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Banca d’Italia: sanzioni sul gas uguale recessione. Più chiaro di così

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La Banca d’Italia ha emesso il proprio secondo Bollettino Economico, nel quale ha considerato la ricaduta economica della guerra ed eventualmente dell’estensione delle sanzioni anche alle forniture di gas naturale, con una serie di valutazioni molto interessanti e che dovrebbero essere pubblicate in prima pagina su tutti i giornali, se si volesse fare vera informazione. In più occasioni il Governatore Visco ha parlato con toni accorati della situazione economica e delle sue possibili evoluzioni.

Cosa dice nel bollettino? Prendiamo due semplici estratti, il primo sulla dipendenza dell’italia dal gas russo:

Dalla Russia proviene più di un quinto delle importazioni italiane di input energetici; per il solo gas naturale la quota supera il 45 per cento.
Secondo valutazioni preliminari, l’eventuale interruzione dei flussi di gas russo potrebbe essere compensata per circa due quinti, entro la fine del 2022 e senza intaccare le riserve nazionali di metano, attraverso l’incremento dell’importazione di gas naturale liquefatto, il maggiore ricorso ad altri fornitori e l’aumento dell’estrazione di gas naturale dai giacimenti nazionali. Nel medio periodo sarebbe possibile compensare pienamente le importazioni di gas russo  con più cospicui investimenti sulle fonti rinnovabili, oltre che mediante il rafforzamento delle importazioni da altri paesi.

Quindi un uomo che sicuramente non si esprimerà mai contro il governo p la UE dice, tranquillamente, che al massimo nel 2022 possiamo rinunciare a meno della metà, al 40% del gas naturale importato dalla Russia. Nel “Medio periodo” le cose potrebbero cambiare, ma il “Medio periodo” sono fra i 18 e i 36 mesi. Parafrasando Keynes, già nel medio periodo saremo tutti morti.

Quindi la Banca d’Italia predispone tre scenari economici per l’Italia, che si differenziano a seconda dell’andamento bellico in uno scenario più favorevole, uno intermedio e uno peggiore. Vediamo come si esprime la Banca centrale sui tre profili, per quanto riguarda la crescita e l’inflazione.

Nello scenario più favorevole, che ipotizza una rapida risoluzione del conflitto e un significativo ridimensionamento delle tensioni a esso associate, la crescita del PIL sarebbe di circa il 3 per cento nel 2022 e nel 2023; l’inflazione si porterebbe, rispettivamente, al 4,0 e all’1,8 per cento. Nello scenario intermedio, formulato supponendo una prosecuzione delle ostilità, il PIL aumenterebbe attorno al 2 per cento in entrambi gli anni; l’inflazione sarebbe pari al 5,6 e al 2,2 per cento. Nello scenario più severo – che presuppone anche un’interruzione dei flussi di gas russo solo in parte compensata da altre fonti – il PIL diminuirebbe di quasi mezzo punto percentuale nel 2022 e nel 2023; l’inflazione si avvicinerebbe all’8 per cento nel 2022 e scenderebbe al 2,3 l’anno successivo. Questo ampio ventaglio di stime non tiene conto di possibili nuove risposte delle politiche economiche che saranno essenziali per contrastare le spinte recessive e le pressioni sui prezzi derivanti dal conflitto.

Quindi anche un ente moderato e filo governativo e UE  ci dice chiaramente che, in caso di interruzione delle forniture, si andrebbe in depressione per due anni consecutivi, con un’inflazione che potrebbe raggiungere l’otto per cento nel 2022, con quindi un taglio durissimo dei redditi reali. Al contrario di quanto cercano di propinarci il taglio al gas russo non significherebbe solo un po’ di aria condizionata in meno, ma perfino per Banca d’Italia si tramuterebbe in un vero e proprio disastro economico. Gli italiani vogliono veramente questo Armagheddon?

 


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