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Vogliamo contrastare le delocalizzazioni? Ecco una realistica proposta.

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Decreto Dignità è già intervenuto con una misura diretta a recuperare le incentivazioni dello Stato concesse – spesso proprio col fine specifico di favorire l’investimento produttivo interessato dalla delocalizzazione – ad aziende che decidano di trasferire le attività produttive in altro Stato non-UE.

La delocalizzazione comporta un costo elevatissimo, in termini occupazionali, sociali ed economici, scaricato sulla collettività.

Ciò è ingiusto specie laddove la delocalizzazione non riguardi attività produttive in perdita, ma sia finalizzata ad incrementare una redditività già esistente.

La misura che si propone – e che si innesta nella legge che disciplina i licenziamenti collettivi – mira a far condividere con la collettività – ed in primis con i lavoratori interessati dalla procedura di mobilità – i vantaggi che l’azienda ritrae dalla delocalizzazione e ad attenuare il grave pregiudizio causato al personale coinvolto.

L’azienda è dunque tenuta – a pena di invalidità dell’intera procedura di mobilità – a corrispondere ai dipendenti, al termine della procedura ed una volta che tutte le fasi di consultazione sindacale si siano concluse, un indennizzo commisurato all’anzianità di servizio. Essa non penalizza l’azienda che sia “costretta” alla delocalizzazione da una situazione di mercato che le impedisce di essere competitiva: l’azienda che dimostri infatti di aver chiuso gli ultimi tre (ANTONIO. COME GIA’ DETTO: SI POSSONO METTERE GLI ULTIMI DUE BILANCI, O GLI ULTIMI QUATTRO, E’ SCELTA POLITICA) bilanci in perdita, non è tenuta al pagamento dell’indennizzo.

Norme a tutela del lavoratore interessato da procedure di mobilità avviate dall’impresa nell’ambito di un processo di delocalizzazione finalizzato all’incremento della redditività dell’impresa.

All’Articolo 5 della Legge 23 luglio 1991, n. 223 “Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro” sono aggiunti i seguenti commi:

“4-bis. Qualora la procedura di mobilità sia avviata dall’impresa nell’ambito di un processo di delocalizzazione, parziale o integrale, in altro Stato non appartenente all’Unione Europea delle attività economiche svolte nelle unità interessate dalla procedura, l’impresa è tenuta alla corresponsione in favore di ciascun lavoratore di una indennità pari a tre mensilità della retribuzione globale di fatto annua moltiplicata per gli anni di servizio del lavoratore.

4-ter. L’indennità di cui al precedente comma 4-bis non costituisce reddito imponibile ai fini fiscali, non è assoggettata a contribuzione previdenziale e deve essere corrisposta entro trenta giorni dalla comunicazione di recesso di cui al precedente articolo 4, comma 9.

4-quater. In caso di mancato pagamento dell’indennità di cui al comma 4-bis nei termini di cui al comma 4-ter, l’intera procedura di mobilità è inefficace.

4-quinquies. I commi 4-bis, 4-ter e 4-quater non trovano applicazione qualora i bilanci dell’impresa in ciascuno dei tre anni precedenti all’avvio della procedura rechino una perdita di esercizio.

Zorro


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