Euro crisis
Bettino Craxi (1997) “Nella migliore delle ipotesi l’Europa sarà un limbo, nella peggiore un inferno”
“Si presenta l’Europa come una sorta di paradiso terrestre, arriveremo al paradiso terrestre, l’Europa per noi, come ho già avuto modo di dire, per noi nella migliore delle ipotesi sarà un limbo nella peggiore delle ipotesi l’Europa sarà un inferno. Quindi bisogna riflettere su ciò che si sta facendo perché la cosa più ragionevole di tutte era quello di richiedere e di pretendere, essendo noi un grande Paese – perché se l’Italia ha bisogno dell’Europa l’Europa ha bisogno dell’Italia – pretendere la rinegoziazione dei parametri di Maastricht“.
Bettino Craxi diceva tutto questo nel 1997. Dunque, molto prima dell’avvento di tutto l’odierno fronte no euro, si era già detto esattamente come stavano le cose. I parametri di Maastricht avrebbero distrutto l’Italia mentre, il pur diffuso sistema corruttivo allora in auge, non lo aveva minimamente fatto. Craxi già allora aveva perfettamente compreso che il vincolo del 3% al deficit avrebbe impedito all’Italia di sostenere la propria economia e di infondere fiducia al sistema economico nel suo complesso.
Cogliamo l’occasione per spiegare nuovamente cosa comporta questo vincolo che rappresenta una vera cessione della sovranità economica nazionale. Perché Craxi ha potuto azzeccare la sua previsione? Nessun calcolo complicato credetemi, per comprendere la crisi basta il pallottoliere. Accantonando per un secondo il problema produzione ed inflazione rimaniamo unicamente ai freddi numeri e facciamo un esempio molto facile banalizzando la realtà.
Se uno Stato spende 10 e tassa 5 incrementa la ricchezza del proprio Paese di 5 unità, ovvero fa deficit. Quando lo Stato spende 5 e tassa 5 lascia invariata la ricchezza, mentre se addirittura spende 5 e tassa 10 arriva a sottrarla. Semplice, matematico ed innegabile.
Craxi dunque aveva basato la sua previsione su un facile calcolo matematico. Il limite al deficit annuo fissato con Maastricht era pari al 3%. Tuttavia l’Italia superava tale limite già con il costo degli interessi passivi sul debito pubblico, pertanto firmando il Trattato di Maastricht il Paese si condannava ad un’avanzo primario perpetuo e dunque a sottrarre ricchezza dall’economia reale anno dopo anno. Ecco perché era agevole fare questa pessimistica previsione, Maastricht ci aveva tolto la possibilità di praticare politiche economiche espansive. Ecco perché bastava un pallottoliere per dare ragione a Craxi.
Visto che ogni volta che si affronta l’argomento si alza un vespaio di polemiche da parte di chi, denotando un notevole cretinismo economico, attacca questa posizione ventilando inflazione e cariole è utile fornire ancora qualche spiegazione esponendola nel modo più elementare.
La ricchezza di un Paese non è la moneta in quanto tale ma la sua produttività (qualcuno pensa che la carta da sola abbia qualche valore?). La moneta funziona unicamente come una sorta di benzina per il motore. Ne serve la quantità giusta. Più un motore è di grossa cilindrata e potente (ergo più abbiamo produzione) più consuma e necessita di benzina (moneta). Se impongo per legge eterna austerità impedirò al Paese di aumentare la cilindrata del proprio motore, certo con una bella revisione dello stesso (ricollocando la spesa non produttiva), magari potrei incrementare la potenza ma i miglioramenti non potrebbero essere eterni, prima o poi per crescere ancora ci sarà comunque bisogno di un motore più grosso e che necessariamente consumerà più benzina. Prima o poi per crescere avrò bisogno di aumentare la quantità di moneta altrimenti il motore finirà la benzina.
Ecco perché non si possono bandire le politiche espansive, perché l’economia senza di esse rimarrebbe, nella migliore delle ipotesi, in un limbo, come giustamente diceva Craxi. Tuttavia, sempre per zittire il cretinismo economico, dobbiamo rammentare che la moneta viene immessa in circolo nell’economia reale anche dalle banche commerciali, ergo le stesse possono sopperire alla stretta dello Stato in materia economica. Ma questo può avvenire solo finché la quantità complessiva dei prestiti aumenta, visto che ogni prestito determina interessi il suo costo finale è sempre maggiore della somma erogata. Ecco che non appena un shock, magari esterno come quello che diede inizio alla crisi economica (la crisi dei mutui subprime USA), induce le banche a chiudere i rubinetti porta al totale crollo economico poiché fisicamente la rarefazione monetaria che ne scaturisce rende impossibile adempiere alle proprie obbligazioni. Le conseguenti insolvenze creano sfiducia ed ecco che dal limbo si passa all’inferno, l’inferno che oggi viviamo.
In una situazione di questo tipo, che causa ovviamente l’avvio dopo pochi anni di fenomeni di disoccupazione di massa, chi può far tornare la fiducia immettendo la liquidità necessaria al sistema? Solo lo Stato, ma i Trattati questo lo vietano per cui nulla può essere fatto.
Sempre per zittire il cretinismo economico consideriamo anche l’ipotesi opposta, tanto cara a chi osteggia il controllo politico della sovranità monetaria. Ovvero la crisi può essere benissimo innescata anche dall’immissione nel sistema di una quantità di moneta superiore a quella necessaria al nostro motore. Un’eccessiva svalutazione erode il risparmio rendendo la nostra benzina sempre meno efficace fino ad arrivare alla distruzione del tessuto economico e sociale. Morale? Una cattiva politica monetaria ed economica provoca catastrofi. Craxi dunque avrebbe certamente chiesto di rinegoziare i parametri di Maastricht anche se avessero imposto un limite al deficit manifestamente eccessivo in quanto l’economia sarebbe stata comunque in pericolo. Questo con buona pace di chi, evidentemente senza avermi mai letto, trova le mie posizioni semplicistiche ed utopistiche.
Perché dunque io ed altri oggi parliamo di più deficit e non approfondiamo l’aspetto opposto? Perché oggi il problema è il fatto di avere un parametro così basso da non consentire né allo Stato di intervenire né al sistema di recuperare quella fiducia necessaria affinché le banche commerciali inizino nuovamente un nuovo circolo virtuoso in cui possano tornare a prestare denaro all’economia reale.
Lo squadrone del cretinismo economico dice di fare austerità per recuperare fiducia. Si pretende che le banche ricomincino a prestare perché lo Stato, con una politica di massiccio prelievo fiscale dovrebbe far salire il gettito al punto da poi poter ridurre la pressione fiscale, consentendo finalmente ai cittadini di adempiere alle proprie obbligazioni. La fiducia che ciò avvenga realmente dovrebbe spingere al consumo.
Questa tesi è assolutamente demenziale, visto che i cittadini con meno soldi non consumeranno di più ma di meno, non intaccheranno i loro pochi risparmi nella speranza che lo Stato un domani abbasserà le tasse, la domanda interna così si contrarrà e le banche ridurranno ulteriormente il credito in una spirale senza fine. Se invece lo Stato facesse deficit la fiducia tornerebbe e la ripresa ci sarebbe senza neppur essere costretti a stampare oltre il necessario e senza correre il rischio di finire nella situazione speculare ed altrettanto distruttiva della troppa moneta.
Spero che mi abbiate seguito in questo ulteriore passaggio, ma era necessario complicare un minimo le cose per avvicinarci alla realtà del funzionamento del sistema economico e zittire il cretinismo che applaude a quel gruppo di criminali che oggi usa l’austerità codificata nei Trattati come strumento di predazione economica e sociale. Far cessare la crisi sarebbe cosa da cinque minuti a livello europeo. Se questo non viene fatto è perché c’è chi la crisi la vuole.
Un’ultima osservazione poi per chi invece usualmente mi segue e potrebbe credere che sono diventato improvvisamente a favore della speculazione bancaria. Non lo sono, semplicemente conosco il sistema economico molto meglio di quello che qualche critico pensa e dunque posso anche affrontare la questione da altri punti di vista. Le banche commerciali debbono essere sotto lo stretto controllo, coordinamento e disciplina da parte dello Stato (ex art. 47 Cost.) affinché seguano le politiche monetarie che la politica stessa, secondo le regole della democrazia, decide. Non è l’economia reale a doversi adattare al sistema creditizio ma deve essere l’esatto opposto. Lo Stato potrebbe anche prestare in prima persona per stimolare consumi ed investimenti qualora fosse necessario, la Costituzione lo consente mentre non consente un sistema in cui esso è spogliato di ogni potere. Peraltro è facile constatare che se le banche commerciali sono le uniche ad immettere benzina nel motore potrebbero anche scientemente cessare l’erogazione del credito per passare all’incasso di beni reali o diritti, anziché di mera carta. Questo avviene poiché gli interessi non sono creati al momento del prestito e dunque non sono matematicamente ripagabili senza l’erogazione di nuovo credito o da parte di privati o da parte dello Stato attraverso la spesa pubblica (anche questa è e resta una grande verità che i “signoraggisti” hanno intuito senza però approfondire il tema monetario in ogni aspetto e dunque prestandosi a facilissime critiche). Pertanto se si lascia il potere creditizio libero di agire senza il controllo Statale e senza neppure disporre della sovranità necessaria a rimediare ad eventuali errori del settore (o ad azioni commesse in malafede al servizio di poteri esterni) si consegna una pistola carica ad uno sconosciuto. Si spera nella fortuna.
Al contrario, se lo Stato è il controllore ed il prestatore illimitato di ultima istanza quando occorre attraverso la propria banca centrale, il mercato può a fare debitamente il suo lavoro, quello di creare produzione sfruttando il grande motore dell’egoismo umano. Le banche presteranno con cognizione di causa e senza fare “scherzi” perché saprebbero che il concetto di “troppo grande per fallire” non esisterebbe più. Lo Stato potrebbe lasciarle tranquillamente chiudere potendo sovranamente coprire i costi di tale comportamento senza i limiti che oggi i Trattati impongono, potrebbe intervenire a deficit senza colpire i contribuenti. Ecco come la conservazione della sovranità monetaria, anche senza attuare necessariamente e continuamente politiche espansive o ingerenze che poco piacciono a molti liberisti, è in grado di essere, già di per se ed in quanto esistente, fonte di controllo del sistema creditizio. Oggi si è codificato il modello opposto. Le banche possono prestare a caso e se falliscono saranno i correntisti a pagarne il conto poiché lo Stato non ha gli strumenti monetari per intervenire.
La ragione ci ha abbandonato, decisamente. Anche i più liberisti, a cui comunque io non appartengo ritenendo che il mercato da solo non arrivi all’equilibrio e che l’intervento dello Stato nell’economia sia necessario per consentire un più veloce progresso sociale, dovrebbero almeno comprendere che “il banco”, come a Monopoli, è e deve restare pubblico altrimenti è finita. La scelta tra un modello più sociale ed uno che lo è meno sposando posizioni maggiormente liberiste, fermi i limiti ed i doveri che la Costituzione impone, è un fatto politico, entrambi modelli produrranno benessere (per me lo produrrà più il primo ma è un’opinione). L’adozione dell’attuale modello economico è invece solo cretinismo economico.
Craxi capiva tutto questo nel 1997, noi quando? Svegliamoci!
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