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Cogliere l’opportunità. Uscire dall’economia di stenti, incertezza e paura (di Francesco Cappello)

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di Francesco Cappello

Guadagnare dalla diffusione della paura è il nostro mestiere…
La Microsoft di Bill Gates sta organizzando webinar  ossia corsi on line per docenti, sull’apprendimento a distanza mediato dall’uso di loro software proprietario (a pagamento), naturalmente bypassando tutto il software perfettamente funzionante e disponibile gratis (opensource) già esistente. Rifornire scuole, università, centri di formazione pubblici di strumenti che permettono l’apprendimento a distanza, targato microsoft, è un bel business a doppia valenza. Pagheremmo, infatti, per offrire loro dati assai sensibili (si pensi alla tutela della libertà di insegnamento) direttamente dal produttore al consumatore… cosa, peraltro, già successa nel caso del registro elettronico affidato a società private.
Inoltre, stiamone certi, che man mano che il processo di impoverimento pubblico avanzerà anche grazie ad altri futuri, quanto prevedibili, episodi di emergenza scatenati su scala globale e opportunamente modulati, qualche benpensante, per affrontarlo proporrà la chiusura progressiva della scuola come luogo pubblico fisico sostituibile dall’insegnamento a distanza, più efficace e senza tutti quei fastidiosi problemi, dal bullismo alla necessità di avere sedi adeguate alle norme di sicurezza ecc. ecc.. Noi mettiamo le mani avanti perché la nostra scuola pubblica è prima di tutto il luogo dell’inclusione dove si costruisce quotidianamente società civile promuovendo cittadini che imparano a convivere virtuosamente nella differenza tra ceti sociali di appartenenza ed aree geografiche di provenienza, con o senza difficoltà di apprendimento ecc.

La Bill & Melinda Gates Foundation è anche parte assai attiva nel business dei vaccini. Di sicuro trarrebbe molti vantaggi da un eventuale obbligo vaccinale (le prove generali le abbiamo fatte con la richiesta di essere in regola con il programma vaccinale previsto nel nostro paese, pena l’accesso all’istruzione pubblica) esteso su scala globale, da registrare nella Identità digitale, proposta e brevettata da microsoft, quale lascia passare universale, perché mai come ora non si può non essere d’accordo sulla opportunità di rendere chiunque identificabile essendo che:
«La capacità di dimostrare chi sei è un diritto umano fondamentale e universale. Poiché viviamo in un’era digitale, abbiamo bisogno di un modo affidabile per farlo sia nel mondo fisico che online»
cosicché:
«Per oltre un miliardo di persone in tutto il mondo, l’accesso ai beni e ai servizi di base difficile, se non impossibile, a causa della mancanza di un’identificazione riconosciuta»,
ma «Con una ‘buona’ identità digitale, gli individui potrebbero utilizzare le credenziali rilasciate da una varietà di istituzioni diverse al fine di ottenere l’accesso a una varietà di servizi diversi, preservando la privacy e la sicurezza e mantenendo il controllo sulle proprie informazioni»…

 

Strumenti finanziari in caso di emergenza da pandemia

Il sistema della finanza privata ci viene in soccorso con l’emissione di titoli. N. Forcheri dalle pagine di Scenari Economici ci informa intorno al lancio, nel 2017, sul mercato finanziario di un’obbligazione da 490 milioni di euro legata alle pandemie (per pandemie da coronavirus). Si tratta di pandemic bonds, con scadenza 15 marzo 2020, artefice la Banca Mondiale insieme a BIRS d’accordo con l’OMS. Il tasso di ritorno dell’11% sarà esigibile nel caso in cui l’epidemia corrente venisse promossa a pandemia dall’OMS dopo il 15 Marzo.

In tal caso l’esborso massimo, fissato a 200 milioni di dollari, scatterebbe nel caso di un certo numero di morti e di vicinanza geografica: «I pandemic bonds sono stati modellati sullo scenario più plausibile di un coronavirus proveniente dalla Cina. I criteri per far scattare l’esborso indicano che la pandemia debba durare per oltre 12 settimane in più di un paese».
I paesi sottoscrittori dovrebbero poter ricevere fondi immediati per affrontare le eventuali pandemie. Acquistandoli si riceve una rendita se la pandemia non scoppia. Qualora il virus si diffondesse, allora a date condizioni, assai restrittive, il possessore pubblico del titolo perde il capitale investito che viene trasferito ai paesi colpiti dal virus. Il confronto tra i premi pagati (alti) e il capitale che sarebbe erogato (basso) in caso caso di emergenza sanitaria non lascia dubbi sul fatto che si tratti di bonds a favore di chi intende speculare anche sulle epidemie. Gli stati non possono illudersi che tali strumenti finanziari siano in grado di soccorrerli e ovviare alla mancanza di strutture sanitarie pubbliche ben organizzate ed efficienti. Se poi uno stato esercita la sua sovranità monetaria non ha certo necessità di indebitarsi sui mercati finanziari per reperire le risorse finanziarie necessarie ad affrontare le emergenze ma solo di personale ben preparato e strutture accoglienti ed efficienti pronte all’uso.

Prove generali

C’è da aspettarsi che la volontà di smaterializzare il contante sia facilitata dall’epidemia. Qualcuno dirà che la moneta cartacea è veicolo di infezione…

Intanto, dal giorno dell’ordinanza di chiusura delle scuole e dei tribunali (celebrazione a porte chiuse e da remoto) (1), con l’annullamento di meeting, convegni, concerti, viaggi di lavoro, eventi sportivi e religiosi, i divieti (2) e la paura dei posti affollati hanno generato un silenzio desolante che si diffonde nelle strade simile al nulla che avanza ne «La storia infinita» di M. Ende: piazze turistiche deserte, eventi annullati, trasporti al minimo, luoghi pubblici percepiti quali fonte di possibile contagio.

Il giusto allarme è troppo spesso degenerato in allarmismo propagato dai media che stanno avendo un ruolo primario nella diffusione del panico che catalizza gli effetti negativi e l’amplificazione del danno economico derivanti dalla dichiarazione della emergenza sanitaria in corso.

Ci vorrebbero chiusi in casa a ordinare prodotti online mentre si telelavora, e si apprende a distanza. Per certi versi si tratta di un attacco antropologico che sequestra la vita sociale dai luoghi pubblici. Si prospetta un futuro a cui dobbiamo saperci opporre sin da subito. Chi non intendesse seguire le regole di «igiene» pubblica che ci verranno imposte con l’emergenza sanitaria rischia di essere colpevolizzato e ostracizzato non solo dalle autorità ma dalla stessa comunità di appartenenza.

L’impoverimento che ne deriverà causerà l’ulteriore incremento del debito pubblico e privato. L’uso esclusivo di moneta privata a debito a cui ci siamo lasciati costringere accelererà gli effetti negativi dei processi in corso. La capacità di gettito diminuirà e riprenderanno vigore le voci che chiederanno ulteriori tagli ai servizi pubblici, compresa la sanità pubblica, che ha già accusato una perdita di 70 mila posti letto e 360 reparti chiusi negli ultimi 10 anni, con il corollario dell’allungamento delle liste di attesa, la chiusura dei piccoli ospedali e il blocco di servizi e presidi sanitari, nonché l’aumento di ticket e la crescente diffusione delle assicurazioni private. Per presunte esigenze di finanza pubblica il nostro sistema sanitario ha subito 37 miliardi di euro in tagli che lo hanno reso più fragile esponendolo a quella offensiva culturale che vorrebbe si procedesse speditamente verso ulteriori privatizzazioni e tagli col risultato prevedibile di un aumento di quei cittadini che già oggi rinunciano a curarsi perché privi delle risorse finanziarie necessarie.

Nelle prove generali che si stanno conducendo in questi giorni, la chiusura del Parlamento, avrà l’effetto di rafforzare la percezione sociale, già diffusa ad arte, contro la democrazia parlamentare prevista dalla nostra Costituzione, che del Parlamento e dei parlamentari, nei giorni di emergenza nazionale si può fare a meno. Rinviato, intanto, il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari.

L’emergenza virus è potenzialmente utilizzabile quale capro espiatorio buono a giustificare il collasso del sistema bancario e, in generale, dei mercati finanziari. Una fantastica scorciatoia ottima per spiegazioni spicciole alla portata di tutti: andava tutto bene, poi arrivò il virus e…
La crisi rischia di configurarsi quale ulteriore lascia passare per il MES con la promessa di ricevere i suoi prestiti avvelenati, a cui “saremo costretti“ a ricorrere se continueremo ad utilizzare moneta a debito a maggior ragione oggi per affrontare l’emergenza. A questa eventualità bisogna piuttosto opporsi con tutte le nostre forze.

La dipendenza dal commercio internazionale si misura in questi giorni anche dalla messa in atto da parte di molti paesi del protezionismo sanitario che chiude le proprie frontiere alla esportazione di quei presidi sanitari (farmaci, mascherine, disinfettanti, macchine da respirazione artificiale, ecc. ritenuti utili al proprio interno per affrontare l’emergenza, prodotti che, data l’alta richiesta, registrano sul momento un notevole incremento dei prezzi almeno sino a che la produzione non riuscirà ad adeguarsi alla domanda. In controtendenza il nostro paese, che produce ed esporta a pieno ritmo tamponi di nuova generazione made in Italy. Si tratta dei tamponi della Copan (Brescia) frutto, dal 2004, di un brevetto internazionale su un nuovo dispositivo di prelievo che ha rappresentato una vera rivoluzione copernicana nel settore.

 

Non moriremo di coronavirus, moriremo di isolamento coatto, “moriremo di fame”

Già prossimi alla recessione non sarà facile assorbire questo ulteriore shock. Sullo sfondo un orizzonte temporale incerto. La durata della crisi da blocco (poiché i tempi di incubazione sono lunghi due settimane è facile che il governo proponga un ulteriore prolungamento di 5 giorni) rende più difficilmente prevedibili i suoi effetti di lungo corso. Fabbriche chiuse nella zona rossa, investimenti slittati, consegne posticipate, ordini ai fornitori cancellati, consegne bloccate o ritardate a tempo indeterminato, blocchi nella produzione. Se non incassi non paghi, di conseguenza la liquidità diviene sempre più viscosa rallentando pericolosamente la sua circolazione. Scuole, musei, centri culturali chiusi, piazze turistiche nazionali deserte.
Dopo la distruzione della grande e media impresa italiana, la svendita di 4/5 della nostra impresa pubblica, lo snaturamento del restante quinto a S.P.A., la privatizzazione delle banche pubbliche e la licenza concessa alle banche di “giocare“ nel casinò finanziario, abbandonando il tradizionale e virtuoso rapporto con l’economia reale, è oggi la volta delle microimprese, delle botteghe e delle piccole attività artigianali.

Se tutto va bene bruceranno da 50 a 100 miliardi di euro e in parte saranno fattori stessi della produzione ad estinguersi – microaziende, già in crisi sotto l’ormai insostenibile peso dell’imposizione fiscale, subiranno un tracollo dei fatturati che invalida qualsiasi politica di sostegno basata sui crediti di imposta visto che le imprese colpite sono generalmente in perdita, e costrette a dolorose ristrutturazioni dei bilanci. Alcune chiuderanno e con ogni probabilità non riusciranno a riaprire… intere filiere risultano bloccate, il mondo dei servizi è in crisi, quello dello spettacolo e dei servizi culturali, quello turistico (in forse la stagione turistica estiva) e dei trasporti all’interno e dall’estero, gli autotrasporti per conto terzi, il settore tessile legato alla Cina, l’alta moda, così il settore dei mobili e dell’arredamento, imperversano insoluti, disdette, alberghi vuoti, ristoranti a bassissimo regime, dipendenti non remunerati, taglio di ore di lavoro sino a licenziamenti, mancate assunzioni e… a meno che non si sia in grado di varare misure eccezionali del tipo che la Unione europea, da quando abbiamo accettato i suoi vincoli mortiferi, ci ha sempre negato. Ricordiamo che la scelta, avallata da tutte le formazioni politiche che si sono succedute, promossa e incoraggiata dal fronte UE, di restrizione degli investimenti pubblici (bassi deficit) ed alti avanzi primari, non ha impedito che il debito pubblico e quello privato continuassero a crescere, peggiorando, di fatto, gli effetti dannosi della patologia che si pretendeva di curare. Insistere per quella via è semplicemente criminale. Non a caso, seppure in questa situazione di emergenza riconosciuta, per il governo in carica raggiungere la modica cifra di 7,5 miliardi per far fronte all’emergenza sembra difficilissimo. Sono necessari, infatti, i soliti permessi della Commissione Europea, con la BCE che mentre è stata in grado di erogare migliaia di miliardi con il Quantitative Easing al sistema della finanza speculativa e delle grandi banche d’affari che si sono insinuate nel nostro sistema bancario, appare del tutto incapace ad intervenire nella catastrofe in corso in Italia. Si tratta infatti di una banca centrale che non svolge i suoi ruoli primari di prestatrice di ultima istanza e di tesoriere degli stati aderenti alla moneta unica.

Il coronavirus è una calamità, naturale o artificiale che sia, che coinvolge tutto il Paese. Serve una decretazione d’urgenza per affrontarla. Il governo sta imbastendo un piano di spesa da 7 miliardi e mezzo del tutto insufficiente ad affrontare lo stato delle cose che non è solo l’emergenza sanitaria, ma l’enorme spinta recessiva che rischia di infliggere il colpo di grazia al nostro sistema economico.
Di fronte alla gravità della situazione provvedimenti pure necessari come:
– la sospensione dei pagamenti di tributi e versamenti previdenziali;
– l’accesso facilitato al Fondo di garanzia delle PMI;
– la sospensione temporanea delle rate dei mutui pattuita con l’ABI
– il taglio delle imposte sui consumi (IVA) e delle accise;
– ammortizzatori sociali e cassa integrazione per proteggere i lavoratori delle aziende chiuse causa crisi, compresi quei liberi professionisti e lavoratori a partita Iva coinvolti,
sono tutti provvedimenti necessari urgenti ed auspicabili, ma non sufficienti.
Queste spese per affrontare l’emergenza andrebbero poi scomputate dal fiscal compact, che piuttosto andrebbe cancellato dalla Costituzione. Da soli, tuttavia, non sarebbero che palliativi non in grado di risolvere sul lungo periodo le criticità ormai strutturali di cui soffriamo. Anche nell’ipotesi che si concretasse un aiuto europeo per finanziare il soccorso all’economia italiana attraverso le risorse previste dal Fondo di solidarietà dell’Unione europea (FSUE), quale sostegno, in forma di sovvenzione, a integrazione di stanziamenti pubblici da parte di quegli stati costretti ad affrontare danni causati da gravi catastrofi naturali, essi sarebbero del tutto insufficienti. Dal 2002, anno di istituzione del fondo ne hanno usufruito 24 paesi per un totale di circa 5 miliardi di euro.

Siamo stati accusati ingiustamente di aver diffuso il virus in Europa. Il nostro Paese è da molti giorni sulle prime pagine della stampa internazionale quale sorvegliato speciale, verso il quale si sconsigliano (sino alla proibizione) i voli e il soggiorno. Oltre al settore turistico e a tutto il suo indotto, l’emergenza sanitaria è la scusa perfetta per bloccare il settore alimentare italiano all’estero. La percezione all’estero dell’Italia di paese appestato danneggerà immancabilmente il made in Italy con danni ancora non bene quantificabili.

L’unica cosa che si guardano bene dal non bloccare sono i capitali sempre liberi di scorrazzare da un paese all’altro e 30mila soldati dagli Usa che in Europa senza mascherina parteciperanno all’esercitazione militare Defender Europe 2020, la festa di primavera che il sistema di guerra USA NATO UE ha organizzato in Europa e che durerà sino a Maggio: la più grande esercitazione militare, che coinvolge migliaia di soldati Usa/Nato – con al seguito 20 mila pezzi di equipaggiamento militare – calpesterà 4000 km di territorio di 10 diversi paesi europei. Alcune centinaia dei militari coinvolti vengono dalla Guardia Nazionale del Maryland, appena dichiarato dal loro governo zona di contagio da coronavirus. L’Italia, sempre presente, parteciperà con paracadutisti della 173-esima brigata aviotrasportata del Veneto e della folgore toscana.

Il virus incoronato potrebbe funzionare da piccola breccia nella diga ormai stracolma della finanza speculativa globale. Lo scorso venerdì è stato giudicato un “venerdi nerissimo“. Sui mercati azionari europei l’indice che raggruppa i principali titoli quotati sulle Borse europee hanno subito cali assai preoccupanti. Il calo dell’indice Euro stoxx 600, del 3,5%, si traduce in 310 miliardi di capitalizzazione persi in un’unica giornata. La sola Piazza Affari, con un calo dell’indice Ftse All share del 3,4%, ha ‘bruciato’ oltre 21 miliardi.
Il panico sembra diffondersi assai rapidamente, un generale sentore di sfiducia porta molti a vendere. Il processo si autoalimenta facendo registrare un pauroso crollo degli indici borsistici sulle principali piazze finanziarie tanto che circolano sempre più insistentemente le due paroline che sintetizzano lo spettro della finanza casinò: il cigno nero, la trappola della liquidità che rischia di paralizzare quel money manager capitalism, il capitalismo dei gestori del denaro, descritto da Minsky, che ha trasformato moneta e credito, e di conseguenza anche il lavoro, in merci. Accade quasi ovunque, escluso che in Cina, unico argine alla fuga generalizzata in atto, in grado di dare affidamento e rifugio agli investitori internazionali non solo perché i cinesi hanno saputo tenere a bada il virus incoronato e stanno procedendo alla riapertura delle fabbriche, ma perché gli investitori sanno che, nel resto del mondo, la finanza ha lasciato prevalere i rentiers che non creano valore ma contribuiscono alla sua estrazione e distruzione, che non supportano più l’economia reale come ancora accade in Cina, e che nel resto del mondo ha prevalso una finanza che non fa più il suo mestiere e pretende di far soldi spostando soldi, non servendo l’economia reale ma se sé stessa.

Significativo anche il fatto che Wall Street sembra reggere meglio delle Borse UE all’impatto con il coronavirus grazie al buono stato di salute dell’economia Usa che con Trump ha puntato a mettere in primo piano l’economia interna facendo registrare una crescita del PIL con inflazione sotto controllo e occupazione ai massimi storici.
L’azione della FED, in queste condizioni, ha avuto spazio per intervenire e sostenere la crescita con un altro taglio di mezzo punto dei tassi e acquisti massicci da parte della FED (questa è la novità) di ETF azionari con sottostanti gli indici Usa.

 

La parola crisi in cinese ha un’accezione importante, quella di opportunità
Risultato immagini per cinese crisi opportunità

Non sono problemi di piccola entità quelli che stanno maturando in questi giorni e con cui la nostra epoca si sta confrontando. Si tratta di rischi divenuti ormai sistemici. Rischio di guerra globale connesso all’emergere di un nuovo ordine internazionale, pandemie, crollo del sistema dell’economia reale e finanziaria, cedimento dell’organizzazione statuale, collasso degli ecosistemi naturali, collasso dei sistemi democratici sotto il martellamento della propaganda veicolata dal mainstream globale. Essi sono intimamente collegati e vanno affrontati urgentemente in modo efficace e determinato su scala nazionale e internazionale.
Forse siamo alla fine della globalizzazione dell’economia reale, il solo modo di rallentare la Cina, ma non di quella finanziaria che sarà tenuta in piedi a qualsiasi costo per ingrassare ulteriormente i pescecani della finanza a spese dei piccoli investitori. Una crisi di liquidità, assai peggiore di quella del 2007 è ormai alle porte. Gli interventi delle grandi banche centrali saranno sempre meno efficaci. I tassi di interesse delle loro emissioni, infatti, sono già praticamente a zero e sempre più spesso sottozero. I privati non investono in assenza di domanda. Gli investimenti in tali condizioni devono venire dal settore pubblico.

È, perciò, quanto mai urgente e necessario lanciare un grande piano di investimenti su tutto il territorio finalizzato prima di tutto alla risposta ai bisogni interni (3) che abbandoni il primato dato alle esportazioni a cui ci siamo lasciati costringere dai vincoli UE.
In estrema sintesi, un grande piano per le infrastrutture ormai al collasso, un piano energetico finalizzato alla transizione dal fossile alle rinnovabili, un piano nazionale per affrontare il dissesto idrogeologico, la ricostruzione dei centri storici colpiti dal terremoto, la messa in sicurezza sismica del patrimonio edilizio nazionale privato e pubblico, un piano di assunzione nella pubblica amministrazione ponendo finalmente fine alla stagione del blocco del turnover, un piano di investimenti nella istruzione, scuole, università, ricerca pubblica, rimessa in opera delle grandi imprese pubbliche, a partire da quelle farmaceutiche sino alle ricostruzione di quella rete di banche pubbliche svendute e privatizzate negli anni ’90. Dobbiamo arrestare lo smantellamento del servizio sanitario invertendo la tendenza pericolosamente in atto mirando alla riapertura dei piccoli ospedali, al ripristino dei posti letto tagliati, la riapertura di interi reparti e la riassunzione di tutto quel personale sanitario mancante ma strettamente necessario. Investimenti massicci nella sanità pubblica, sia per l’ordinarietà che per l’emergenza (4).

È altresì urgente e non più rinviabile un grande piano di investimenti per il Sud, la valorizzazione delle zone periferiche del nostro paese sempre più marginali e in stato di abbandono così come delle zone montane; dobbiamo mirare alla sostituzione delle importazioni ovunque possibile e limitarci alla esportazione delle eccedenze, abbandonando quel modello economico che ha sinora trovato i suoi equilibri nella continua ricerca della massimizzazione ad ogni costo delle esportazioni.

È importante rimettere al centro l’orizzonte costituzionale del pieno impiego e il ripristino del welfare universale. La Costituzione ci indica gli strumenti per raggiungere tali obiettivi di civiltà percepiti oggi come un lusso che non possiamo più permetterci. Solo alla spesa militare non abbiamo mai voluto rinunciare quella sì sempre crescente e a livelli ormai insostenibili.
Dobbiamo tornare a lottare contro la crescita della diseguaglianza e della povertà. Si pensi che mentre la Cina con il suo miliardo e 380 milioni di abitanti ha quasi sconfitto la povertà diminuendo i casi al di sotto della soglia della povertà, in 7 anni, dal 2012 al 2019, da 98 milioni (7% della popolazione) a 5 milioni e mezzo (0,4% della popolazione), da noi i poveri assoluti sono ormai 6 milioni (il 6% della popolazione), mentre i poveri relativi arrivano a 10 milioni, valori purtroppo in crescita in particolare nel nostro Sud.

Teniamoci ben stretto il controllo su quel residuo di impresa pubblica che ci è rimasta. Non cediamo a nessuno il controllo di Eni, Enel, Finmeccanica, CDP ecc.; semmai invertiamo la rotta e procediamo verso la loro socializzazione. L’avvoltoio franco-tedesco non aspetta altro che mettere le mani sul nostro settore turistico e quello agroalimentare; anche il patrimonio artistico secondo molti sarebbe più tutelabile nei loro musei (si ricordi, ad esempio, la cessione alla inglese Bridgeman, da parte del governo Gentiloni, del 50% dei diritti d’autore sulle immagini d’arte dei nostri musei) (5), tutto a prezzi di fallimento come già accaduto in Grecia che si è trovata nella condizione di dover cedere intere isole, villaggi turistici, porti e aeroporti mentre abbatteva lo stato sociale. L’Italia fa gola essendo un piatto assai più ricco da continuare a razziare. Un’Italia in fallimento è l’obiettivo di chi nell’Unione è in grande affanno e, mentre incolpa il nostro paese di tutto il possibile, mira alle sue ricchezze, con il MES e le sue misure straordinarie a favorirne la svendita in tandem con l’Unione bancaria che sta creando le condizioni che permetteranno di mettere le mani anche sui risparmi italiani (4’300 mld).

Dovremmo immediatamente puntare, in estrema sintesi, su economia interna, esportazione delle eccedenze e moneta pubblica non a debito per evitare il nodo scorsoio dei mercati finanziari. I biglietti di stato o statonote già sperimentati negli anni ’70 da Aldo Moro con la consulenza economica di Federico Caffè, quale moneta legale, sovrana, non a debito, a circolazione interna, che nessun trattato europeo può impedirci di emettere, può essere usata per finanziare la spesa sociale di cui necessitiamo e mobilitare finalmente tutti i fattori produttivi inespressi del nostro paese senza peggiorare i conti pubblici anzi migliorandoli. I certificati di credito fiscale potrebbero affiancare le statonote promuovendo investimenti e manovre espansive consentendo il superamento dei vigenti vincoli di bilancio.
In tal modo creeremmo le condizioni utili a liberarci dalla trappola dei vincoli europei. Se l’avessimo già fatto, come da tempo consiglia l’economista Antonino Galloni, oggi saremmo praticamente immuni anche rispetto ad eventi ed emergenze come quella che stiamo attraversando in questi giorni. È appena il caso di dire che tutti nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa, da subito, comprando, mangiando e viaggiando italiano.

La ribellione contro le élite deve essere esercitata a più livelli contemporaneamente. Dobbiamo impedire che siano ancora loro a gestire la finanza degli stati, creando le condizioni per un ritrovato esercizio della sovranità a cominciare da quella monetaria sino a quella politica ed alimentare. A livello internazionale è necessaria una nuova Bretton Woods che riformi il sistema dei pagamenti internazionali e abbandoni finalmente il paradigma vigente fondato sulla liquidità che prevede un mercato del tutto abusivo, quello del denaro; che istituisca e faccia osservare nuove leggi che regolamentino finalmente la finanza mondiale, chiudano i paradisi fiscali, portino alla luce e impediscano l’attività bancaria ombra (shadow banking) e istituiscano un Tribunale Internazionale contro i crimini finanziari.

(1) Speriamo che il virus acceleri l’informatizzazione dei processi e del sistema giudiziario che da tempo chiede il magistrato Nicola Gratteri.

(2) Se la gente dovesse scendere in piazza a protestare contro la miseria dilagante gli sarebbe impedito per evitare la diffusione del contagio? Esistono già aberranti norme nel cosiddetto Decreto Sicurezza che hanno già colpito i lavoratori della Tintoria Superlativa di Prato, i cui operai, senza stipendio da 7 mesi, in condizioni lavorative inaccettabili, si sono visti affibbiare 21 multe dai 1000 ai 4000 euro ciascuna, per un totale di 84.000 euro “colpevoli“ del reato di “blocco stradale” grazie al quale le Questure possono incriminare i lavoratori che fanno i picchetti davanti alle aziende. Si giungerà a vietare manifestazioni, scioperi per motivi di emergenza sanitaria?

(3) https://www.francescocappello.com/2019/02/27/scopo-delleconomia-e-la-risposta-ai-bisogni-interni/

(4) Si rifletta sulla condizione odierna di quei cittadini americani che si fanno ricoverare, ad esempio, perché hanno avuto un soggiorno in Cina, o altri ospedalizzati per polmonite, che si vedono consegnare parcelle di spesa sino a 3000 dollari per visite mediche, tamponi e giorni di degenza, non a carico dello Stato, perché in America la sanità pubblica non esiste, vigendo piuttosto il sistema delle assicurazioni private, che quando va bene si accolla al massimo la metà della spesa. Sarà per questo motivo che in America sono così pochi i casi registrati? Evidentemente le assicurazioni non coprono interventi urgenti ed importanti come quelli relativi allo stato di emergenza provocato dalla diffusione del coronavirus mettendo a rischio la salute di tutti.

(5) Per 5 anni sono stati ceduti alla società Bridgeman i diritti di sfruttamento delle immagini delle opere d’arte presenti in 439 musei italiani. Il 50% dei ricavi andrà alla società Bridgeman che avrà anche la facoltà di decidere unilateralmente i prezzi. In pratica giornali, privati, magazine, musei, riviste ecc. avessero bisogno di usare l’immagine ufficiale di un’opera devono rivolgersi alla Bridgeman che le gestisce e ne decide il prezzo incamerandone il 50%.

https://www.francescocappello.com

 

 


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