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Guyana vs Venezuela: il Sud America rischia di vedere un nuovo conflitto militare simile all’Ucraina
La serie di scoperte petrolifere di livello mondiale della ExxonMobil nell’offshore della Guyana, che si stima contenga oltre 11 miliardi di barili di petrolio, ha catturato l’attenzione del mondo, ma ha anche riacceso dispute territoriali secolari che si pensava fossero state messe da parte. In questo caro l’attenzione indesiderata viene dal Venezuela di Maduro. Una lunga e aspra disputa territoriale ha coinvolto i due Paesi sudamericani, con Caracas che rivendica quasi 160.000 km quadrati o circa tre quarti del territorio della Guyana, comprese le acque territoriali contenenti il blocco Stabroek, quello identificato da Exxon. La Guyana respinge questa rivendicazione ultracentenaria, con l’appoggio di gran parte della comunità internazionale, ma la polemica sta crescendo ad un livello tale da far temere che possa avere un’evoluzione militare, con i pericoli che ne derivano.
Ecco la contestazione dal punto di vista dei territori terrestri
Ecco invece la contestazione dal punto di vista delle acque territoriali
La regione aspramente contesa, nota come Essequibo, comprende tutte le terre della Guyana a est del fiume Essequibo o quasi tre quarti del territorio sovrano dell’ex colonia britannica, che prima dell’indipendenza nel 1966 era nota come Guyana britannica. La Spagna aveva originariamente assunto il controllo di ampie parti dell’Essequibo come parte della colonia della Vice-Realtà di Nuova Granada, ma la costante contestazione dei movimenti indipendentisti in America Latina impedì a Madrid di consolidare le sue rivendicazioni. Per definire i confini della Guyana britannica, nel 1835 Londra incaricò l’esploratore di origine tedesca Robert Herman Schomburgk di mappare la parte occidentale della colonia e di tracciare un confine con il Venezuela. Il confine scelto da Schomburgk diede il via alla disputa territoriale che dura ormai da più di un secolo tra il Venezuela, che era emerso come Stato sovrano nel 1831 e aveva deciso di esercitare la sua eredità coloniale dopo la scoperta dell’oro nell’Essequibo.
Dopo notevoli pressioni da parte degli Stati Uniti, il confine tra il Venezuela e la colonia della Guyana Britannica, divenuta Guyana dopo l’indipendenza nel 1966, fu risolto nel 1899 con il Trattato di arbitrato di Washington. L’accordo concedeva al Venezuela il controllo delle terre circostanti la foce del fiume Orinoco, mentre alla Gran Bretagna venivano assegnate tutte le terre a ovest del fiume Essequibo. Caracas era estremamente insoddisfatta del trattato e, dopo decenni di tensioni, nel 1962 dichiarò nullo il trattato di arbitrato.
Da allora, la disputa ha avuto un andamento altalenante, con numerosi tentativi da parte di organismi internazionali di risolvere l’annosa controversia. Nel 1966, le Nazioni Unite hanno tentato di trovare una soluzione con la firma dei Protocolli di Ginevra, che prevedevano che Venezuela, Regno Unito e Guyana trovassero una soluzione pacifica e soddisfacente alla controversia. A questo punto è stato creato il Processo dei Buoni Uffici da parte delle Nazioni Unite per mediare la rivendicazione territoriale del Venezuela. Dopo quasi tre decenni in cui la Guyana e il Venezuela non sono riusciti a trovare un accordo, nel 2018 la questione è stata deferita alla Corte penale internazionale di giustizia, o ICJ. La Corte ha accettato il caso, ma ha fatto pochi passi avanti con Maduro, che per ironia della sorte sta affrontando un’indagine della CIG per crimini contro l’umanità e si rifiuta di riconoscere la giurisdizione della Corte. Nel novembre 2022, la CIG ha concluso l’udienza preliminare sulle obiezioni sollevate dal Venezuela, in cui Caracas ha sostenuto che il caso della Guyana dovrebbe essere respinto.
Dopo decenni di incertezze, le rivendicazioni territoriali di Caracas nei confronti della Guyana si sono intensificate dopo la scoperta da parte della Exxon di oltre 30 giacimenti di petrolio di livello mondiale nell’offshore del blocco Stabroek. Una parte significativa di questo blocco si trova nelle acque territoriali della regione contesa dal Venezuela. Le scoperte della Exxon hanno individuato oltre 11 miliardi di barili di risorse petrolifere recuperabili e hanno catapultato la Guyana sulla strada per diventare uno dei principali produttori ed esportatori regionali di petrolio. Alla fine di gennaio 2023, la Guyana stava pompando 393.000 barili di petrolio al giorno, tutti provenienti dal blocco Stabroek gestito dalla Exxon. Questo ha trasformato l’ex colonia britannica nel sesto produttore di petrolio dell’America Latina e dei Caraibi, con una produzione che si prevede supererà il milione di barili al giorno entro il 2027, il che renderà la Guyana il terzo produttore di petrolio della regione.
Le scoperte petrolifere di Stabroek Block hanno trasformato la Guyana da una zona economicamente arretrata in un importante produttore di petrolio a livello mondiale, lanciando l’impoverito Paese sudamericano nella stratosfera economica. La Guyana possiede ora una delle economie a più rapida crescita del mondo: i dati del FMI mostrano che il PIL del 2022 è cresciuto di uno straordinario 57,8% e si prevede che crescerà di un altro 25% nel 2023.
Le entrate petrolifere di Georgetown stanno aumentando di valore. Secondo le informazioni fornite dalla Banca della Guyana, la banca centrale del Paese, l’ex colonia britannica ha guadagnato 1,4 miliardi di dollari dalle royalties e dalle vendite di petrolio nel 2022, più del doppio rispetto ai 608 milioni di dollari ricevuti nel 2021. Il governo della Guyana e gli analisti del settore prevedono che le entrate petrolifere supereranno 1,6 miliardi di dollari nel 2023 e saliranno a oltre 7,5 miliardi di dollari entro la fine del decennio.
Di conseguenza, è facile comprendere l’interesse di Maduro per l’Essequibo in un momento in cui la crisi economica del Venezuela ha toccato il fondo e Caracas è alla disperata ricerca di ricostruire un’industria petrolifera in frantumi e di pompare più petrolio. Tra l’altro la contesa con il paese vicino permette al governo di Caracas di distrarre l’attenzione dai problemi economici e produttivi interni: infatti la società nazionale di produzione petrolifera, pa PDSVA, soffocata dalla mancanza di investimenti e da strutture vecchie, non riesce comunque ad aumentare il proprio output petrolifero. La produzione del membro dell’OPEC è crollata da un picco di oltre tre milioni di barili al giorno nel 1998, prima che Hugo Chavez diventasse presidente, a 700.000 barili al giorno per febbraio 2023. Il crollo catastrofico dell’industria petrolifera venezuelana, spina dorsale economica del Paese, ha devastato l’economia e innescato una prolungata catastrofe umanitaria descritta come la peggiore mai verificatasi al di fuori di una guerra.
La PDVSA non è in grado di aumentare significativamente i volumi di produzione o di raggiungere gli ambiziosi obiettivi di produzione fissati da Maduro e dal suo ministro del petrolio Tareck El Aissami senza un massiccio investimento di capitale, stimato in almeno 110 miliardi di dollari. Ciò avverrà solo quando Washington avrà alleggerito in modo sostanziale le sanzioni, il che è altamente improbabile nel prossimo futuro. Annettendo l’Essequibo, Caracas otterrà l’accesso alle considerevoli ricchezze minerarie della regione, comprese le ingenti risorse petrolifere contenute nel blocco offshore di Stabroek. Nell’ultimo decennio si sono verificati frequenti episodi di navi della marina venezuelana che hanno infastidito la navigazione nelle acque territoriali della Guyana nella zona contesa, comprese le navi di perforazione appaltate dalla Exxon. Nel 2021 due pescherecci della Guyana sono stati trattenuti per settimane dalla marina venezuelana.
Dal 2015 Maduro ha giurato con cadenza regolare di riconquistare l’Essequibo, ricco di materie prime. Caracas dispiega spesso forze di terra al confine con la Guyana e conduce esercitazioni militari nella regione. All’inizio del 2018, l’esercito brasiliano ha rivelato di aver scoperto piani per l’invasione della Guyana da parte del Venezuela, che vedrebbe Caracas usare la forza per annettere l’Essequibo. L’allora presidente brasiliano Michel Temer si impegnò a difendere la Guyana in caso di invasione da parte del Venezuela, ma è difficile capire se Brasilia potrebbe dispiegare forze sufficienti in modo tempestivo per respingere l’attacco del Venezuela. Il Brasile e il venezuela condividono una parte di frontiera, ma si tratta di una regione difficile da raggiungere, con scarsi collegamenti con il cuore produttivo del Brasile. Nello stesso tempo però la marina brasiliana è relativamente moderna e operativamente capace.
Se il Venezuela lanciasse un assalto militare per annettere l’Essequibo, la Guyana potrebbe fare ben poco per respingere un simile evento. L’apparato militare venezuelano supera le Forze di Difesa della Guyana di almeno 100 a 1 in termini di personale, mentre Caracas possiede moderni caccia e mezzi navali a cui la Guyana non ha una risposta valida. Gli stretti legami di Maduro con il Cremlino fanno sì che il Venezuela abbia ricevuto ampi aiuti militari dalla Russia, tra cui moderni sistemi d’arma, come armi leggere, carri armati e cacciabombardieri, e l’addestramento da parte di consiglieri russi. Mentre la Russia ha promesso nel 2022 che gli aiuti militari al Venezuela non saranno utilizzati contro la Colombia, non sono state fornite garanzie simili per quanto riguarda la Guyana. L’opinione generale è che, senza l’intervento degli Stati Uniti o del Brasile, un’invasione venezuelana dell’Essequibo avrebbe successo.
Il rischio che la disputa sul confine possa esplodere in un conflitto è molto reale. L’inasprimento delle tensioni tra Caracas e Washington per le sanzioni e le incriminazioni del Dipartimento di Giustizia statunitense contro Maduro e i membri del suo governo aumentano il rischio di uno scoppio del conflitto. Maduro usa la disputa anche come mezzo per distrarre i venezuelani dalle sofferenze che stanno sopportando a causa delle sue politiche, e la disputa è uno degli unici punti su cui lui e l’opposizione venezuelana concordano. L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, nonostante le proteste internazionali, ha incoraggiato i governanti autoritari e illiberali come Maduro a considerare l’applicazione della forza come uno strumento valido per raggiungere i propri obiettivi. Speriamo di non vedere un nuovo coflitto che riaccenderebbe vecchie dispute in tutto il Sud America
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