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FINE DELL’EURO O CRISI ECONOMICHE NAZIONALI: L’EUROPA AL BIVIO. (Antonio M. Rinaldi)

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Recentemente il Team del Blog Scenari Economici ha presentato “UN PIANO B PER L’ITALIA” per dimostrare che per l’Italia, e per qualsiasi altro paese dell’area euro, è possibile ritornare alla propria sovranità monetaria. Realizzando questo studio si è voluto formulare un piano tecnico credibile e sostenibile a supporto del ritorno alla propria sovranità monetaria.

Si è fatto riferimento prevalentemente sugli ottimi e puntuali studi compiuti dalla Nomura e dal prof. Roger Boolte, fra l’altro vincitore del premio Wolfson Economics Prize con “Leaving the euro: A pratical guide” come il miglior piano per l’uscita dall’euro, apportando naturalmente modifiche per adattarli alla realtà economica italiana.

Infatti essendo ormai palese che l’architettura e i fondamenti su cui si fonda tutta la costruzione monetaria europea non consentono correzioni idonee per condividere in modo proficuo le esigenze delle economie dei paesi partecipanti, con l’inevitabile conseguenza di amplificare i vantaggi per alcuni e gli svantaggi per altri, è quanto mai necessario predisporre in prospettiva soluzioni che prevedano anche l’abbandono dalla partecipazione alla moneta comune europea.

L’esigenza di prospettare una alternativa alla moneta unica scaturisce dagli effetti negativi che ha prodotto il modello economico di riferimento su cui si basa la costruzione monetaria europea che non consente la sostenibilità nel tempo dello stesso euro. Sin dall’inizio infatti si è adottato il modello economico che prevede essenzialmente la stabilità dei prezzi, cioè il contenimento dell’inflazione, e il rigore dei conti pubblici fino al perseguimento del principio del pareggio di bilancio, principi ulteriormente enfatizzati dal Fiscal Compact, come unico presupposto per la crescita, invece di considerare modelli che privilegiassero, ad esempio, il raggiungimento della massima occupazione.

E’ notorio che i due modelli sono in contrasto, in quanto quello che prevede la stabilità dei prezzi e l’azzeramento dei disavanzi pubblici fino al raggiungimento del pareggio, ha costretto i governi a compiere negli anni degli avanzi primari estremamente penalizzanti, rivelandosi perciò non idoneo a sviluppare politiche economiche tese al raggiungimento della massima occupazione. Ne discende, dall’analisi dei fondamenti costitutivi e da quella empirica a posteriori, che l’euro è una moneta geneticamente a propensione altamente deflattiva.

Non è possibile rettificare o correggere i fondamenti su cui è stato concepito e su cui gravita l’euro al punto di poter adottare un altro modello economico alternativo. L’attuale modello ha inevitabilmente determinato che il Vecchio Continente sprofondasse in deflazione conclamata con evidenti ripercussioni negative sugli stessi saggi di occupazione e di domanda interna facendo regredire i tassi di crescita del PIL dei paesi eurodotati a livelli inferiori a quelli registrati nel periodo pre-unione monetaria.

I dogmi su cui si fonda l’euro hanno sempre più fatto trasparire che l’Europa si è dotata di una moneta talmente rigida e ingabbiata nella sue regole che l’economia reale è costretta ad adattarsi ad essa e non, come insegna e suggerisce l’economia classica e il buon senso, dove è la moneta invece che deve sempre plasmarsi verso le esigenze della propria economia e dei propri cittadini.

Inoltre le politiche intraprese dalle istituzioni europee, nel tentativo di rendere sostenibile l’aggregazione monetaria comune, stanno sempre più minando il concetto stesso di democrazia, violando quelli che universalmente sono considerati dei diritti e conquiste inalienabili dei cittadini sanciti a chiare lettere nelle rispettive carte Costituzionali. A riguardo dobbiamo ringraziare l’azione divulgativa di Luciano Barra Caracciolo per aver da tempo fra i primi denunciato l’incompatibilità di quanto disposto dai Trattati europei e ciò che è previsto dai dettami Costituzionali nazionali.

In questo modo i rispettivi Governi e Parlamenti nazionali sono stati esautorati sempre più dalla possibilità di poter determinare in modo autonomo, o almeno di poter intervenire a correzione, a supporto della propria politica economica, non solo per l’osservanza dei vincoli esterni previsti dai Trattati internazionali su cui si fonda l’Unione Europea, ma anche a causa dell’attivazione di strumenti sempre più coercitivi che agiscono come dei “piloti automatici” finalizzati al rispetto delle regole. Questo in palese contrasto con i più elementari principi di democrazia che prevedono nel suffragio universale la massima espressione di civiltà e di cui i Parlamenti nazionali sono espressione. I paesi dell’Unione monetaria sono prima di tutto Stati di diritto e non società per azioni!

Troppe nubi si addensano sempre più in Europa e nel mondo e concause imprevedibili potrebbero creare le condizioni per quella che potremo definire come una vera e propria “tempesta perfetta” che avrà come conseguenza certa la radicale rivisitazione dell’aggregazione monetaria europea se non addirittura ad una sua implosione. L’euro si è dimostrato essere assimilabile a una costruzione in terreno sismico senza tuttavia aver adottato criteri antisismici e la sua fine è pertanto solo una questione di tempo.

Perciò è da considerarsi quanto mai opportuno, nello scenario in cui saranno determinanti e condizionanti cause e concause esogene, che ogni nazione predisponga un serio e credibile Piano B, meglio ancora se concordato e coordinato con gli altri partners, da contrapporre alla mancanza della realizzazione di uno speculare altrettanto serio, credibile, accettabile e soprattutto sostenibile Piano A per poter rimanere nella moneta unica. Un Piano B che potrebbe in qualsiasi momento diventare il Piano A.  

Il problema fondamentale su cui si è focalizzato lo studio di Scenari Economici per una ottimale realizzazione di un Piano B, risiede nel fatto che dovrà essere realizzato con il concorso determinante della politica a cui è demandato in ogni caso il primato nell’individuazione degli indirizzi di politica economica e dei piani industriali a supporto e fondamento di una ritrovata Sovranità monetaria in quanto, la gestione di quest’ultima, non rientra nei compiti e mansioni delle preposte istituzioni monetarie nazionali.

Si può essere comunque ragionevolmente certi infatti che le rispettive banche centrali nazionali abbiano già da tempo definito nei dettagli dei Piani B per il ritorno alla rispettive valute nel caso le circostanze lo richiedano, ad iniziare proprio da quelle della Germania e della Francia e l’invito pertanto si rivolge invece alle forze politiche nazionali nel dettarne attivamente la realizzazione.

 Non è compito delle banche centrali nazionali predisporre piani per il ritorno alla sovranità monetaria nazionale, poiché sono da considerarsi in ogni caso istituzioni meramente tecniche e non politiche e a cui spetta esclusivamente, pur nella loro indipendenza, la messa in pratica degli indirizzi e compiti assegnati dalla stessa politica.

Si ricorda che per Piano B non s’intende tanto il passaggio tecnico alla moneta nazionale, ma soprattutto la determinazione di una nuova politica economica che consenta la sostenibilità e la credibilità nel tempo nella ritrovata sovranità monetaria.

Una esortazione perciò alle classi politiche e a tutte le forze attive dei Paesi dell’area euro affinché tengano in seria considerazione il ritorno alla sovranità nazionale alla stregua di piani strategici per la salvaguardia degli interessi nazionali e di non lasciarlo all’improvvisazione o al caso, fornendo invece preventivamente tutto il contributo possibile per realizzarlo nell’esclusivo interesse dei rispettivi paesi e dei propri cittadini. Gli effetti negativi che sta producendo l’aggregazione monetaria sta seriamente e irreversibilmente minando il concetto stesso d’Europa.

Paradossalmente, alla luce di queste constatazioni, i veri c.d. “antieuropeisti” saranno considerati dal severo giudizio della Storia proprio quelli che avranno difeso questa configurazione dell’euro, disponibili sempre a trovare ogni giustificazione possibile alle palesi contraddizioni provocate dal suo impianto errato, e se presto assisteremo ad una sua implosione, sarà proprio per la cecità di chi non ha compreso l’incapacità della governance europea nel gestire la sua conduzione.   

L’ultima chance a disposizione per la sopravvivenza dell’euro è nel proporre una accelerazione al processo di aggregazione, come l’unione fiscale e politica, per giungere speditamente alla creazione degli Stati Uniti d’Europa. Ma siamo certi che i paesi membri siano d’accordo nel cedere ogni residuo di sovranità dopo l’esperienza fallimentare di quella monetaria? Più che fondati dubbi sorgono dal comportamento di molti paesi, sempre più restii nel gestire in comune le problematiche nazionali, oltre alla considerazione che non vi è mai stata una reale volontà di procedere ad una ottimizzazione del mercato unico decretato a Maastricht il 7 febbraio del 1992.

I due fattori determinanti di qualsiasi mercato che voglia definirsi unico, capitale e lavoro, non sono riusciti finora a coniugarsi in modo da creare una vera e propria area valutaria comune e l’euro appare essere sempre più solamente un accordo di cambi fissi. Vale la pena di ricordare che a distanza di 23 anni e mezzo non si sono volute ancora neanche uniformare le aliquote IVA per stessi settori merceologici e servizi che notoriamente sono alla base di una corretta ed effettiva circolazione di beni e servizi; come si può ragionevolmente pensare che in brevissimo tempo si proceda a una completa e totale unione federale con la cessione di ogni residuo di sovranità? Le stesse Costituzioni non lo consentono, perché gli articoli che riguardano la mutazione dello stato nazionale in altre forme, non sono né abrogabili né modificabili. Chi sostiene il contrario o non conosce le Costituzioni o è in palese malafede. La Costituzione italiana inoltre sostiene e garantisce un modello economico ben chiaro e definito, non compatibile con il modello previsto per il sostentamento dell’euro.

Venendo nello specifico del Piano B predisposto da Scenari Economici, la cui consultazione per intero è possibile nelle pagine del Blog, sono stati evidenziati alcuni punti essenziali specifici per l’Italia al fine di massimizzare ed ottimizzare il ritorno alla sovranità monetaria.

Sono state considerate le implicazioni legali e giuridiche a supporto del ritorno alla sovranità monetaria unitamente alla possibilità di poter invocare la lex monetae per la ridenominazione dei titoli pubblici nella valuta nazionale. Inoltre sono stati individuati dei provvedimenti per massimizzare la riconversione monetaria e procedere alla determinazione di una politica economica coerente e sostenibile finalizzata alle esigenze dell’economia italiana e svincolata da quella prevista dai Trattati e Regolamenti europei.

A corollario si è anche considerato di procedere a:

-Contestuale nazionalizzazione della Banca d’Italia con il conferimento di tutti i poter di cui una banca centrale può disporre ad iniziare dalla funzione di prestatrice di ultima istanza a supporto del fabbisogno finanziario della Stato, influendo sulla determinazione dei tassi d’interesse e sui livelli dei rapporti di cambio con le altre divise internazionali. Nello specifico deve essere revocata la disposizione del febbraio 1981, il c.d. “divorzio” fra il Tesoro e la Banca d’Italia, che non obbligava più la banca centrale ad intervenire sul mercato primario dei titoli di Stato e ad adottare il penalizzante metodo d’asta con il sistema “marginale”. Inoltre sarebbe opportuno con l’occasione che il capitale stesso della Banca d’Italia sia detenuto direttamente dai cittadini italiani maggiorenni con il vincolo dell’inalienabilità delle quote e della perdita del possesso solo in caso di morte o di rinuncia alla cittadinanza italiana. In questo modo si risolverebbe una volta per tutte le querelle sulla proprietà della moneta e sui diritti di signoraggio, devolvendo gli utili, detratte spese e riserve, nelle casse del Tesoro.

-Decreto urgente per la divisione netta fra banche d’affari e quelle propriamente commerciali con nuove regole per l’effettuazione di operazioni in derivati se non supportate da comprovate ed effettive esigenze commerciali.

-Puntuale verifica se leggi e regolamenti promulgati in ottemperanza ai vincoli dei trattati e su recepimento delle direttive europee siano effettivamente producenti per il paese.

-Possibilità da parte del Ministero dell’Economia di poter intervenire, dove e per il tempo che riterrà necessario alla stabilizzazione, con partecipazioni ai capitali degli istituti bancari e società di assicurazione al fine di rafforzarne i livelli di patrimonializzazione. Nel caso ritenesse opportuno, dotarsi anche di uno o più Istituti bancari commerciali con capitale a maggioranza pubblica.

-Modifica dell’art.81 della Costituzione, stralciando il principio del pareggio di bilancio e rafforzando invece quello del perseguimento della massima occupazione come primario obiettivo dello Stato, così come sancito dallo stesso art.1 che ribadisce inequivocabilmente che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e non sul pareggio di bilancio.

-Intraprendere politiche di bilancio credibili e funzionali ad un’effettiva crescita economica del paese, come ad esempio limiti all’erogazione di pensioni con il sistema figurativo per ridistribuire le risorse liberate sul contributivo, nuove politiche d’investimento nel settore pubblico e nelle infrastrutture, piani industriali che ricreino le filiere produttive interrotte dalle delocalizzazioni, razionalizzazione della spesa pubblica non adottando il criterio fino ad ora perseguito dei tagli lineari, ma con riferimento al più razionale “best case” regionale.

-Reintroduzione dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) con le originarie funzioni di assistenza finanziaria e tecnica alle aziende italiane in difficoltà al fine di fornire il supporto dello Stato e garantire l’occupazione. Eventuale nazionalizzazione delle società erogatrici di servizi ritenuti essenziali per il benessere e sicurezza dei cittadini.

-Sostituzione della dirigenza statale che ha mostrato una stretta dipendenza dalle influenze europee e scarso rispetto per la sovranità nazionale in oltraggio alla Costituzione.

Concludo facendo proprie le considerazioni del prof. Paolo Savona intervenuto alla presentazione del Piano B per l’Italia di Scenari Economici: “L’Italia dichiara ufficialmente di non volersi preparare all’eventualità che l’euro entri in crisi, accettando che sia l’Italia stessa a seguire questa sorte. Perché questa è la “soluzione” della crisi dell’euro: essere trasferita sull’economia e sulle società “esposte”, come quella italiana. Finché il mercato internazionale accetta l’euro perché la BCE crea moneta per evitare un to-big-to-fail default non vi sarà spazio per soluzione diverse e la crisi si trasferirà sui paesi deboli, ai quali verrà offerta assistenza in cambio della perdita di sovranità, ad iniziare da quella fiscale. Il Piano B serve per sventare questa possibilità. La sua attuazione non è compito né facile né indolore, ma è nelle possibilità del Paese.”

Antonio M. Rinaldi


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