Attualità
Avviso di garanzia a Meloni, qualcosa non torna
Il magistrato capo della procura di Roma, Francesco Lo Voi, lo stesso che ha mandato a processo Mateo Salvini per il caso Open Arms, ha alzato il tiro, inviando un avviso di garanzia a Giorgia Meloni, al ministro dell’interno Matteo Piantedosi, al ministro della giustizia Carlo Nordio e al sottosegretario Alfredo Mantovano. L’accusa se vogliamo è pure più arzigogolata e controversa di quello che ha riguardato Matteo Salvini, conclusosi poi con una piena assoluzione. Si tratta, infatti della informativa ( un realtà non è un vero e proprio avviso di garanzia) della presentazione da parte di un avvocato romano Luigi Li Gotti ( assai vicino alla sinistra del Pd) di una denuncia di un presunto peculato e favoreggiamento da parte del premier e di alcuni suoi ministri, per il caso del torturatore Almasri, rimpatriato in Libia, malgrado sul suo capo pendesse un ordine di arresto da parte della corte penale internazionale. E’ molto strana poi, anche la coincidenza temporale del fatti, dal momento che questa decisione della corte penale internazionale sia arrivata proprio nel momento in cui il libico ha varcato i confini italiani, dopo aver girovagato indisturbato per mezza Europa per ben dodici giorni.
Secondo le prime ricostruzioni, infatti, dopo essere stato sette giorni a Londra, il 13 gennaio si trasferisce a Brussels in treno, da dove prosegue per Bonn, in Germania. Quest’ultimo tratto in auto con un amico. Qui soggiorna per due giorni durante i quali avrebbe assistito a una partita di calcio. Il 16 gennaio Almasri noleggia una macchina, una Mercedes, per raggiungere con amici Monaco di Baviera, più di 12 ore di viaggio durante il quale viene fermato dalla polizia per un controllo di routine. Gli agenti lo lasciano andare.
A Monaco arriva il 18 gennaio. Ancora una volta Almasri viene sottoposto a un controllo della polizia che non riscontra irregolarità. Siamo nelle ore che seguono la decisione del Tribunale dell’Aja di emanare l’ordine di cattura. A Monaco il generale libico noleggia un’altra auto per raggiungere Torino e assistere in serata alla partita Juve-Milan. Ed ecco che qui scatta il mandato di arresto. Ma a Torino l’arresto prima eseguito non avrebbe ricevuto la convalida e quindi per il libico non restava altra soluzione che il rimpatrio in Libia. La cosa strana è che il suo arresto fosse stato chiesto dal procuratore dell’Aja a ottobre, ma solo sabato 18 la Corte Internazionale, forse dopo l’alert diramato dall’autonoleggio, ha emanato il mandato d’arresto.
Insomma una vicenda dai contorni tutt’altro che chiari, ma su cui appare davvero singolare poter accusare il presidente del Consiglio di favoreggiamento e peculato. Basti pensare a cosa accadde nel 1985 con il caso Sigonella, dove due caccia statunitensi dirottarono il volo che doveva riportare a Tunisi Abu Abbas, accusato di avere partecipato al dirottamente della Achille Lauro e della conseguente uccisione di un cittadino americano. Lo scontro tra usa ed Italia fu durissimi, dopo che militari statunitensi avevano circondato l’areo per estradare il presunto terrorista. Ma Craxi tenne il punto e lasciò partire l’aereo. Ma nessun giudice italiano, in quel caso, si sognò di far poi pervenire al presidente del consiglio un avviso di garanzia. Si trattò, come in questo caso, di una questione di sicurezza nazionale. In nessun altro paese al mondo probabilmente si sarebbe verificato un caso simile, ma in Italia evidentemente il rapporto tra magistratura e politica è sempre stato abbastanza controverso da almeno trent’anni a questa parte. Difficile capire in alcuni casi, come in questo, il confine tra l’azione penale e l’interesse politico.
Inutile girarci intorno sul fatto se fosse un atto dovuto o meno, la procura di Roma poteva benissimo decidere l’archiviazione, cosa che sicuramente avverrà successivamente, senza scatenare un simile polverone, che non fa altro che alimentare la polemica politica. E’ chiaro che ora non potrà che scatenarsi la ridda di accuse e sospetti che tutto possa essere una risposta della magistratura contraria alla riforma della giustizia, che il governo vuole portare avanti come da programma, e che il paese attende da decenni. Il sospetto che alcune decisioni della magistratura siano comunque motivate anche da una certa ideologia e non invece scaturire, come dovrebbe, in punta di diritto. Ha ragione quindi Nicola Procaccini , copresidente del gruppo dell’ecr europeo quando dice che ”Di fronte ad una Unione Europea che tutta intera sta finalmente condividendo la strategia italiana di governare il fenomeno migratorio con buon senso e fermezza – continua – assistiamo al tentativo di invasione della responsabilità politica da parte di alcuni magistrati influenzati dai propri convincimenti ideologici.”
Insomma una gran brutta storia , che non fa che accrescere le tensioni politiche, in un momento in cui invece il paese dovrebbe cercare il massimo dell’unità, per sfruttare al massimo l’attuale debolezza delle principali cancellerie europee. Infine un ultima annotazione sulla effettiva valenza di organismi internazionali quali la Corte penale internazionale, i cui membri vengono eletti dai singoli stati, con modalità piuttosto controverse e poco chiare e che spesso alimentano i dubbi sulla effettiva imparzialità delle loro decisioni.
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