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ART. 117 DELLA COSTITUZIONE E VINCOLI EUROPEI OVVERO COME PRIVARE UN POPOLO DELLA SUA LIBERTA’ ( Domenico Caruso)

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Capita, a volte, che qualcuno come Joseph K., il protagonista de “Il Processo” di Franz Kafka, venga dichiarato in arresto dalle autorità e costretto a subire un processo senza comprendere il capo di imputazione; capita anche che un intero popolo sia ristretto in vincoli e, quindi, privato della libertà a causa di un diverso processo, quello di integrazione europeo e per effetto di norme delle quali sono stati in pochi a comprendere le conseguenze devastanti sul principio costituzionale della sovranità nazionale.

E’ il caso della sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 che si proponeva l’obiettivo di realizzare un complessivo riassetto del sistema delle autonomie locali e dei rapporti con lo Stato secondo un approccio federalista con l’introduzione del principio di sussidiarietà, modificando l’art. 117 della Costituzione con l’indicazione  delle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato e l’attribuzione della competenza legislativa regionale per tutte le altre materie non espressamente riservate all’autorità centrale rovesciando, in tal modo, il precedente assetto secondo cui alle Regioni era riservata la potestà legislativa nelle sole materie indicate dalla norma costituzionale.

Senonché, l’art. 117 cit. contiene al comma 1, la seguente disposizione che possiamo definire ultra vires siccome del tutto incompatibile con i contenuti del Titolo V che, ratione materiae, disciplina competenze e funzioni degli enti locali territoriali: “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.  

I cosiddetti riformatori del 2001 hanno usato il termine vincoli nella piena consapevolezza di cosa intendevano realizzare.

Vincolo, nel linguaggio giuridico significa assoggettamento, coercizione, privazione della libertà personale mentre nel lessico comune, assume il significato di legame, restrizione, limitazione della libertà di movimento. A Roma, la Basilica di San Pietro in Vincoli  custodisce le catene che tennero prigioniero San Pietro a Gerusalemme e nel carcere Mamertino.

L’Europa ci voleva prigionieri e ci è riuscita!

Fermo restando la sostanziale diversità dei vincoli posti dall’ordinamento comunitario rispetto a quelli derivanti dagli obblighi internazionali, la modifica dell’art. 117 cit. ha colmato la lacuna ravvisata nel fatto che, prima della riforma, la violazione degli obblighi derivanti dai trattati internazionali da parte delle leggi nazionali imponeva la declaratoria di illegittimità costituzionale di queste ultime solo nel caso di violazione diretta delle norme costituzionali. La riforma, così come chiarito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 349/2007, ha attribuito alle norme dei trattati internazionali una maggior forza di resistenza rispetto a leggi ordinarie successive ponendole in una posizione intermedia tra la Costituzione e la legge ordinaria mentre per quanto concerne le norme comunitarie esse, come chiarito dalla Consulta,  hanno piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione negli Stati membri senza la necessità di leggi di ricezione ed adattamento come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della comunità atteso che con l’adesione ai trattati comunitari l’Italia ha ceduto parte della sua sovranità con riferimento al potere di legiferare nelle materie riservate ai trattati con il solo limite dell’intangibilità dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione (Corte Costituzionale sentenza n. 348/2007).

Se questa è la giurisprudenza della Consulta pare di comprendere che le norme comunitarie prevalgano sulla stessa legge fondamentale dello Stato italiano qualora non vi sia violazione dei principi di diritto naturale riconosciuti e contemplati dalla Costituzione.

Ma cosa accadrebbe se, per ipotesi, le norme comunitarie dovessero imporre un rapporto di dipendenza gerarchica dal Governo dei pubblici ministeri così come avviene in Francia o la sottrazione alle Regioni della potestà legislativa non trattandosi in entrambi i casi di principi e diritti fondamentali nel senso chiarito dalla Corte Costituzionale?

In questi casi prevarrebbe la Costituzione italiana o la norma comunitaria che regola in modo difforme da essa?

Il problema della automatica efficacia obbligatoria e della diretta applicazione nell’ordinamento nazionale si pone con particolare riferimento alle norme comunitarie che incidono sulla finanza pubblica per le quali sarebbe auspicabile un sindacato di legittimità costituzionale diretto a verificarne la piena compatibilità con riferimento all’insieme dei principi costituzionali attualmente vigenti e non solo con i principi fondamentali.

Da molti anni, la finanza pubblica nazionale è stata avocata dagli organi comunitari non solo per le finalità di controllo del rispetto dei parametri posti dal Trattato di Maastricht e dal Patto di stabilità, ma anche sotto il diverso profilo della programmazione economica delle risorse e degli  investimenti pubblici.

In  Germania,  il Tribunale Costituzionale Federale, in due distinti giudizi  – il primo sulla conformità ai principi costituzionali delle leggi di approvazione del Trattato sul Meccanismo Europeo di Stabilità  e del Trattato su stabilità, coordinamento e governance nell’Unione economica ed il secondo sul programma OMT di acquisti di titoli di Stato sul mercato secondario  – ha esercitato un autorevole presidio a tutela dell’autonomia del bilancio nazionale e delle funzioni del Bundestag indicato come indispensabile argine per compensare le cessioni di sovranità in favore dell’Unione Europea dal momento che in più occasioni, i giudici costituzionali tedeschi hanno ribadito che la competenza del parlamento nazionale in materia di bilancio non è trasferibile agli organi sovranazionali.

In Italia mancano pronunce di rilievo anzi, per colpa della sciagurata riforma dell’art. 117 Cost. abbiamo assistito ad una progressiva erosione dei poteri del Parlamento nazionale considerato sia il vincolo costituzionale a favore delle norme comunitarie sia la possibilità riconosciuta ai giudici di disapplicare le leggi in contrasto con il diritto UE ed anche di interpretarle in senso conforme alla giurisprudenza della CEDU (cfr Corte Costituzionale sentenza n. 49/2015) con buona pace del principio secondo cui i giudici italiani sono soggetti soltanto alla legge nazionale così come voluto dai veri costituenti del 1948.

Della antica teoria della divisione dei poteri di Montesquieu posta a garanzia della libertà rimane ben poco: il potere legislativo è stato ampiamente svuotato delle sue prerogative; il potere esecutivo è ridotto ad un mero simulacro nelle mani di entità sovranazionali prive di legittimazione popolare; l’ordine giudiziario da tempo condiziona pesantemente le scelte della politica.

Mi interrogo se ha ancora senso parlare di sovranità popolare così come disciplinata dall’art. 1 comma 2 della Costituzione questo si, principio fondamentale posto a garanzia della democrazia.   

Vorrei che al suddetto quesito rispondessero gli esponenti politici con gli occhi foderati di salame che vogliono ancora più Europa con annessi i vari Juncker, Moscovici, Mogherini.


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