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Capri e caproni

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A voi lo strepitoso titolo del 4 gennaio 2020 de “Il Riformista”: “E’ il dono dei nazionalismi: la guerra alle porte”. Si riferisce alla scriteriata decisione di Trump di uccidere il generale iraniano Qasem Soleimani con un bel missile veicolato via drone. Ora, di tutte le interpretazioni e letture geopolitiche (seppur implausibili) seguite all’evento, questa è a parer nostro la più interessante proprio perché la più surreale. Dio solo sa, infatti, cosa ci azzecchi tale vicenda con il “nazionalismo”.

E tuttavia, il titolo bislacco torna utile giacchè sintetizza al meglio un puerile pregiudizio dei tempi correnti: l’idea, fanciullesca, secondo cui per eliminare la guerra, il male addirittura, è sufficiente sacrificare un unico dannato capro espiatorio: il nazionalismo. E con esso, in realtà –  il sottotesto è implicito –  già che ci siamo anche le nazioni.

Ma cos’è, in definitiva, la “Nazione”? Nient’altro che la declinazione, sul piano collettivo, di ciò che, a livello personale, è l’individualità soggettiva. Un intreccio di perimetri territoriali definiti, tradizioni anche religiose, similarità etniche, collanti idiomatici, sensibilità comuni (ad altri individui) e storie condivise (con altre generazioni). Un impasto inestricabile di fattori in grado di attribuire “senso” e “direzione” all’esistenza.

Sennonché, tali elementi presentano anche un altro fattore collaterale: distinguono, diversificano, selezionano. Io “sono” qualcuno proprio nella misura in cui sono disuguale da te. La mia “Nazione” esiste proprio nella misura in cui essa può essere idealmente “sagomata” secondo connotati “altri” rispetto alle ulteriori Nazioni, vicine o lontane che siano. Questa irriducibile differenza è non solo la fibra ultima della personalità individuale, ma anche quella della appartenenza collettiva. Matrice di senso e di responsabilità per i singoli uomini e di agibilità “politica” per i singoli Stati.

Una prerogativa indispensabile perché si sposa al meglio, in maniera inesorabilmente “naturale”, con la caratteristica fondamentale dell’essere umano: quella di rappresentare un unicum da tutelare, preservare, proteggere e a cui dare una famiglia, un clan, una “casa” dove ritrovarsi e in cui riconoscersi. Togliete tutto ciò e distruggerete, all’istante, il principium individuationis su cui si regge (e senza il quale rovina al suolo) l’essenza stessa di ogni libertà e la quintessenza stessa di ogni velleità sovrana, democrazia compresa.

All’opposto di tale visione si colloca l’ideale naive di un pianeta redento, e riconsegnato a una sorta di pacificazione universale, in cui non esistono più “individui”, ma cloni cosmopoliti, apolidi e interscambiabili; e non più nazioni, ma un solo governo globale così simile al Leviatano di Hobbes. L’idea che, eliminando le differenze, si elimini ogni ragione di contesa e cassando le Nazioni si  vaporizzi all’istante il pericolo di conflitti è, quindi, non solo balorda ma sommamente infantile.

Eppure, è sulla falsariga di tale favola per minorenni, e minorati, che si muove la narrazione dominante del secolo XXI. Dove contano solo i mercati, la finanza, la crescita e i consumi. I quali hanno bisogno della disintegrazione delle frontiere nazionali e delle identità individuali per far passare, senza attriti, le merci dove c’erano i confini; e per trasformare cittadini consapevoli di sé in beoti “abitanti” del mondo con l’unica vocazione di consumare prodotti così come i bovini ruminano la biada.

Tale copione si serve proprio del  miserabile stratagemma retorico secondo cui è la “distinzione” (e quindi la Nazione) l’origine di ogni istinto guerrafondaio. Per non farci manipolare è sufficiente por mente alla alternativa suggerita da lorsignori al posto del capro espiatorio nazionale: un governo mondiale di “elevati” pastori su un gregge omogeneo di sudditi caproni.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com

 

 


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