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Fast fashion una moda che non possiamo più permetterci, dati alla mano.

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Fast fashion; ecco la fine che fa la moda veloce a basso costo.

Un recentissimo articolo sul tema della fast fashion, apparso sul blog di Spirit of St. Louis, piccola realtà manifatturiera italiana, ha il pregio di darci una lunga serie di dati interessanti sul tema. L’articolo, dal titolo: Fast fashion, impatto globale. Ecco cosa ci dicono le ricerche.

A preoccuparsi dei nefasti effetti della moda di largo consumo sono i piccoli marchi che ancora lavorano a livello artigianale, proprio come Spirit of St. Louis che produce piccole quantità, puntando sulla qualità e collaborando solo con sarti artigiani italiani e per di più entro un ristrettissimo raggio (nella provincia di Vicenza).
Se l’argomento venisse affrontato a livello politico, avremmo modo di dare importanza e risalto alle aziende che producono in loco prodotti di alta qualità. Ma a quanto pare nemmeno gli assist più favorevole al Made in Italy vengono spinti in rete dai responsabili nazionali.

Senza questo contributo le piccole e medie imprese hanno vita difficile a competere con i grandi brand, tanto che fanno parte di una galassia conosciuta al massimo da pochi appassionati.
Con questo articolo vogliamo dare, non solo l’ennesima sviolinata al Made in Italy, ma anche incentivare i nostri lettori a fare consumo di prodotti manifatturieri italiani.

Fast fashion opportunità o problema?

Il fenomeno della fast fashion è caratterizzato dal “dumping di abbigliamento” che ha portato migliaia di tonnellate di vestiti usati, nei Paesi africani come il Ghana. Sebbene l’abbigliamento usato offra un accesso economico, danneggia l’industria locale e ha un impatto ambientale devastante. Le donazioni occidentali, l’infrastruttura di importazione e la domanda africana contribuiscono al flusso di vestiti usati.
La moda a basso costo ha un impatto significativo sull’ambiente e sull’economia dei paesi poveri. La Nigeria, il Kenya, l’Uganda, la Tanzania e il Benin sono coinvolti nel commercio di abbigliamento usato. L’industria della moda contribuisce al 2-10% delle emissioni globali di gas serra, con circa 1,2 miliardi di tonnellate di CO2eq all’anno. Le nanoplastiche, presenti nei tessuti sintetici o rilasciate durante il lavaggio, danneggiano gli ecosistemi acquatici e la fauna marina. Possono causare danni digestivi e accumulo di tossine negli organismi marini, rappresentando un rischio per la catena alimentare e la salute umana.

Chi sono i principali produttori?

La fast fashion è dominata da diversi marchi noti a livello internazionale. Secondo l’articolo apparso sul blog della piccola realtà artigiana, tra i principali produttori di fast fashion ci sono Zara (gruppo Inditex), H&M, Forever 21, Primark e Topshop. Inoltre, ci sono anche alcuni marchi italiani come Benetton, OVS e Terranova che rientrano nella categoria del fast fashion. Questi marchi offrono abbigliamento alla moda e accessibile, ed hanno una presenza internazionale.

I paesi con il più alto consumo di fast fashion includono gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Cina, l’India e il Brasile. Gli Stati Uniti si distinguono per un alto consumo di abbigliamento e una vasta gamma di marchi low cost. Il Regno Unito è un centro di tendenze di consumo e ha una vivace industria della moda. In Cina, l’aumento del consumo di abbigliamento è dovuto alla grande popolazione e alla crescente classe media. L’India, con la sua vasta popolazione in crescita nella classe media, sta vivendo un aumento significativo del consumo di abbigliamento. Il Brasile rappresenta un mercato di consumo significativo in Sud America, con un forte interesse per la moda e i marchi di fast fashion.

la piaga del lavoro minorile per la produzione di abbigliamento a basso costo

la piaga del lavoro minorile per la produzione di abbigliamento a basso costo

In Europa, il Regno Unito è considerato uno dei principali mercati di fast fashion, con Londra come capitale della moda. La Germania è un importante mercato di consumo in Europa, con città come Berlino e Monaco di Baviera che si distinguono per la loro scena di moda e la presenza di numerosi marchi di fast fashion. La Francia è famosa per la sua influenza nel settore della moda e Parigi è una delle capitali mondiali della moda. Nonostante l’immagine dell’alta moda francese, i consumatori francesi partecipano comunque al consumo di abbigliamento economico e alla moda. La Spagna è nota per la sua forte presenza di marchi di vasto consumo usa e getta come Zara, e città come Barcellona e Madrid sono importanti centri di tendenze di consumo. L’Italia, con la sua tradizione nel settore della moda, presenta anche un consumo significativo di fast fashion, soprattutto tra i giovani consumatori.

Alcuni dei più diffusi marchi di moda a basso costo.

Alcuni dei più diffusi marchi di moda a basso costo.

Chi sono i maggiori consumatori?

Forse non desterà sorpresa il dato che assegna la palma di maggiori consumatori di abbigliamento usa e getta. Infatti secondo le ricerche citate dall’articolo di Spirit of St. Louis, il mercato dei giovanissimi è la fetta più grande di consumatori di questo tipo di prodotto.
Questo appare in forte contrasto con la narrazione sulla sensibilità ambientale della generazione di Fridays for future.
Secondo un’indagine del GlobalWebIndex del 2020, i consumatori più giovani sono generalmente più propensi ad acquistare abbigliamento di fast fashion rispetto ai consumatori più anziani, con il 40% dei consumatori tra i 16 e i 24 anni che avevano acquistato abbigliamento di fast fashion nell’anno precedente. Questi dati indicano che le fasce d’età più giovani sono il principale target di consumo per la fast fashion, tra cui i millennials, la generazione Z, gli adolescenti e i giovani adulti tra i 20 e i 30 anni.

 

Dati sui consumatori di fast fashion divisi per fasce d'età

Dati sui consumatori di fast fashion divisi per fasce d’età


Il problema è dunque l’automobile a diesel?

Alla luce dell’articolo citato, spicca ancora di più l’ipocrisia della narrazione ormai dilagante in tema ambientale. Questa, se ci fate caso, non va mai a toccare il via vai delle navi container che incrociano a livello globale.
Ecco invece di cosa si tratta secondo il pezzo apparso nel blog di Spirit of St. Louis:

“Secondo alcune stime, ogni anno arrivano in Africa diverse centinaia di migliaia di tonnellate di abbigliamento usato. Alcuni rapporti indicano cifre che vanno da 200.000 a 500.000 tonnellate o addirittura oltre, ma è importante notare che queste cifre sono approssimative e possono variare.

Uno studio condotto dalla Ellen MacArthur Foundation ha stimato che l’industria della moda contribuisce al 2-10% delle emissioni globali di gas serra. Le emissioni di gas serra sono principalmente causate dalla produzione e dal trasporto di materiali tessili e abbigliamento. Il Global Fashion Agenda e il Boston Consulting Group hanno riportato che le emissioni di gas serra dell’industria della moda ammontano a circa 1,2 miliardi di tonnellate di CO2eq all’anno, corrispondenti al 4% delle emissioni globali totali.”

 

Come contrastare gli effetti nefasti della fast fashion?

L’articolo di Spirit of St. Louis elenca tutta una serie di contromisure che le aziende possono mettere in atto per contrastare la deriva a cui siamo destinati.

Invece di indugiare su banali ovvietà, Spirit of St. Louis indica strategie di marketing e di produzione intelligenti, ma indica soprattutto nei consumatori il ruolo risolutore.

Spirit of St. Louis Italia, manifattura moda italiana

Sta infatti a noi dare prova di intelligenza scegliendo prodotti alternativi che pure esistono sul mercato, anche se non si trovano sugli scaffali della dilagante grande distribuzione.
Come accusa il pezzo di L’inkiesta dal titolo, Tra lusso e fast fashion: la terra di mezzo popolata da marchi invisibili (leggi), non dobbiamo aspettarci che ci vengano messi in primo piano dai media e dai social. Esiste infatti un mercato della pubblicità che vede i piccoli produttori impossibilitati a competere con i budget miliardari delle multinazionali.

È quindi necessaria la costante ricerca dei piccoli brand locali o comunque artigianali che si trovano facilmente online o agli eventi di settore.
Quali? Beh tanto per cominciare, le botteghe spesso nascoste (per ragioni di budget affitti), i mercatini e i negozi dell’usato, le manifestazioni del vintage che spesso mostrano al proprio interno piccole realtà che realizzano capi nuovi, magari inutile retrò (remade), proprio come fa Spirit of St. Louis.
E poi si trovano praticamente tutti online; quindi si tratta solo di imparare a trovare le giuste parole chiave di ricerca.
La ricerca fa parte del mestiere del saper scegliere.

Spirit of St. Louis: moda d'ansan completamente realizzata in provincia di Vicenza da soli artigiani italiani locali

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FONTI

Articolo originale su Spirit of St. Louis.

Fonti riportate dall’articolo:

Fast fashion, impatto ambientale

I rifiuti della fast fashion soffocano il Ghana

La fast fashion è fuori moda: le raccomandazioni della UE

Oxfam: ingiustizia e sfruttamento, il prezzo della moda

Varie fonti sull’argomento

Moda circolare, tutto quello che c’è da sapere


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