Attualità
Allarme finanziario (di C. Alessandro Mauceri)
Il primo a lanciare l’allarme è stato l’Ocse: il 2016 potrebbe essere l’anno di un nuovo e pesante default bancario, anche peggio del crollo Lehman Brothers del 2007. Una crisi il cui effetto a catena sull’intero sistema finanziario mondiale è stato definito “pericolosamente instabile”.
Ad affermarlo è stato William White, presidente della Commissione di revisione dell’Ocse ed ex economista presso la Banca dei Regolamenti Internazionali. Una dichiarazione preoccupante rilasciata al Telegraph proprio alla vigilia della riunione annuale del Word Economic Forum di Davos: “La situazione è peggiore di quella del 2007. Le nostre munizioni macroeconomiche per combattere le crisi sono praticamente esaurite. Negli ultimi otto anni, i debiti hanno continuato a crescere, raggiungendo livelli tali in ogni parte del globo da diventare una potente causa di danni. Nella prossima recessione sarà ovvio che molti di questi debiti non saranno mai rimborsati, e tale fattore andrà a discapito di molti investitori che credono che gli asset che possiedono valgano qualcosa. L’unico interrogativo è se saremo capaci di guardare in faccia la realtà e affrontare quello che sta arrivando in un modo ordinato, o se invece tutto accadrà nel caos. I giubilei del debito vanno avanti da 5.000 anni, e risalgono al tempo dei Sumeri”.
Una situazione che non potrà cambiare fino a quando non cambierà il modo di gestire l’emissione di moneta e fino a quando alle banche verrà concessa la possibilità di utilizzare la riserva frazionaria. Il problema, infatti, in Europa ma non solo, deriva principalmente dalla necessità di ristrutturare i debiti accumulati dalle banche e dagli stati. Le banche europee hanno recentemente ammesso di avere accumulato nei propri bilanci crediti deteriorati per oltre 1.000 miliardi di dollari. Questo, insieme al fatto che sono pesantemente esposte verso i mercati emergenti (in calo nell’ultimo periodo), fa sì che tutta la loro attività sia a rischio. Una situazione non più risolvibile, come ha detto White, con continue ricapitalizzazioni o con sistemi come le bad bank o il bail in.
Sistemi concessi dai vari governi che dopo aver ceduto la propria sovranità monetaria a soggetti privati, oggi sono succubi delle loro imposizioni.
Una delle ragioni che ha permesso alle banche di arrivare a tanto è certamente la cosiddetta riserva frazionaria, ovvero la possibilità di effettuare investimenti anche senza disporre realmente del capitale necessario per farlo e di “creare soldi per se stesse, ma solo in grado di prestare denaro che raccolgono dai risparmiatori o da altre banche”. Un timore che è emerso anche nel G20 che si è tenuto pochi giorni fa a Shangai. All’incontro, al quale hanno partecipato i governatori delle banche centrali e dei ministri delle finanze dei paesi con le maggiori economie del mondo, sono sorti seri dubbi sulla capacità dei paesi presenti e soprattutto delle banche centrali di riuscire a centrare i loro target.
Un allarme simile è stato lanciato anche da Claudio Borio, capo del dipartimento monetario Banca dei Regolamenti Internazionali, l’ente che riunisce le banche centrali di tutto il mondo. “Quelli che vediamo potrebbero non essere fulmini isolati, ma i segnali di una tempesta vicina, che si sta preparando da molto tempo”, ha detto Borio. “A fronte di un calo prolungato della crescita della produttività, aggravato dalla crisi, i livelli globali di indebitamento hanno continuato a salire”.
Proprio questa motivazione, nelle scorse settimane, ha spinto il Vollgeld, il movimento per il Denaro Sovrano Svizzero ad avviare le procedure per chiedere un referendum popolare per l’abolizione della riserva frazionaria in Svizzera. Uno strumento, quello della consultazione referendaria, che, al contrario di quanto avviene e nella maggior parte dei paesi europei (dove i referendum e le consultazioni popolari raramente sono ascoltate dai governi – si pensi, ad esempio, a quanto è avvenuto a proposito del finanziamento pubblico ai partiti o al nucleare), è utilizzato frequentemente. Per questo più di 110 mila cittadini elvetici hanno firmato una petizione con la quale chiedono di limitare solo ad una banca (nazionale e non privata) la competenza esclusiva di creare denaro nel sistema finanziario. Un modo efficace per limitare la speculazione finanziaria e chiedere alle banche private di disporre realmente del patrimonio necessario per i loro investimenti e per le loro speculazioni borsistiche. Se la consultazione avrà l’esito sperato, l’immissione di moneta e la circolazione di denaro virtuale (oggi la stragrande percentuale del denaro circolante non è reale ma virtuale) verrà limitata.
In questo modo il potere delle banche commerciali verrebbe limitato alla gestione dei conti e dei depositi (e non come oggi a fare speculazione utilizzando i capitali depositati dai clienti come riserva). Un sistema che, probabilmente (come hanno detto quelli che hanno condannato la proposta), non permetterebbe all’economia locale di avere impennate e tassi di crescita elevati, ma che sicuramente renderebbe più stabile e soprattutto più reale l’economia.
C.Alessandro Mauceri
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