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Verso un calo del commercio mondiale e il “globalizzometro”.

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Stiamo andando verso un processo di de-globalizzazione? Ci riferiamo a quella globalizzazione che ci hanno mostrato dalla fine della guerra fredda come paradiso e riscatto per i popoli della terra? E’ giusto ricordare come riportato dal bellissimo articolo di Jacques Sapir (il quale oltre a fare un’analisi economica svolge anche un’analisi sociologica a mio parere) che ci si confonde con il termine de-globalizzazione con quella che sarebbe una pausa volontaria o fortuita dei flussi commerciali che circolano in tutto il pianeta, ad esempio un motivo è il protezionismo.
Andando però nello specifico, il grafico riportato è relativo all’indice che misura i costi di trasporto e dei noli delle navi “dry bulk cargo” delle principali rotte mondiali che trasportano materie prime e derrate agricole principalmente, ma al netto dei liquidi quali gas, petrolio, sostanze chimiche. Dopo aver toccato il picco degli oltre 2000 $ nel 2014, oggi e’ crollato a poco più di 600$. (Grafico in tempo reale).
Questo indice misura in sostanza il grado dei commerci mondiali, una sorta di “globalizzometro” se possiamo definirlo in tale modo.

https://tradingeconomics.com/commodity/baltic

Il commercio mondiale stando ai dati oggi sta dunque rallentando, se questo porterà o no ad un processo di de-mondializzazione, al momento è presto saperlo. Ma di sicuro, un rallentamento degli scambi commerciali su scala mondiale, offre l’opportunità per gli Stati realmente sovrani, di concentrarsi verso le loro domande interne e quindi migliorare e salvaguardare i diritti economici dei propri cittadini. Sopratutto se il futuro ci confermerà tale processo di de-globalizzazione, questo permetterà molti Stati di ridefinire le loro economie, non più aggressive per cercare sbocchi esteri, bensì più attente ai loro cittadini e più protezionistiche da eventuali concorrenze sleali.

Discorso purtroppo contrario invece è per i Paesi dell’Eurozona, (Italia compresa ovviamente) che per la natura della moneta unica, sono economie dipendenti dalle esportazioni più che dalle rispettive domande interne. Come metafora possiamo dire che l’economia di un Paese che adotta l’euro è come un aliante, ossia va avanti grazie alle spinte esterne (il vento della domanda estera) ma non dispone di un suo adeguato motore (domanda interna). Gli ultimi dati del commercio tedesco inerenti alla contrazione della sua economia ed un pil in stagnazione, possono essere da esempio.
E quindi ad un rallentamento del commercio mondiale, i Paesi dell’euro, stando alle attuali impostazioni mercantilistiche, risponderanno magari con maggiori svalutazioni interne della domanda per tentare di conquistare i mercati esteri, ma a spese delle proprie economie interne e quindi del pil stesso.

In finale, un rallentamento del commercio mondiale NON è sinonimo di recessione economica ma un’opportunità di un ripensamento dell’economia globale, fatta da Stati che cresceranno grazie alle loro spinte interne dovuti ad un modello economico più sostenibile, quali investimenti e maggiori tutele socio-economiche. Ad un calo del commercio globale, potrà anche aumentare il pil e quello procapite degli Stati che investiranno nelle loro rispettive domande interne.
Attenzione, il commercio estero c’è sempre stato sin dai tempi degli etruschi e anche prima e ci sarà in futuro, nessuno è contrario, ci mancherebbe, è solo questione di avere un giusto commercio mondiale, tra Stati sovrani e senza dover sacrificare le domande interne.
L’Europa ne farà parte di questo modello? Coglierà l’occasione di un eventuale processo di de-globalizzazione? Il che non significa estraniarsi e rifugiarsi nell’autarchia, bensì concepire un mondo più sostenibile.


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