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Corso in relazioni internazionali. Ottava lezione: BRETTON WOODS ED FMI. Dagli appunti del Prof. Rinaldi.

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relazioni internazionali

IL Sistema Monetario Internazionale. Bretton Woods e il Fondo Monetario Internazionale.

A seguito della Grande Depressione, molti Paesi avevano risolto il dilemma tra equilibrio interno e equilibrio esterno, tagliando i propri legami commerciali con il resto del mondo ed eliminando la possibilità di qualunque significativo squilibrio estero. Riducendo il guadagno derivante dallo scambi, questo approccio impose costi estremamente elevati all’economia mondiale e contribuì a rendere lento il recupero dalla depressione.

Tutti i Paesi avrebbero potuto stare meglio in un mondo con libero commercio internazionale, purché la cooperazione internazionale avesse aiutato ogni Paese a mantenere il proprio equilibrio esterno e la stabilità finanziaria senza sacrificare i propri obiettivi di politica interna.

È stata questa idea a ispirare il sistema monetario internazionale del secondo dopoguerra, gli accordi di Bretton Woods.

Nel luglio del 1944 i rappresentanti di 44 Paesi stesero e firmarono l’accordo del Fondo Monetario Internazionale (FMI), cioè un sistema monetario che favorisse la piena occupazione e la stabilità dei prezzi, permettendo ai singoli Paesi di raggiungere l’equilibrio esterno senza imporre restrizioni al commercio internazionale.

(La medesima conferenza fondò una seconda istituzione, la Banca Mondiale, il cui scopo era aiutare i Paesi belligeranti a ricostruire le proprie economie danneggiate e gli ex territori coloniali a svilupparsi e modernizzarsi. Solo nel 1947 fu inaugurato il GATT come forum per la riduzione multilaterale delle barriere commerciali. Il GATT doveva essere preparatorio alla creazione di un’organizzazione internazionale per il commercio, i cui obiettivi nell’area del commercio avrebbero dovuto essere paralleli a quelli dell’FMI nell’area finanziaria. Ma come abbiamo visto il GATT diventa l’attuale WTO solo nel 1995.)

Quello fondato sugli accordi di Bretton Woods era un sistema di cambi fissi rispetto al dollaro, con il prezzo dell’oro fissato a 35 dollari per oncia (1 oncia = 28,35 grammi), e un dollaro a noi ci costava 625 lire.

I Paesi membri detenevano le proprie riserve ufficiali internazionali per lo più in oro o attività in dollari e avevano il diritto di vendere dollari contro oro alla Federal Reserve al prezzo ufficiale. Il sistema era quindi un gold exchange standard, nel quale il dollaro era la principale valuta di riserva.

Obiettivi e struttura del FMI

I punti dell’accordo istitutivo del FMI tentavano di evitare il ripetersi dell’esperienza turbolenta del periodo tra le due Guerre attraverso una miscela di disciplina e flessibilità.

La maggiore disciplina nel campo monetario consistette nel porre tassi di cambio fissi rispetto al dollaro, che, a sua volta, era fissato all’oro.

Se una banca centrale diversa dalla FED avesse perseguito una espansione monetaria troppo forte, avrebbe perso riserve internazionali e alla fine non sarebbe stata in grado di mantenere il tasso di cambio in dollari della propria moneta.

Poiché un’elevata crescita monetaria negli Stati Uniti avrebbe condotto all’accumulazione di dollari da parte delle banche centrali straniere, anche la FED era vincolata nella sua politica monetaria dall’obbligo di cambiare i dollari in oro.

Il prezzo ufficiale di 35 dollari per oncia serviva come ulteriore freno alla politica monetaria degli Stati Uniti, poiché il prezzo sarebbe salito in seguito alla creazione eccessiva di dollari.

I tassi di cambio fissi erano comunque considerati più di un semplice sistema per imporre la disciplina monetaria al sistema. Le precedenti esperienze avevano convinto i creatori del Fondo che i tassi di cambio flessibili fossero causa di instabilità speculativa e fossero dannosi per il commercio internazionale.

L’esperienza maturata fra le due Guerre aveva anche mostrato che i governi nazionali non sarebbero stati disposti a mantenere contemporaneamente tassi di cambio fissi e libero commercio internazionale al prezzo di una prolungata disoccupazione interna.

Gli accordi del FMI cercarono quindi di incorporare flessibilità sufficiente a permettere ai Paesi di raggiungere l’equilibrio esterno in maniera ordinata, senza sacrificare gli obiettivi interni o i tassi di cambio fissi.

Due importanti caratteristiche del FMI:

– i membri formarono con le proprie valute e con l’oro un fondo di risorse finanziarie che il FMI poteva utilizzare per dare prestiti ai Paesi che ne avessero avuto bisogno;

– benché i tassi di cambio fossero fissi rispetto al dollaro, le parità potevano essere aggiustate con il permesso del Fondo.

Si supponeva che simili episodi di svalutazione e rivalutazione sarebbero stati infrequenti e presenti solo in quei Paesi in disequilibrio strutturale. E sebbene l’accordo non definisse il disequilibrio strutturale, si riteneva che questo termine comprendesse i Paesi che soffrivano di spostamenti negativi permanenti della domanda per i loro prodotti, al punto che, senza svalutazione essi avrebbero subito un lungo periodo di disoccupazione e di disavanzo esterno. Tuttavia la flessibilità di un tasso di cambio aggiustabile non era disponibile per il dollaro statunitense.

Questo nuovo sistema di Bretton Woods era diametralmente opposto alla subordinazione della politica monetaria a considerazioni esterne come la libertà dei flussi finanziari tipica del gold standard. Dopo l’esperienza antecedente di elevata disoccupazione, si sperava con l’accordo di assicurare che i Paesi non fossero forzati ad adottare politiche monetarie restrittive per ragioni legate alla bilancia dei pagamenti di fronte a un rallentamento dell’economia.

Le restrizioni ai flussi finanziari internazionali avrebbero permesso variazioni “regolate” dei tassi di cambio in situazioni di squilibrio persistente. In teoria, i policy maker sarebbero stati in grado di modificare i tassi di cambio deliberatamente, senza la pressione di intensi attacchi speculativi. Tuttavia sebbene questo approccio inizialmente funzionasse bene, il successo di Bretton Woods nel ricostituire il commercio internazionale, con il passare degli anni, rese progressivamente più difficile per i policy maker evitare attacchi speculativi.

Pertanto l’uso delle valute nazionali nel commercio internazionale rendeva più efficiente l’economia mondiale dato che gli accordi del FMI richiedevano ai Paesi membri di rendere convertibili le proprie monete. Una valuta convertibile è quella che può essere liberamente scambiata con valute estere. La generale non convertibilità avrebbe reso estremamente difficile il commercio internazionale.

(Ciò significa che un residente in Canada che acquistava dollari statunitensi avrebbe potuto usarli per fare acquisti negli Stati Uniti, venderli sul mercato dei cambi ottenendo valuta nazionale o venderli alla banca centrale canadese, che a sua volta aveva diritto di venderli alla Federal Reserve al tasso di cambio fisso dollaro statunitense/oro)

L’iniziale convertibilità del dollaro statunitense, assieme alla sua speciale posizione nell’ambito del sistema di Bretton Woods e alla influenza economica e politica degli Stati Uniti, rese il dollaro una moneta internazionale utilizzata da importatori e esportatori per le transazioni nel loro commercio internazionale. Le banche centrali, di conseguenza, trovavano vantaggioso detenere le proprie riserve in attività fruttifere in dollari.

La maggior parte dei Paesi europei non ripristinò la convertibilità fino al 1958, anno in cui gradualmente cominciò a cambiare la natura dei vincoli esterni dei policy maker: con l’espansione delle transazioni sul mercato dei cambi, i mercati finanziari di vari Paesi divennero sempre più strettamente collegati. Con la possibilità di trasferire capitali al di là delle frontiere, i tassi di interesse nazionali diventarono sempre più correlati e crebbe la velocità con cui variazioni della politica economica potevano aumentare o ridurre le riserve valutarie.

Sempre più negli anni a seguire, le banche centrali dovettero porre attenzione alle condizioni finanziarie estere, a meno di correre il rischio che un’improvvisa perdita di riserve le lasciasse senza le risorse necessarie a mantenere fisso il cambio. Per esempio, di fronte a un improvviso aumento dei tassi di interesse esteri, una banca centrale sarebbe stata costretta a vendere attività nazionali e ad aumentare il tasso di interesse interno per mantenere costanti le proprie riserve.

Flussi speculativi di capitali e crisi

La convertibilità delle monete in dollaro e a sua volta di quest’ultima in oro non si tradusse in un’immediata e completa integrazione finanziarie internazionale, come si ipotizza solitamente nel modello di cambio fisso. Al contrario la maggior parte dei Paesi continuò a mantenere restrizioni sui movimenti di capitale, una pratica espressamente consentita dal FMI.

Ma la possibilità di creare flussi di capitale nascosti aumentò considerevolmente: per esempio, gli importatori di un Paese potevano acquistare attività estere anticipando il pagamento ai fornitori esteri rispetto alla consegna del bene; oppure potevano prendere a prestito dagli esportatori stranieri ritardando il pagamento.

Queste pratiche commerciali, note come “anticipazioni” e “ritardi” rappresentavano due modi principali per eludere le barriere ai movimenti internazionali di capitali privati.

Gli avanzi e i disavanzi di parte corrente assunsero ulteriormente significato nelle nuove condizioni di maggiore mobilità del capitale. Un Paese con un forte e persistente disavanzo del conto corrente poteva essere sospettato di trovarsi in “disequilibrio strutturale” secondo i canoni del FMI, e quindi candidato alla svalutazione.

Il sospetto di un’imminente svalutazione poteva a sua volta provocare la scintilla di una crisi della bilancia dei pagamenti.

Per esempio, chiunque detenesse depositi in sterline avrebbe sostenuto una perdita durante una svalutazione della sterlina, poiché il valore delle attività in sterline sarebbe diminuito improvvisamente di un ammontare pari alla variazione del tasso di cambio. Dunque, se l’Inghilterra aveva un disavanzo corrente, i detentori di sterline spostavano le proprie attività su altre valute. Per mantenere fisso il tasso di cambio contro il dollaro la Banca d’Inghilterra avrebbe dovuto comprare sterline e vendere la valuta straniera che gli operatori desideravano. Questa perdita di riserve, se sufficientemente grande, avrebbe costretto a una svalutazione, poiché altrimenti avrebbe lasciato la Banca d’Inghilterra senza riserve sufficienti a sostenere il cambio.

Analogamente, Paesi con elevati avanzi di conto corrente avrebbero potuto essere considerati dal mercato come candidati a una rivalutazione. In questo caso, le loro banche centrali si sarebbero trovate piene di riserve ufficiali, come risultato della vendita di valuta nazionale sul mercato dei cambi al fine di evitare l’apprezzamento.

Un Paese in questa situazione fronteggerebbe il problema di veder crescere incontrollatamente l’offerta di moneta, una circostanza che potrebbe spingere in alto il livello dei prezzi e far saltare l’equilibrio interno.

I governi perciò diventarono sempre più riluttanti a contemplare riallineamenti del tasso di cambio, temendo che ne risultassero attacchi speculativi.

Le crisi della bilancia dei pagamenti divennero sempre più frequenti e violente tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta. Un disavanzo record della bilancia commerciale inglese nel 1964 condusse a un periodo di speculazioni intermittenti contro la sterlina, che complicarono la politica economica britannica fino al 1967, quando la sterlina fu alla fine svalutata.

La Francia svalutò il franco e la Germania rivalutò il marco nel 1969, dopo analoghi attacchi speculativi in uscita nel primo e in entrata nel secondo.

Queste crisi diventarono così massicce che alla fine abbatterono la struttura dei cambi fissi di Bretton Woods.

La possibilità di una crisi della bilancia dei pagamenti fece quindi aumentare l’importanza dell’obiettivo esterno di mantenere un livello predefinito del saldo del conto corrente. Anche gli squilibri di parte corrente giustificate da differenti opportunità di investimento o causate da fattori puramente temporanei potevano innescare nel mercato sospetti di un’imminente variazione della parità. In tale situazione, i policy maker avevano un ulteriore incentivo a evitare improvvise variazioni del saldo del conto corrente.


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