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Crisi

COME SE NE ESCE?

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Sull’impossibilità di rimborsare il nostro debito pubblico, in termini di potere d’acquisto, esiste probabilmente un universale consenso. Dunque la domanda diviene: come se ne esce?

Se su ciò che bisogna fare ci fosse certezza ed unanimità, da un lato non ci sarebbe la discussione, dall’altra – forse – la soluzione sarebbe già stata adottata. Poiché invece si naviga nell’incertezza, le ipotesi possono servire, se non a giungere ad una conclusione incontestabile, quanto meno a chiarirsi le idee.

Molti sembrano credere che si possa andare avanti pressoché indefinitamente ma conviene ricordare che, se una situazione va costantemente aggravandosi, come nel caso del nostro debito pubblico, o troviamo una soluzione noi o la trova da sé il tempo. Con la differenza che se, invece di aspettare che il default sia indotto da una crisi economica internazionale, lo dichiariamo volontariamente noi, quanto meno è l’Italia stessa che stabilisce il quando e il come.

Seconda certezza: gli italiani non possono rimborsare (in termini di potere d’acquisto) il debito pubblico di cui hanno beneficiato i loro genitori e i loro nonni (due generazioni di incoscienti), perché ognuno dovrebbe versare circa trentacinquemila euro (210.000€ per una famiglia di sei persone) e non tutti li hanno. Dunque non val nemmeno la pena di discutere se sarebbe giusto chiederglielo.

Cercando altre soluzioni, pare evidente che, per avere la libertà di applicare una qualunque ricetta, bisogna avere la sovranità monetaria. Finché rimarremo nell’eurozona, non avremo più libertà di quanta ne abbiamo oggi, e dunque il primo passo è l’uscita dall’euro e il ritorno alla (nuova) lira. A questo punto, se i mercati non comprassero più i nostri titoli di Stato, saremmo al default e non ci sarebbe bisogno di una diversa soluzione. Se invece l’Italia resistesse al contraccolpo, potremmo stabilire una linea di condotta. Ma avremmo il problema leninista del “che fare?”

L’Italia, padrona della sua moneta, rimborsa tutti i titoli a mano a mano che scadono, creando nuove lire a tempesta, fino a provocare una mostruosa inflazione. Già soltanto di interessi, il primo anno stamperemmo l’equivalente di 70-80 miliardi di euro. I detentori di titoli di Stato, italiani e stranieri, si vedrebbero negare, in termini di potere d’acquisto, la maggior parte del loro credito e tuttavia ciò non basterebbe. Infatti, se non volesse vederli morire di fame, lo Stato dovrebbe anche aumentare le paghe dei suoi dipendenti e dei suoi pensionati. E anche questo contribuirebbe non poco all’inflazione. Il tutto mentre le “commodities” essenziali (petrolio, lana, cotone, caffè, ecc.) andrebbero comprate con valute forti come il dollaro o l’euro. Lo scenario fa spavento.

Immaginiamo allora che l’Italia esca dall’euro e dichiari che non rimborserà i titoli di Stato e non pagherà neppure gli interessi. Questa soluzione impedirebbe i disastri dell’iperinflazione ma non sarebbe priva di controindicazioni. Per cominciare, gli stranieri ci considererebbero un popolo di ladri: e a questo dopo tutto potremmo acconciarci. Ma fallirebbero le banche, che hanno somme enormi in titoli di Stato, improvvisamente divenuti carta straccia. Poi si porrebbe un enorme problema di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. I risparmiatori che hanno comprato una casa avrebbero ancora quella casa, mentre i risparmiatori che si sono fidati dello Stato non avrebbero più niente. Chi avesse messo da parte qualcosa – per esempio per affrontare le spese del matrimonio della figlia – improvvisamente non avrebbe una lira, mentre, se avesse avuto l’accortezza di investire in valute diverse dall’euro, non perderebbe niente. I creditori dei privati non subirebbero nessun danno, mentre i creditori dello Stato sarebbero beffati. E soprattutto chi ha scialacquato ogni suo avere ed ha addirittura contratto debiti, non soltanto non si vedrebbe portar via niente, perché non c’è niente che gli si possa portar via, ma si vedrebbe fare un enorme sconto sui suoi debiti.

 Forse la soluzione dell’inflazione è ancora la meno ingiusta. Non che non abbia difetti: le conseguenze sono opposte per i creditori e i debitori, per i lavoratori dipendenti e per i lavoratori autonomi, ma la legnata sarebbe comunque più egalitaria. Inoltre i titoli non scadrebbero tutti il primo anno, e dunque ci sarebbe modo di spalmare almeno l’inflazione su un certo numero di anni. È una soluzione che fa spavento anche questa, ma è sempre migliore di ciò che avverrebbe oggi, se le Borse si allarmassero e non comprassero più i nostri titoli. Infatti non potremmo pagarli né in lire, perché non hanno corso legale, né in euro, perché non li abbiamo.

Ora all’Italia e all’Europa non rimane che prendere nota delle mie decisioni :-).

Gianni Pardo, [email protected]

5 gennaio 2015


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