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COGLI L’ATTIMO (ovvero la differenza ontologica) – di Giovanni Moretti

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Per un circuitista il denaro è l’asset che determina e da cui dipende il ciclo produttivo e il punto di partenza di tale circuito è la creazione di debito, ovvero denaro, attraverso il credito concesso dalle banche alle imprese. Questo approccio della teoria monetaria della produzione è integrato dai cartalisti. Nella teoria statale, infatti, il debito è creato nell’ambito del sistema bancario centrale e si fonda sulla circolazione forzosa e sulla capacità dell’Ente sovràno di riscuotere tributi dalla popolazione, con uno Stato inteso come fonte suprema di tutta la moneta, ovvero di tutto il debito, attraverso l’emissione dei titoli di Stato. Proprio il cartalismo, s’interroga se a finanziare la spesa pubblica siano effettivamente le tasse o i titoli di Stato e se, dato che lo Stato è la fonte suprèma di tutta la moneta, questo abbia davvero bisogno delle tasse della popolazione. Circuitisti e cartalisti per sistema fiduciario intendono la fede, la fiducia nell’emittente, ovvero nel sistema bancario nel suo complesso, da cui deriva la (loro) terminologia teistica di creazione dal nùlla, ex-nihilo. Sia per i neocartalisti che per tutti gli altri, Mario Draghi compreso, il denaro è una convenzione sociale. However, codesta convenzione consiste nell’intendere che lo stesso è un pagherò, una promessa di pagamento, un I owe you, cioè, precisamente, un debito. Proprio come lo erano i famigerati Mefo bill della Germania nazista, che in un articolo del Gennaio 2016 titolato “Come Hitler salvò l’economia” Maurizio Blondet definisce, cogliendo precisamente nel segno, come promesse di pagamento, come cambiali sociali basate sul rapporto fiduciario tra chi le accettava e l’emittente.

Associare il denaro alla produzione, ovvero ad una concezione esclusivamente merceologica della società, mentre allo stesso tempo e in questo preciso senso lo si considera come convenzione sociale, è il tipico riduzionismo occamistico del materialismo dialettico, storico e logico, che sintetizza le due concezioni che Schumpeter, e Aristotele prima di lui, aveva separato considerandole antitetiche: la teoria della moneta merce e quella sui diritti di credito. Per tutti costoro la fiducia è quella cosa, quel sentimento da riporre nei confronti dell’Ente. Ente che è emittente ed inteso, a seconda del contesto e dell’evenienza, indifferentemente come banca o come Stato. Un totem.

A me vien da sorridere quando se gli parli di Knapp (cfr. https://scenarieconomici.it/loggettivazione-merceologica/) ti dicono che tratti di filosofia. Se solo si riuscisse a realizzare che la legge bancaria del ’36 non era altro che il banking act del new deal rooseveltiano e cartalista, troveremmo ridondantemente noioso affermare che la logica efesina è contraddittoria per antonomasia. Nonostante il celebre frammento di Orazio sia reso notorio essenzialmente grazie ai richiami al sensismo, all’atomismo materialista e meccanicista e alla morale epicurea semi atea e semi edonista, proprio in riferimento all’epicureismo, all’aurea mediocritas dal vago sapore siddarthiano, all’autárkeia e atarassia riprese da Machiavelli nella sua filosofia politica e il piacere negativo di cui a Leopardi, il carpe diem è in larga misura un concetto meglio spiegabile con l’ontologia neoplatonica agostiniana. Infatti, per Agostino “solo il presente è realmente” e questa è la più bella definizione che si può dare di un Ente, cioè di colui che è in modo contingente, transitorio. Questo ha a che fare anche con il detto, che dicono essere nicciano ma non lo è perché anche costui copiava, secondo cui la ricompensa, l’obiettivo, non è la meta ma il viaggio. È una cosa che ha provato a scopiazzare anche Coelho.

Non si diventa Enti, lo si è o non lo si è. Non è questione di meta da raggiungere, non è un divenire trascendentale. Si pensa e si agisce in ogni momento della vita perché vivere è aver coscienza di esistere in quel momento. In questo senso Agostino diceva che il solo tempo che esiste veramente è quello presente, dove presente è quella condizione temporale che implica attualità. È solo grazie all’attualità che si esprime un Ente, un essente, che ha necessità di quel preciso momento per esistere, anzi, per essere, e passato e futuro sono fatti presenti, al cospetto di un ente, perché il primo è memoria e il secondo attesa.

L’essere, invece, che non è trascendentale ma naturale, non solo non ha bisogno di contingenza, di e del tempo, per essere, ma nemmeno pensa. Perlomeno, non come è costretto a farlo un ente. Infatti l’essere non è un ente; l’ente è solo nel momento in cui è. Un ente è ora ma non è l’essere, non è per sempre. L’essere non ha bisogno di tempo per pensare e nemmeno per essere. La dialettica per l’essere è perfino priva di significato perché non è legato ad alcuna condizione di causa ed effetto, di consecutio temporum, e ci mancherebbe. In definitiva l’essere non pensa, non in modo antropologico e antropomorfo, ovvero, non nel modo in cui un ente è costretto a farlo: in funzione del tempo che gli permette di essere ed esistere. L’io penso kantiano vale quindi solo per l’ente ed è l’ente che necessita di cogliere l’attimo, per essere, per saper d’esistere. Il tempo quindi è distensio animi, cioè estensione dell’anima, perché esiste e risiede della mente umana, che attende, considera, ricorda, prevede.

Per Hegel non è così. Per l’hegelismo, “La filosofia di Kant è paragonabile all’atteggiamento di colui che vuole imparare a nuotare prima di buttarsi nell’acqua”. Secondo Hegel, il tempo non è una forma a priori e la stessa “filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero”. In Hegel l’essere e il dover-essere kantiano, ovvero la legge morale, coincidono. Infatti, lo Stato Etico ipotizzato da Hegel è quello descritto nel Leviatano di Hobbes. È la realizzazione dell’ideale nicciano, è puro organicismo.

Nello Stato etico la persona giuridica è l’ente, mentre la persona fisica, l’uomo, è il non-ente, l’oggetto giuridico. Per l’organicismo, l’uomo è funzionale ed organico allo Stato, non il contrario. L’organicismo è una corrente di pensiero che prende nome nell’ambito dell’illuminismo e post illuminismo. Immagina la società funzionare come un organismo vivente e riprendendo il tripartizionismo platonico, che però riguardava l’anima, e continuando con Aristotele che definisce l’uomo come animale sociale, arriva per esempio con Steiner a tripartizionare lo Stato e con Hobbes a immaginare il Leviatano come costituito da tanti individui. Nella sua forma forte concepisce la società e lo Stato come un vero e proprio organismo vivente e con la nascita del concetto di nazione, da cui il nazionalismo ma anche il comunismo, che più universalisticamente mappa questa tensione verso la trascendenza nell’identità di classe sociale, tenta di realizzare l’ideale nicciano acquisito dall’idealismo tedesco con posizioni organicistiche finalistiche. Shelling introduce nell’idealismo assoluto tedesco, che attraverso Nice ne definisce lo spirito, un organicismo forte, finalistico e immanentistico che del popolo permette di definirne la comunità. Questa, si pone rispetto al popolo come soggetto giuridico che hobbesianamente sovrasta il popolo stesso.

Una società organica è invece l’esatto opposto, ovvero l’Ente rimane solo ed esclusivamente l’uomo ed è la società che è organica, funzionale, strumento dei bisogni umani. L’olismo come approccio opposto all’atomismo, al riduzionismo, è una forma di evoluzionismo creativo che fa a meno del principio divino. Nell’ontologia hegeliana l’Essere trapassa, trascende nel divenire, l’essere e il non essere coincidono per sintesi dialettica e il principio creativo svanisce mentre viene associato all’uomo concependo l’Essere come volontà di potenza, come oltreuomo di un uomo ridotto al nulla, al non-ente (cit. Heidegger).

Lo Stato etico in definitiva fa riferimento all’etica laica, alla morale che i filosofi da sempre ricercavano; fin dai tempi di Socrate, a cui per questo era toccato bere la cicuta. Una morale che facesse a meno del teismo, ovvero di una teologia naturale, ma che non poté rinunciare al deismo, ovvero alla teologia trascendentale, quel famoso ego trascendentale a cui anche Giovanni Gentile e tutto il neoidealismo fanno riferimento e di cui è parte fondante tutto l’idealismo assoluto tedesco, il quale fonda, appunto, sull’oltreuomo nicciano, che è precisamente l’ego che trascende da sé a formare l’oltre-entità. Etica laica che è stata teorizzata dal barone d’Holbach, filosofo illuminista tedesco naturalizzato francese che immaginava un mondo governato da una morale politica universale e materialista a cui dà un nome preciso: Etocrazia.

In questo contesto la responsabilità di Hegel è grandissima perché con egli culmina la volontà di estrarre dalla filosofia l’ontologia, lo studio dell’essere, mettendo insieme oggetto e soggetto dell’azione e rendendo ogni fenomeno privo della causa che lo scatena.

Per gli empiristi (Hume, Loche, …) le idee, l’idealismo, l’ideologia, l’ideogenesi, sono una successione di eventi percepiti in modo razionale e sensoriale. Per Gentile, come per Nietzsche, “l’essere coincide con l’esperienza” e l’esperienza è l’orizzonte assoluto non superabile, intrascendibile. Per Nietzsche “non esiste nessun «essere» dietro il fare, l’agire, il divenire: «colui che fa» è solo un accessorio inventato dal fare – il fare è tutto”. È gnoseologia, esperienza contro pensiero, ragione contro intelletto, è atomismo del pensiero fatto di sensazioni puntuali, cioè singole e separate e messe insieme da consecutio logica e razionale. È, come direbbe Kant, una genealogia di idee più semplici correlate tra loro dalla ragione. Per Locke, astrazione e intuizione, che Aristotele nel De anima descrive come funzioni dell’intelletto, sono pura percezione. Nel risalire dall’effetto alla causa, alla “ragion sufficiente” dello stesso pensiero, ci si accorge però che la questione non è più gnoseologica ma attiene all’ontologia. È per questo che Kant la definisce illusione genealogica: l’illusione è dovuta appunto alla temporalità, alla caratteristica di contingenza e transitorietà del pensiero umano.

Corpuscolo e vibrazione sono entrambi fenomeni di tipo sensibile. Non esiste un non-quanto o perlomeno per non-quanto si intende l’assenza dello stesso e non una sorta di consistenza ontologica del suo non essere, a scimmiottare il parricidio del Sofista. Che lo sia come particella o che lo sia come onda, il quanto è fenomeno fisico in entrambe i tipi di misurazione, e proprio l’inesistenza del non-quanto smentisce la concezione eraclitea sulla “tensione degli opposti” cara alla (meta)fisica quantistica, quella che con il bosone di Higgs vorrebbe riaffermare le teorie milesi, gnoseologico-esperienziali per definizione, sull’origine materiale della realtà, che asseconda la filosofia efesina per cui tutta la materia è in un eterno divenire dove il fine è il divenire stesso, il viaggio e non la meta, ché non è raggiungibile per limite assiomatico. Il fuoco di eraclito, ovvero l’energia, non è fenomeno metasensibile. Lo stesso Planck, padre della fisica quantistica, prese nettamente distanza dal monismo, dall’esoterismo e dalla teosofia novecenteschi, che pretendono di assegnare una valenza esistenziale a “princìpi” materiali, a meri fenomeni fisici. Max Planck era parmenideo, certamente non eracliteo, e non commetteva errori epistemologici così evidenti.

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Giovanni Moretti


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