conti con l0estrema volubilità del presidente americano, E i tempi lunghi della burocrazia europea certo non aiutano nelle delicate trattative. Il Canada, il Messico e la Gran Bretagna hanno agito di impulso ed hanno ottenuto un accordo con l’amministrazione americana in pochi giorni. La stessa Cina, dopo le ritorsioni contro i folli dazi trumpiani, ha poi lasciato il campo alla diplomazia. L’Europa invece è rimasta bloccata nelle sue divisioni interne, che continuano a frenare il suo potere contrattuale e che inevitabilmente la rendono più debole nel contesto geopolitico internazionale.

Le minacce di ritorsioni sui dazi americani, colpendo bourbon o moto Harley Davidson, potrebbero paradossalmente effetti peggiori su alcuni comparti europei, come alimentare e automotive, colpiti dalle naturali ritorsioni a stelle e strisce. Ma anche le minacce di colpire i servizi tecnologici (su cui Gli Usa hanno un avanzo commerciale con l’Europa) rischiano di essere inefficaci, se non controproducenti, vista l’alta dipendenza del vecchio continente ai servizi dei colossi high tech americani. Mentre, come si è ragionato durante il bilaterale a Washington tra Trump e Meloni, potrebbe essere per esempio ragionevole pensare ad aumentare l’acquisto di gas liquido rarefatto dall’Usa, magari cercando di avviare contrattazioni per avere sconti sulle forniture. Sia per l’Italia, sia per l’UE, le esportazioni verso gli Stati Uniti pesano circa il 3% del PIL. Il nostro paese in particolare è quello più esposto sui prodotti finiti (19% delle sue esportazioni, contro l’11% europeo) e nel settore alimentare (11% contro il 5%). Impensabile per le aziende coinvolte, come dice anche il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, mettere a rischio questo scambio.

Stéphane Séjourné, vicepresidente della Commissione europea e commissario all’industria e per il mercato interno, sodale del presidente francese Macron, ha proposto di introdurre clausole “Buy European” per alcuni settori cosiddetti sensibili. Dal momento che presto pubblicherà un regolamento per il cloud, l’UE potrebbe decidere di restringere le regole mettendo in difficoltà i giganti del cloud e dei servizi tecnologici. Ma il problema è che come per i satelliti, anche per i servizi tecnologici l’Europa è assai indietro ed è impensabile allo stato attuale poter fare a meno delle aziende americane. L’UE, che conta quasi 450 milioni di persone, è il più grande blocco commerciale del mondo e uno dei principali partner commerciali di Washington. Lo scorso anno ha esportato negli Stati Uniti merci per oltre 600 miliardi di dollari, importandone per un valore di circa 370 miliardi di dollari. E la cifra la dice lunga sull’importanza degli scambi commerciali tra le due sponde dell’Oceano. Ma queste cifre, sbandierate sempre dal presidente americano, per giustificare, in qualche modo, la sua politica dei dazi, non tengono conto per esempio dei servizi digitali. Qui il disavanzo dell’Europa rispetto agli Usa supererebbe i 100 miliardi di euro, anche se il dato non tiene conto del fatto che molte aziende high tech, come Meta, Amazon, Google e Microsoft, hanno le loro sedi europee nel “paradiso fiscale” dell’Irlanda (una stortura questa, a cui l’Europa colpevolmente ancora non ha messo mano). In questo modo molti servizi tecnologici non verrebbero considerati importazioni dirette dagli Usa, ma da un paese Ue. Ed è per questo che alcuni paesi, in testa Francia, Spagna ed Italia, risulterebbero avere un avanzo (in realtà solo formale) anche in questo settore. In Europa c’è chi, come per esempio la Francia vorrebbe colpire colpo su colpo, scatenando una guerra commerciale che probabilmente farebbe più male all’Europa, e chi invece, Giorgia Meloni in testa, è per proseguire con il dialogo per cercare quella giusta ed equa mediazione, che possa accontentare tutti.

Perché la convinzione che si continua ad avere a Palazzo Chigi è quella che Trump, stia comunque usando i dazi come arma negoziale, e la sua minaccia di due giorni fa, come confermato dalla pronta retromarcia trumpiana, dopo la telefonata con la presidente della commissione. Ma allo stesso tempo il governo italiano è pronto, comunque, a correre in soccorso delle aziende maggiormente colpite da eventuali dazi Usa, con sostegni ad hoc, recuperati dalle pieghe dei fondi del PNRR. Il ministro Adolfo Urso in una intervista a Repubblica ha parlato di 25 miliardi per sostenere le imprese, maggiormente colpite dai dazi americani. Ma sottotraccia, non si ferma il lavorio diplomatico tra Roma e Washington, con il pieno sostegno di Bruxelles, a quanto si apprende da autorevoli fonti della commissione europea. In questo senso sta assumendo sempre maggior rilievo la posizione di Elisabetta Belloni, consigliere diplomatico della Von der Leyen, con cui Meloni si sta sentendo spesso in questi giorni, e quello del vicepresidente esecutivo della Ue Raffaele Fitto, il cui peso all’interno della commissione starebbe salendo di settimana in settimana, che sta facendo da ponte tra Meloni e la presidente. Evidentemente anche a Bruxelles sembrano ormai convinti che quella delle ritorsioni con gli Usa sui dazi, rischia di essere un’arma a doppio taglio e per di più spuntata, e che occorre invece perseguire la via diplomatica, come da tempo sostiene proprio Giorgia Meloni.

 

 


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