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EVITATE DI FALSIFICARE LA GIUSTIZIA SOCIALE CON LE PENSIONI (di Paolo Savona)

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Ancora una volta le pensioni sono nell’occhio del ciclone non per cercare una loro coerenza con le effettive condizioni economiche del Paese e con la giustizia sociale desiderata, ma perché i conti dello Stato, anche per via dei vincoli europei, non sopportano gli oneri dei diritti acquisiti. Le mie obiezioni a questo modo ingiusto di procedere sono sempre le stesse e le elenco nuovamente nell’ordine.

In un’economia che decresce o cresce poco, soprattutto dal lato dell’occupazione e dei salari, il metodo delle pensioni per ripartizione che non rispetta le aliquote di equilibrio (ossia il pareggio tra incassi e spese pensionistiche) pone sul bilancio pubblico oneri crescenti e va corretto passando al metodo contributivo, integrato da schemi liberi di previdenza integrativa. Le numerose riforme pensionistiche fatte nell’ultimo quarto di secolo avevano questo orientamento, sia pure perseguito in modo non ordinato né risolutivo, ma lo Stato si è messo a ridurre le pensioni “alte” a prescindere dai contributi versati e a tassare rendimenti e ricchezza prescindendo dalle contribuzioni e dalle finalità perseguite con l’accumulo di risparmio regolarmente tassato.

Il sistema pensionistico si muove a grandi passi in direzione del peggioramento della giustizia sociale; capirei, anche senza giustificarlo, se lo facesse la destra “disordinata”, ma vi contribuisce attivamente anche la sinistra “ordinata”. Tutti i Partiti hanno perso il loro orientamento sul tipo di giustizia sociale in generale e, in particolare, di quella intergenerazionale che vorrebbero raggiungere.

Operare sulle pensioni quando i Governi sono incapaci di attivare i piani di spending review che essi stessi elaborano, toglie loro legittimazione nel dare continue lezioni di giustizia sociale. Far gravare sulle pensioni e su una miriade di aspetti della vita quotidiana (dall’Imu, alla spazzatura, al costo dei trasporti, al gas, alla luce ecc. ecc.) il problema della perequazione sociale ricorrendo a tasse e tariffe discriminanti “a caso” fa perdere la cognizione di quale debba essere la progressività delle imposte ottenuta operando sulla progressività delle aliquote fiscali e solo su queste.

Secondo i calcoli dell’Onu condotti da Dominick Salvatore (ricerca purtroppo datata), in Italia, dopo mezzo secolo di perequazione applicata in ogni aspetto della vita sociale, abbiamo il triste primato di una distribuzione dei redditi simile a quella della Cina. Recentemente Francesco Forte ha segnalato l’esistenza di una ricerca fatta negli Stati Uniti nella quale si dimostra che una larga maggioranza degli americani beneficia di una negative income tax, ossia percepisce dalla collettività servizi il cui valore è superiore alle tasse che paga. Mi è stato detto che anche l’Italia possiede questi dati che non pubblica, i quali dimostrano l’esistenza di una netta maggioranza di italiani che si trovano nella stessa condizione, ossia le prestazioni sanitarie, pensionistiche e assistenziali di diversa natura (accompagnatori, badanti, infermieri ecc.) superano le tasse che pagano.

Siamo ora di fronte al prorompere della pressione di destra e sinistra per il salario di cittadinanza, con la presenza costante di una proposta di una tassa indistinta sulla ricchezza. Il Ministro Boschi ha affermato che il Governo non è in linea di principio contrario al salario di cittadinanza. Quando gli italiani capiranno che, data la struttura economica e politica entro cui opera il Paese, l’impegno verso una redistribuzione del reddito che tocca ogni aspetto della vita quotidiana non migliora la giustizia sociale, si potrà tentare di cercare una forma accettabile di giustizia sociale. Per ora i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Il primo passo per ogni decisione riguardante pensioni e tassazione sarebbe quello di far sapere al cittadino se egli ha già una posizione attiva nei confronti della collettività. Partendo da questa informazione, si può tentare un passo ulteriore, quello di pervenire a uno schema di giustizia sociale che offra opportunità di lavoro invece di assistenza attraverso forme contributive chiare invece che redistributive confuse. So bene che non è un compito facile, ma se ogni scelta si ponesse a priori questo riferimento, forse riusciremo ad approssimare un’organizzazione sociale meno ingiusta. Basterebbe smetterla di trattare i cittadini come stupidi, illudendoli che le cose cambino.

Paolo Savona

pubblicato il 19/5/15 su Il Mattino


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