Crisi
IL VECCHIO E FUKUYAMA
La storia si è fermata o sta riprendendo fiato?
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La platea è affollata. Centinaia di persone tossiscono finché ne hanno il permesso, parlottano, ogni tanto guardano l’orologio e magari si chiedono che cosa si stia preparando al di là del velluto del sipario. Non si vede nulla ma si aspetta di vedere. Non si vive ma si aspetta di vivere. Ed effettivamente fra non molto le luci in sala si smorzeranno e sulla scena coloratissima si svolgerà lo spettacolo. Ma proprio prima che il sipario si alzi, al vecchio viene detto di andarsene. Per lui è suonata l’ultima ora. Del resto, i greci gli avrebbero insegnato che solo gli dei sono immortali.
Il nostro è un presente fatto di stabilità e di noia: da anni non viviamo niente d’importante. Ci occupiamo di Grillo, nientemeno, e di Berlusconi, e di Renzi. L’ultimo avvenimento epocale è stata l’implosione dell’Impero Sovietico ma in fondo, più che rappresentare un’anomalia, è stata la fine di un’anomalia: la Russia è tornata nella normalità occidentale. La stessa Unione Europea è quasi una conferma della teoria di Fukuyama, per cui la storia ci non avrebbe più riservato novità. Quella teoria è peggio che azzardata ma in fondo lo stesso euro nasce dell’impensabilità di una guerra tra Francia e Germania, o perfino di una loro totale autonomia.
In perfetta coerenza i problemi che ci poniamo riguardano la sostenibilità del presente. Come far fronte al nostro debito pubblico, all’eccesso di pressione fiscale e ad una crisi che, pur se sembra non finire mai, un giorno finirà. E al riguardo noi non speriamo che sarà per darci un mondo nuovo ma per ridarci il mondo normale di prima del 2008. Fukuyama, che ha torto agli occhi degli studiosi, sembra avere ragione agli occhi della gente. Gli spettatori sono lì perché le poltroncine di velluto rosso sono comode e forse non sanno nemmeno che cosa siano, quei grandi tendaggi di velluto. Solo il vecchio non crede a Fukuyama. È convinto che il sipario si alzerà, come tante altre volte in passato, e solo lui rimpiange di non conoscere il seguito della storia.
Viviamo un’epoca di stanca pace ma non è detto che non stiamo accumulando la legna per un futuro incendio. La sovrappopolazione del globo, già da sola, è un immenso motivo di preoccupazione. Come se non bastasse, una parte di questa sovrappopolazione si sta riversando in Europa e non, come è avvenuto secoli fa, con barbari romanizzabili, ma con musulmani inassimilabili. Capaci di odiare il mondo prospero in cui son voluti venire rischiando la vita.
Il nostro continente è minacciato dalla fine della nostra superiorità tecnologica. Prima eravamo i soli ad avere la scienza e la produzione che ne deriva, in futuro dovremo fronteggiare miliardi di persone con meno fisime di noi e forse con maggiori capacità. Non sarà una passeggiata. Nulla ci dice che un giorno le folle affamate di ieri, armate fino ai denti, non ci conquisteranno e non ci ridurranno in schiavitù.
Ma anche senza ipotizzare bibliche piaghe, è certo che siamo seduti su un vulcano esplosivo in materia di moneta. Continuando di questo passo non saranno soltanto la Grecia o l’Italia, che dichiareranno fallimento, forse sarà l’intero continente. Agli ottimisti va ricordato che la crisi arriverà di botto, come una sorpresa, perché, come dicono gli inglesi, è l’ultima pagliuzza – un evento insignificante – che spezza la schiena del cammello sovraccarico. L’idea che si possa aumentare il proprio debito indefinitamente è ingenua e truffaldina quanto una Catena di S.Antonio.
E infine come non badare alla bomba che ticchetta da molti decenni? Parliamo di Israele. Finché essa vincerà le guerre che le sono lanciate contro, avremo la pace. Il giorno in cui le armate arabe dovessero realmente essere sul punto di vincere (e dunque di sterminare milioni di ebrei) dobbiamo aspettarci la prima guerra atomica dopo il 1945. E stavolta su larga scala, con decine di milioni di morti, se è vero che “La caccia all’ebreo non è più gratuita”.
Il mondo continua ad accumulare motivi per grandi sconvolgimenti, ma prima del temporale la pioggia, il vento e i fulmini sembrano inverosimili. Chi non ha nozioni di storia non può immaginare a che punto, per gli europei del 1935, fosse improbabile l’idea di una guerra. E invece, come dice il proverbio, bel tempo e cattivo tempo non durano tutto il tempo. E questo sciocco presente un giorno forse lo vedremo come un’età d’oro.
Solo nella sua poltroncina, il vecchio da un lato rimpiange di non vedere alzare il sipario, dall’altro si dice che forse questa sarà stata una grande fortuna. Quella stessa dei tedeschi morti di vecchiaia nella primavera del 1939.
Gianni Pardo, pardo.ilcannocchiale.it
10 giugno 2014
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