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Vilfredo Pareto: l’economista e sociologo italiano padre dell’approccio marginalista all’economia e dell'”Ottimo paretiano”

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Pareto è una figura da cui non si può prescindere nello studio dell’economia, e rappresenta una figura di genio poliedrico italiano che, per la sua adattabilità a diversi campi ricorda le grandi menti del Rinascimento. SI può essere d’accordo o meno con i suoi studi, ma sicuramente non lo si ppuò ignorare, anche se diversi punti appaiono oggi controversi.

qui vi forniamo alcuni spunti che, se vi interessa la materia, potrete approfondire.

Vita personale e carriera

Vilfredo Pareto (1848-1923) è stato uno dei maggiori economisti e sociologi italiani, noto per i suoi contributi alla teoria neoclassica, alla scienza delle scelte individuali e all’analisi delle élite. La sua vita fu segnata da diversi cambiamenti di luogo, di professione e di orientamento politico.

Pareto nacque a Parigi da padre italiano e madre francese, entrambi esuli politici. Rientrò in Italia con la famiglia nel 1858 e si laureò in ingegneria a Torino nel 1870. Dopo aver lavorato come ingegnere ferroviario, si dedicò allo studio dell’economia e divenne professore all’Università di Losanna nel 1893. Tra le sue opere più importanti si ricordano il Manuale di economia politica (1906), il Trattato di sociologia generale (1916) e il Corso di economia politica (1896-97).

Pareto fu un sostenitore del liberalismo economico e un critico del socialismo, del protezionismo e della democrazia parlamentare. Fu tra i fondatori della scuola elitista, insieme a Gaetano Mosca. Pareto riteneva che la società fosse governata da una minoranza di individui dotati di qualità superiori, che chiamava élite.

Pareto fu anche un appassionato di matematica, fisica e meccanica. Si interessò ai fenomeni irrazionali e psicologici che influenzavano il comportamento umano. Elaborò una teoria delle azioni non logiche, basata sul concetto di residuo. I residui sono gli istinti, le passioni e le emozioni che spingono gli individui ad agire in modo non razionale. Pareto classificò i residui in sei classi principali: l’istinto di combinazioni, l’istinto di persistenza degli aggregati, l’istinto di espressione sociale, l’istinto di conservazione dell’integrità dell’individuo o del gruppo, l’istinto delle manifestazioni sociali e l’istinto del sesso.

Pareto visse gli ultimi anni della sua vita in una villa sul Lago Lemano, in Svizzera. Si sposò due volte: la prima con Marie Metenier nel 1891, da cui divorziò nel 1902; la seconda con Jeanne Régis nel 1911. Pareto morì il 19 agosto 1923 per una polmonite. Fu sepolto nel cimitero di Celigny.

L’economia marginalista

L’economia marginale è una corrente di pensiero che si basa sul concetto di utilità marginale, ovvero il beneficio aggiuntivo che si ottiene dal consumare una quantità supplementare di un bene o di un servizio. Secondo questa teoria, le scelte economiche degli individui sono guidate dal principio di massimizzazione dell’utilità totale, che dipende dall’utilità marginale decrescente dei beni.

Facciamo un po’ di esempi, altrimenti queste sembrano veramente delle pure parole: per esempio, se una persona ha molta sete, è disposta a pagare anche un prezzo elevato per un bicchiere d’acqua, ma man mano che soddisfa il suo bisogno di bere, è meno disposta a pagare un prezzo alto poiché si riduce l’utilità marginale dell’unità di consumo successiva.

Un altro esempio è l’acquisto di una nuova automobile. La prima auto che una persona acquista fornirà molta soddisfazione e utilità, in quanto consentirà loro di recarsi al lavoro, fare commissioni e fare viaggi2. Tuttavia, se la persona acquista una seconda auto, l’utilità marginale sarà inferiore, in quanto la seconda auto non apporterà molti vantaggi aggiuntivi rispetto alla prima.

Così proseguendo giungeremo in una situazione in cui l’utilità marginale di un’ulteriore unità di un bene è pari a zero o perfino negativa: immaginiamo il caso del possesso della terza auto in una via molto frequentata, dove la terza vettura richiede di parcheggiare lontano o di affittare un’autorimessa. In questo caso l’utilità marginale potrebbe perfino essere negativa.

L’utilità marginale si basa sul principio dei rendimenti marginali decrescenti, che afferma che quando una persona consuma più di un bene o servizio, la soddisfazione o il beneficio aggiuntivo che riceve da ogni unità aggiuntiva diminuisce nel tempo3.

Vilfredo Pareto è stato uno dei maggiori esponenti dell’economia marginale, e ha contribuito a rafforzare con rigore scientifico e analitico i concetti cardine della teoria neoclassica elaborata da Léon Walras, Carl Menger e William Stanley Jevons. Pareto ha introdotto il concetto di ottimo paretiano, ovvero una situazione in cui non è possibile migliorare il benessere di un individuo senza peggiorare quello di un altro. Ha anche sviluppato la teoria della distribuzione del reddito basata sulla legge empirica nota come curva di Pareto, che mostra la relazione inversa tra la quota di reddito posseduta da una percentuale della popolazione e il numero di individui che la compongono.

L’approccio di Pareto si differenzia da quello classico, rappresentato da economisti come Adam Smith, David Ricardo e John Stuart Mill, in diversi aspetti. Innanzitutto, Pareto si concentra sull’analisi microeconomica delle scelte individuali, mentre i classici si occupano principalmente di questioni macroeconomiche come la crescita, il commercio internazionale e la distribuzione del reddito. Inoltre, Pareto adotta una visione soggettiva dell’utilità, che dipende dalle preferenze personali degli individui, mentre i classici si basano su una concezione oggettiva del valore, che dipende dal costo di produzione dei beni. Infine, Pareto utilizza strumenti matematici avanzati per formulare le sue teorie, mentre i classici si affidano a ragionamenti verbali e grafici.

L’ottimo paretiano

L’ottimo paretiano è un concetto introdotto dallo studioso italiano Vilfredo Pareto, applicato in economia, teoria dei giochi, ingegneria e scienze sociali. Si realizza quando l’allocazione delle risorse è tale che non è possibile apportare miglioramenti paretiani al sistema, cioè non si può migliorare la condizione di un soggetto senza peggiorare la condizione di un altro.

Un esempio di ottimo paretiano è il seguente: immagina di avere due studenti che si scambiano il pranzo al sacco. Il primo studente ha un panino al formaggio e una mela, mentre il secondo studente ha un panino al prosciutto e una banana. Il primo studente preferisce il prosciutto al formaggio e la banana alla mela, mentre il secondo studente preferisce il formaggio al prosciutto e la mela alla banana. Se i due studenti si scambiano il panino e la frutta, entrambi aumentano la loro utilità, cioè la loro soddisfazione. Questo è un caso di miglioramento paretiano, in quanto si migliora la condizione di entrambi i soggetti senza peggiorare quella di nessuno. Se i due studenti continuano a scambiarsi il pranzo al sacco fino a che non ci sono più possibilità di miglioramento, si raggiunge una situazione di ottimo paretiano, in cui nessuno può aumentare la propria utilità senza diminuire quella dell’altro.

L’ottimo paretiano è un criterio di efficienza economica che non tiene conto dell’equità, cioè della giusta distribuzione delle risorse tra i soggetti. Può esistere più di una situazione di ottimo paretiano, ma alcune possono essere più eque di altre. Per esempio, se in una società ci sono due individui, A e B, e due beni, X e Y, una situazione in cui A possiede tutto X e B possiede tutto Y è un ottimo paretiano, ma anche una situazione in cui A e B si dividono equamente X e Y lo è. Tuttavia, la seconda situazione è più equa della prima

Critiche all’approccio paretiano all’economia

Tuttavia, questa teoria ha ricevuto diverse critiche da parte di altri economisti e filosofi, che ne hanno evidenziato i limiti e le problematiche. Ecco le tre principali critiche all’economia paretiana:

  • La prima critica riguarda il fatto che l’ottimo paretiano non tiene conto dell’equità, cioè della giusta distribuzione delle risorse tra i soggetti. L’ottimo paretiano non permette di scegliere fra alternative più o meno eque, né di giustificare interventi di redistribuzione del reddito o della ricchezza per raggiungere una maggiore equità sociale.
  • La seconda critica riguarda il fatto che l’ottimo paretiano non tiene conto delle preferenze dei soggetti per la distribuzione delle risorse altrui. In altre parole, l’ottimo paretiano assume che gli individui siano indifferenti al benessere degli altri, e che le loro scelte siano basate solo sul proprio interesse personale. Questo implica che non ci sia spazio per la solidarietà, la generosità, l’altruismo o la giustizia nelle decisioni economiche3. Il filosofo indiano Amartya Sen ha mostrato con un esempio paradossale come l’ottimo paretiano possa portare a situazioni assurde: immagina che ci siano due persone, A e B, che devono decidere come dividere una torta. A preferisce avere tutta la torta per sé, mentre B preferisce avere metà della torta e dare l’altra metà a A. In questo caso, l’unico ottimo paretiano è quello in cui A ha tutta la torta e B niente, poiché qualsiasi altra divisione peggiorerebbe l’utilità di A senza migliorare quella di B. Tuttavia, questa soluzione è chiaramente ingiusta e contraria alle preferenze di B.
  • La terza critica riguarda il fatto che l’ottimo paretiano non tiene conto delle preferenze dei soggetti per le regole del gioco. In altre parole, l’ottimo paretiano assume che gli individui accettino passivamente le condizioni iniziali del sistema economico, senza poterle modificare o contestare. Questo implica che non ci sia spazio per la partecipazione, la democrazia, il cambiamento o la rivoluzione nelle decisioni economiche. Il filosofo tedesco Jürgen Habermas ha sostenuto che l’ottimo paretiano è una forma di razionalità strumentale che ignora la dimensione comunicativa dell’agire umano, basata sul dialogo, sul consenso e sulla deliberazione. Habermas ha proposto una concezione alternativa di razionalità comunicativa, in cui gli individui sono in grado di discutere e negoziare le regole del sistema economico in base ai loro valori e interessi.

Pareto sociologo: l’elitismo

Facciamo un excursus nella sociologia perché la teoria dell’elitismo di Pareto sicuramente susciterà la vostra curiosità e, se la leggete con attenzione, ha ancora un forte impatto attuale.

L’elitismo è una teoria sociologica che sostiene che ogni società è governata da una minoranza di individui particolarmente dotati, capaci e influenti, chiamata élite. Questa élite detiene il potere politico, economico e culturale, e si contrappone alla massa degli individui ordinari, che sono sottomessi e manipolati dalla stessa élite.

La teoria dell’elitismo è stata elaborata da Vilfredo Pareto, un economista e sociologo italiano che visse tra il 1848 e il 1923. Pareto fu uno dei maggiori esponenti dell’economia marginale, una corrente di pensiero che si basa sul concetto di utilità marginale, ovvero il beneficio aggiuntivo che si ottiene dal consumare una quantità supplementare di un bene o di un servizio. Pareto applicò questo concetto anche alla sociologia, sostenendo che gli individui sono guidati dalle loro preferenze personali e non da principi razionali o morali.

Secondo Pareto, la società è innanzitutto un sistema che deve rimanere in equilibrio, e questo equilibrio dipende dalla capacità delle élite di adattarsi ai cambiamenti storici e sociali. Le élite sono composte da persone che direttamente o indirettamente esercitano il potere, e si dividono in due tipi: l’élite dei leoni, che si basa sulla forza, sull’azione e sulla violenza, e l’élite delle volpi, che si basa sull’astuzia, sulla persuasione e sull’inganno. Queste due élite sono in competizione tra loro per il controllo della società, e si alternano al potere secondo un processo di circolazione delle élite. Questo processo consiste nel fatto che le élite decadono quando perdono le loro capacità e diventano corrotte o degenerate, e vengono sostituite da nuove élite emergenti dalla massa. In questo modo, la società si rinnova continuamente, ma non cambia la sua struttura gerarchica.

Pareto fu molto critico nei confronti della democrazia, che considerava una forma di governo illusoria e inefficace. Secondo lui, la democrazia non esiste realmente, perché il potere è sempre nelle mani di una minoranza che lo esercita a proprio vantaggio. Inoltre, la democrazia non garantisce l’efficienza economica e sociale, perché favorisce la proliferazione di gruppi di pressione e di interessi particolari che ostacolano il bene comune. Per Pareto, l’unica forma di governo possibile ed efficiente è quella basata sull’ottimo paretiano, ovvero una situazione in cui non è possibile migliorare il benessere di un individuo senza peggiorare quello di un altro.

La teoria dell’elitismo di Pareto ha avuto una grande influenza nella sociologia e nella scienza politica del Novecento, ed è stata ripresa da altri autori come Gaetano Mosca, Robert Michels e C. Wright Mills. Tuttavia, questa teoria ha anche ricevuto diverse critiche da parte di chi ha sostenuto che essa ignora l’importanza dei fattori storici, culturali e ideologici nella formazione delle élite, che nega la possibilità di una partecipazione democratica e di una trasformazione sociale da parte delle masse, e che giustifica il dominio delle élite come un fatto naturale e inevitabile.


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