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Economia

Europa e Cina: la Von Der Leyen costretta a cancellare la propria aggressività, in mezzo alle divisioni

Ursula von der Leyen, capo della Commissione europea, affronta sfide politiche e divisioni sulla Cina. Norme “verdi” e “sociali” rischiano di arenarsi. Divisa su politiche climatiche e commerciali, l’UE lotta con priorità contrastanti.

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Ursula von der Leyen
Ursula von der Leyen

Nell’ultimo anno, il capo della Commissione europea Ursula von der Leyen si è costruita un’immagine come l’interlocutore più duro del continente nei confronti della Cina. A pochi mesi dalla fine del suo mandato tutta la sua algida durezza si sta schiantando contro la granitica realtà dei fatti politici. I governi stanno già cercando di evitare una sbandata verso l’estrema destra in vista delle elezioni del Parlamento europeo, facendo marcia inetro su molte leggi “verdi” e “sociali”, e dove non lo fanno, i partiti di governo prendono delle bastonate politiche. Alle porte poi c’è Donald Trump che si prepara a tornare al potere.

Nel frattempo, come evidenzia SCMP, stanno emergendo spaccature sulla Cina, con Francia e Germania in disaccordo su tutto, dall’energia solare ai veicoli elettrici, dagli accordi commerciali alle catene di approvvigionamento.
“Non esiste più una coppia franco-tedesca, non funziona… la divisione sulla Cina ne è un esempio”, ha dichiarato un diplomatico francese, parlando a condizione di anonimato.

Il mese scorso l’UE ha sospeso una controversia con Pechino nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio per la sua presunta coercizione economica nei confronti della Lituania. Lo stato baltico ha visto crollare le sue esportazioni verso la Cina dopo aver permesso l’apertura di un ufficio governativo taiwanese dal nome controverso a Vilnius alla fine del 2021. La UE ha rinunciato a difendere un proprio membro, ma non poteva sacrificare i commerci tedeschi per la Lituania.La UE non poteva fare nulal di fronte all’OMC nei confronti di un buicottaggio ufficioso come quello applicato dalla Cina, e nessuno nella UE voleva rischiare applicando adeguate misure di ritorsione. Alla fine, anche qui òa Von Der Leyen si è dovuta arrendere.

I funzionari hanno lottato fin dal primo giorno per convincere le aziende a testimoniare in via ufficiale, nel timore che potessero subire una punizione, mentre la Cina ha allentato l’embargo non ufficiale e alcune esportazioni lituane sono entrate, rendendo difficile dimostrare l’embargo.

L’UE ha deciso di sospendere il caso alla fine del mese scorso, quando doveva essere presentata una seconda tranche di prove. Ora ha 12 mesi di tempo per riprenderlo, ma gli osservatori si chiedono se l’OMC sia adatta a trattare questioni di questo tipo.
“La Cina è opaca, è impossibile dimostrare l’intervento del governo”, ha dichiarato Yeo Han-koo, ex ministro del commercio sudcoreano.
Yeo ha lavorato al ministero del commercio durante un boicottaggio cinese non ufficiale di beni e servizi sudcoreani in seguito al dispiegamento di un sistema antimissile statunitense nel 2016. Ha detto che Seul ha preso in considerazione la possibilità di intentare una causa presso l’OMC, ma “si è svolta in modo molto opaco… è difficile trovare prove concrete”.

Anche dal punto di vista legislativo, l’agenda dell’UE rischia di arenarsi. Il progetto di punta della Von der Leyen sul de-risking, presentato lo scorso marzo, è stato accantonato a causa della furiosa resistenza degli Stati membri. I principi chiave del de-risking, i piani per vagliare gli investimenti in uscita e imporre controlli sulle esportazioni, hanno scatenato un vespaio diplomatico. alcune capitali si sono opposte perchè si faceva confusione fra sicurezza e scambi commerciali e perché tutto questo sembrava solo l’ennesima sottomissione

Anche le severe norme sulla catena di approvvigionamento aziendale, che obbligherebbero le grandi imprese a condurre rigorosi audit sociali, lavorativi e ambientali sui loro fornitori, rischiano di fallire. La votazione finale prevista per venerdì è stata rinviata all’ultimo minuto per timore che non passasse. La Germania ha dichiarato che si sarebbe astenuta su pressione della lobby imprenditoriale, mentre la Finlandia e altri paesi starebbero seguendo Berlino.

Le imprese temono che i piani possano spingerle fuori dal mercato cinese e un lobbista di alto livello si chiede come possano rispettare le vaghe regole di Pechino contro lo spionaggio e la fuoriuscita di dati, fornendo al contempo le informazioni richieste da Bruxelles.

Un divieto di lavoro forzato in fase di negoziazione tra il Parlamento europeo e il Consiglio, che rappresenta gli Stati membri, potrebbe subire un destino simile. La legge è stata scritta pensando alla Cina, a causa delle accuse di lavoro forzato nello Xinjiang, anche se non viene citata direttamente. I negoziatori devono trovare un accordo entro il 9 marzo, altrimenti l’accordo verrà accantonato fino a dopo le elezioni del Parlamento europeo di giugno, quando il panorama politico potrebbe essere molto diverso. I colloqui, tuttavia, si stanno rivelando difficili.

L’UE si trova di fronte a un dilemma simile per quanto riguarda i pannelli solari cinesi. È combattuta tra la richiesta di vietare i pannelli legati allo Xinjiang e quote di importazione più ampie, e teme di non poter raggiungere i suoi obiettivi climatici senza queste importazioni.
Diversi funzionari e diplomatici hanno descritto questa situazione come un classico esempio di obiettivi politici contrastanti. Vuole fare “tutto allo stesso tempo”, ha detto un funzionario, ma non è chiaro quale sia la priorità. Se vuole cercare di raggiungere gli obiettivi climatici deve utilizzare i pannelli cinesi a basso costo, altrimenti questi non saranno mai raggiungibili. perfino i pannelli prodotti mella UE si basano su componentistica cinese.

Un caso esemplare è rappresentata dagli inverter solari, noti nel settore come il “cervello di un sistema solare”, che consentono di trasmettere l’energia solare alle reti elettriche. Senza di essi, l’intero settore potrebbe essere messo in pericolo.
Ma il principale fornitore europeo è Huawei Technologies, che l’UE sta cercando di estromettere dalla sua rete 5G in un momento in cui si è discusso poco sul fatto che ha fornito il 26% degli inverter europei nel 2021, secondo la società di consulenza Wood MacKenzie. Le sanzioni senza un’industria alle spalle, sono equivalenti a spararsi ad un piede, dal punto di vista economico.

Una situazione simile è quella delle auto elettriche. In tutti questi settori vi sono due visioni alternative: da un lato la Germania che è disponibile a intrecciare le proprie catene logistiche con quelle cinesi, anche al limite della colonizzazione industriale, nella speranza, spesso vana, di riuscire a conquistare il mercato cinese con i propri prodotti, esponendosi però alle politiche cinesi. Dall’altro la Francia che vorrebbe avere catene logistiche completamente autonome, ma  le stesse politiche austere della Commissione impediscono i necessari investimenti. Alla fine non resta che la confusione e la decadenza.


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